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 2019  novembre 10 Domenica calendario

Intervista alla storica d’arte Laura Mattioli

Laura Mattioli è fondatrice e presidente del Center for Italian Modern Art (CIMA) di New York. Storica, curatrice e collezionista d’arte, è specializzata nell’arte italiana del XX secolo. Dal 1983 è curatrice responsabile della collezione di suo padre, Gianni Mattioli, una tra le più importanti raccolte di avanguardia italiana e arte moderna.
Laura Mattioli, perché ha creato CIMA, il Centro per l’arte moderna italiana, a New York nel 2013?
«Perché l’arte italiana del XX secolo non è conosciuta negli Stati Uniti. In mostra al MoMA c’è solo un Giorgio de Chirico. Molti importanti artisti italiani conosciuti negli Anni 50 sono completamente dimenticati».
Ad esempio?
«Marino Marini e Medardo Rosso».
È stata questa la ragione principale per cui ha creato CIMA?
«Sì, e anche perché gli studiosi d’arte italiani sono istruiti nelle migliori università come quella di Pisa ma spesso sono provinciali e non conoscono l’inglese. Pensano che l’Italia sia il centro dell’universo e non si rendono conto di come funziona il mondo dell’arte oggi. È importante far crescere una nuova generazione di storici dell’arte che abbia forti reti al di fuori dell’Italia».
Qual è il suo background?
«Ho insegnato all’Accademia delle arti per circa 15 anni, a Milano e a Bergamo, e ho organizzato mostre». 
E’ sempre stata nel mondo dell’arte?
«Sì. Uno dei miei figli è prete. Quando aveva 10 anni mi ha detto: non mi interessa l’arte di mio nonno, voglio l’arte del mio tempo. Dato che eravamo amici intimi di Giuseppe Panza di Biumo, il famoso collezionista di arte americana, abbiamo iniziato a venire negli Stati Uniti per un mese ogni anno per visitare gallerie e studi con lui. In questo modo ho capito come l’arte italiana fosse emarginata dai musei e dalle gallerie americane»
Come mai suo figlio è diventato sacerdote?
«È una storia strana. Avevamo chiesto all’artista americano Dan Flavin quello che fu poi l’ultima opera della sua vita, un’installazione permanente in una chiesa nel Bronx di Milano, Santa Maria Annunciata in Chiesa Rossa, con l’aiuto della Fondazione Prada. Mio figlio iniziò a essere coinvolto in questa chiesa e prese i voti».
Ha detto che gli artisti italiani non sono conosciuti in America, ma non esiste una lunga tradizione di collezionare futuristi come Umberto Boccioni, Giacomo Balla, Gino Severini e Medardo Rosso?
«L’arte italiana è stata molto apprezzata negli Anni 50. Medardo Rosso, ad esempio, è stato studiato da Margaret Scolari, la moglie italiana del primo direttore del MoMA Alfred Barr, che organizzò una personale del suo lavoro nei primi Anni 60. Poi l’arte americana si sviluppò e fu completamente dimenticata, perché arrivarono sulla scena Warhol e gli altri. Nel 2014/15 abbiamo organizzato una mostra di Medardo Rosso che ha avviato il processo di recupero. L’anno prossimo ne faremo una dedicata a Mario Schifano, che al momento non è presente nemmeno in una singola galleria negli Stati Uniti».
Suo padre era un noto collezionista d’arte. Dov’è ora la sua collezione?
«In attesa di andare in mostra a Palazzo Citterio in via Brera a Milano. È stata esposta per 20 anni nella Collezione Peggy Guggenheim di Venezia. I dipinti più importanti sono futuristi, perché mio padre era milanese. È nato molto vicino alla Casa Rossa di Filippo Marinetti, e da giovane conosceva Marinetti, Fortunato Depero e tutto quel giro. 
Lei ha fondato il CIMA. Qual è la sua missione?
«Crescere una nuova generazione di storici dell’arte, che studiano qui. Pubblichiamo un diario online, Arte moderna italiana, con le loro ricerche. Inoltre siamo in contatto con la Scuola Normale dell’Università di Pisa e paghiamo borse di studio perché vorremmo che anche persone di altri paesi studiassero l’arte italiana».
C’era una sorta di embargo sugli artisti italiani fino alla fine degli Anni 60 e all’inizio dei 70, a causa dell’ombra lasciata dal regime fascista. Non c’è molto più rispetto per l’Italia adesso?
«Si assolutamente. L’Italia è arte, design, cibo, vino, moda e tante altre cose».
Gli italiani sono negligenti riguardo alla promozione della loro arte negli Stati Uniti?
«Uno dei problemi principali è che l’Italia vuole mantenere quanta più opera storica possibile all’interno del Paese. Qualsiasi opera d’arte concepita più di 50 - o in alcuni casi 70 - anni fa, deve avere un permesso speciale dal Ministero della Cultura per lasciare l’Italia».
Cosa si può fare per sostenere gli artisti italiani contemporanei?
«Abbiamo bisogno di un gruppo internazionale di gallerie e sostenitori per mostrare la loro arte fuori dall’Italia». —
Traduzione di Carla Reschia