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 2019  novembre 10 Domenica calendario

La vitamina D non serve

Tanto usata e spesso poco utile. Per anni le donne sono state invitate dai medici ad assumere la vitamina D per “rinforzare le ossa” e a tanti, anche uomini, è stata prescritta pure contro diabete, problemi cardiovascolari o per prevenzione oncologica. Le vendite così sono cresciute in modo costante insieme ai consumi, saliti del 36% negli ultimi sei anni. Oggi si stima che 4 donne e un uomo su 10 ricevano almeno una prescrizione di questo medicinale nell’arco di dodici mesi. Eppure sulla vitamina D da tempo ci sono dubbi da parte di clinici e studiosi, con ricerche che dimostrano come non sia utile a ridurre il rischio di cancro, di malattie cardiovascolari e nemmeno di fratture, visto che non aumenta la densità ossea. A queste conclusioni è arrivata anche una revisione degli studi scientifici presentata dal Mario Negri di Milano alla recente riunione dell’associazione Liberati, sezione italiana del network internazionale di ricercatori indipendenti Cochrane. Del resto il fabbisogno di questa vitamina le persone sane lo soddisfano con un quarto d’ora al giorno di esposizione al sole o con l’alimentazione bilanciata. Raramente c’è bisogno di un apporto esterno.
Sulla spinta di quei ricercatori che hanno lavorato senza condizionamenti delle case farmaceutiche, e avendo ben presente la necessità di risparmiare e di ridurre l’inappropriatezza, cioè la prescrizione di farmaci inutili, si è mossa l’Aifa. Nei giorni scorsi l’agenzia italiana del farmaco ha approvato una “nota”, la 96, che limita le indicazioni terapeutiche per le quali la vitamina D è prescrivibile su ricetta rossa, a carico dello Stato. Intanto sono esclusi tutti i problemi non di natura ossea. Tra questi, poi, vi è stata una forte riduzione delle patologie per cui si considera utile. La nota 96 prevede che la vitamina D continui ad essere passata, anche senza fare gli esami per verificarne la quantità nell’organismo, agli anziani ospiti delle residenze sanitario-assistenziali,alle donne in gravidanza o che allattano, e a chi soffre di un’osteoporosi per la quale non è indicata una terapia remineralizzante. Poi ci sono casi nei quali prima di prescriverla bisogna fare le analisi per verificarne la carenza, a livelli sierici indicati da Aifa più bassi di quelli presenti nelle linee guida internazionali. Si tratta di pazienti che hanno patologie particolari (come la fibrosi cistica), prendono a lungo determinati farmaci (antiepilettici, antiretrovirali e altri), hanno sintomi da ipovitaminosi o infine hanno l’osteoporosi e devono usare la vitamina in via propedeutica alla terapia remineralizzante. Poi basta, negli altri casi il servizio sanitario da ora in poi non la passa più.
Ci sono molti integratori e prodotti da banco a base di vitamina D che possono essere acquistati liberamente, e hanno dosaggi più bassi, ma è ovvio che una posizione di questo tipo di Aifa rappresenti un segnale anche per tutti coloro che la comprano a spese proprie pensando che porti un generale benessere. Secondo l’agenzia bisogna sempre fare attenzione perché questa vitamina «tende ad accumularsi nell’organismo umano. L’assunzione per lunghi periodi ad alte dosi, può provocare effetti gravi per la salute, nonché aumentare il rischio di fratture e di alcune neoplasie». Ogni anno lo Stato spende circa 320 milioni di euro per passare la vitamina D e in base alle nuove regole la cifra potrebbe ridursi almeno di un terzo, per via del calo delle prescrizioni.
La nota è stata approvata un po’ in fretta dal direttore uscente di Aifa Luca Li Bassi, il ministro alla Salute Speranza lo sostituirà entro il 4 dicembre, giorno in cui cade la possibilità di esercitare lo spoil system. Così ci sono state un po’ di polemiche da parte di medici e farmacie perché i sistemi informatici non sono stati aggiornati con la nota. È stato necessario integrarla anche per dire tra l’altro che non riguarda le prescrizioni ai bambini. Ma le battaglie più dure contro il provvedimento potrebbe iniziarle a breve l’industria.