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 2019  novembre 10 Domenica calendario

Il romanzo di Buonanno su sua nonna Teresa

A quarant’anni appena compiuti, Errico Buonanno si è già lasciato dietro una serie di opere memorabili, tutte in qualche modo consacrate alla musa del bizzarro. Tra tutti gli astri e gli spiriti-guida della prosa italiana, lo scrittore romano predilige sicuramente Alberto Savinio, il grande esploratore dell’inesplorabile. Tra gli argomenti dell’opera di Buonanno, possiamo parzialmente elencare le ambizioni letterarie dei tiranni antichi e moderni, le vite di uomini e donne capaci di lievitare nell’aria e in certi casi di volare, i futuristi abruzzesi, le religioni minori officiate in cantine e garage, il padrone di casa londinese di Karl Marx. Sa oscillare con grande leggerezza tra i due poli astratti del «saggio» e del «romanzo», e questo gli consente di trovare la forma di relazione con il mondo che gli è più vantaggiosa, sia sul piano psicologico che su quello della scrittura, ovvero la meraviglia, magari bilanciata dagli acidi corrosivi della nevrosi, come accade in quest’ultimo libro. Teresa sulla Luna (Solferino) rappresenta una tappa importante, perché Buonanno aggiunge sì un altro pezzo notevole del suo sconcertante museo, ma questo oggetto non si limita a essere interessante e degno di curiosità, perché ha esercitato un’influenza decisiva sul carattere e sul destino dello scrittore.
A parte certe libertà da romanziere, in buona sostanza quello di Buonanno è un ritratto, il ritratto di sua nonna, Teresa Piserchia, nome che resterà a lungo impresso nella memoria dei lettori di questo libro tanto tragico quanto spassoso. Nonna Teresa, «nata a Matera e cresciuta a Roma», è un personaggio memorabile. È unica al mondo, eppure è anche un emblema, un’incarnazione credibile di un intero secolo, il Novecento, e di uno dei suoi drammi più devastanti, che è il mito psicologico del talento, con tutto il suo potere di minare il principio di realtà. «Nulla ci spinge più vicino alla pazzia come il voler essere diversi dagli altri», ha scritto una volta Goethe. Geniale e chimerica mitomane, Teresa Piserchia è sicuramente pazza. È l’erede di una vena di bizzarria familiare, che scorre abbastanza inoffensiva in una vasta famiglia di lucani in parte trapiantati nell’Urbe, ma divampa in lei come un incendio incontrollabile, e finisce per trasmettersi al nipote, un narratore che anziché raccontarci la solita storia di un’anima e della sua evoluzione, si confronta con una materia più oscura e profonda, un misto di corruzione e predestinazione dal quale è molto difficile, se non impossibile, districarsi.
Fin dai primi anni dell’infanzia, questa nonna che si è convinta e ha finito per convincere i suoi familiari di essere stata una stella del cinema degli anni Trenta e dell’età d’oro del jazz, adorata da Amedeo Nazzari e Cole Porter, esercita sul protagonista la più perniciosa delle influenze. Da una parte lo condiziona con l’idea di essere l’erede del genio dei Piserchia, cultori del poetico e dell’inutile, nemici di tutte le necessità pratiche che comporta la vita quotidiana.
Da Matera a Roma
Teresa è l’erede di una vena di follia che scorre in una famiglia di lucani trapiantati nell’Urbe
Davvero esilaranti sono le acute osservazioni di Buonanno sulle assurde conseguenze del pensiero di Benedetto Croce su certa borghesia meridionale, capace di trasformare la celebre distinzione tra «poesia» e «non poesia» in una forma suprema e irrimediabile di bovarismo che trova nel fascismo la sua decisiva performance sociale. Ma i Piserchia, tutto sommato, sono una razza ironica, dotata dell’istintiva saggezza necessaria a trovare un patto con la vita, e andare avanti. Non si realizzano mai come artisti, ma finiscono per vivere abbastanza felici (come i fratelli di Teresa) con un posto in banca o alle Ferrovie. Teresa è fatta di un’altra pasta. Come in certi re di Shakespeare, si può dire che in lei esplode la follia di un’intera stirpe rendendosi manifesta in tutte le sue conseguenze. Con il passare degli anni e il sopraggiungere delle delusioni, si è convinta che il grado supremo del famoso «talento» non abbia bisogno di nessuna abilità per essere esercitato. Una persona eccezionale è una persona eccezionale anche se non sa fare nulla! E il vuoto sostanziale di un’intera vita potrà essere riempito non da qualcosa di concreto, ma da tutte le storie che se ne possono raccontare. Basta crederci. E se è impossibile crederci veramente, allora basta ripeterle. Ma il punto di vista fondamentale del libro di Buonanno, in bilico tra romanzo e memoriale, è quello della vittima, del nipote che subisce l’arcano fascino di quella vita fatta di balle e negazione dell’evidenza.
Non so se Buonanno abbia meditato su un classico della psicoanalisi contemporanea come Il dramma del bambino dotato di Alice Miller, ma Teresa sulla Luna ne sembra la riuscitissima trascrizione in chiave comica. E anche se ci racconta che alla fine in qualche modo una nicchia nella realtà è riuscito a scavarsela, non ci crediamo davvero fino in fondo, tanto ci ha convinto che il potere di nonna Teresa è una di quelle tragedie moderne che non conoscono la catarsi, ma solo la trasmissione e l’eredità.