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 2019  novembre 10 Domenica calendario

All’asta lo Champagne dell’hotel Rigopiano

Venghino signori, quanto offrite per il biliardo di Rigopiano, quello «in legno in stile vintage, con sacchette raccogli palle in cuoio e piano in ardesia» intorno a cui i soccorritori trovarono i bimbi scampati alla valanga? Quanto per lo «spazzaneve marca Alpina in condizioni 5/10», troppo piccolo per salvare le 29 vittime? Non importa, lo spazzaneve è già stato aggiudicato. A tre anni dalla tragedia del 18 gennaio 2017, tutto quello che non è stato completamente distrutto è finito in vendita in un’asta giudiziaria per il fallimento – nel 2010 – di una società del gioco di scatole cinesi che gestiva l’albergo.
Centinaia di bottiglie di vino, i quadri che apparivano nelle fotografie dei soccorritori; il gruppo elettrogeno che illuminava l’albergo assediato dalla neve e tagliato fuori dal mondo, prima che la valanga lo spazzasse via; i lettini per massaggi, le vasche idromassaggio, le bike della Spa «il cui allargamento illegittimo è per la procura uno dei motivi del disastro», dice uno degli avvocati dei familiari delle vittime, Romolo Reboa; la «caldaia a pellet ideale per l’autonomia di uno stabile di medie dimensioni» che Alessandro Giancaterino cercava di rimpinguare, quando la neve lo travolse: il suo corpo stringeva tra le mani un sacco di pellet.
Quindici lotti, base d’asta totale di 29.670 euro. Un tesoretto? «Sono tutti oggetti in pessime condizioni, non capisco a chi possano interessare se non ai collezionisti di oggetti macabri. Abbiamo combattuto chi si faceva i selfie, figuriamoci se accetteremo tutto questo», dice il presidente del Comitato vittime Rigopiano, Gianluca Tanda. L’incanto si è tenuto il 30 ottobre a Pescara nello studio del curatore fallimentare, l’avvocato Sergio Iannucci. Due lotti sono stati aggiudicati al minimo: ceramiche, sculture e quadri per 1.800 euro, il «dipinto comprensivo di cornice» con due figure femminili che campeggiava su un mobile nella sala biliardo (1.230 euro). Un terzo lotto è andato a ruba: l’acquirente ha vinto «una macabra gara al rialzo», dice Tanda, arrivando a offrire 1.800 euro dai 700 iniziali. Si è portato a casa tutte le bottiglie trovate nelle cantine dell’albergo, centinaia di pezzi compresi «N.4 champagne Dom Perignon e N.2 champagne Cristal» che lasciano «sconvolti» i familiari e i sopravvissuti: «Chi può pensare di brindare con quelle bottiglie alla faccia dei nostri 29 angeli?», si indigna Tanda. Il corpo di suo fratello Marco fu trovato accanto alla «casetta in legno da esterno per gioco bambini, interamente realizzata artigianalmente», pezzo forte del lotto numero 20: asta deserta, per i dodici lotti invenduti ne sarà fissata una nuova ribassata.
«Il compendio fallimentare – spiega il geometra Edoardo Peluzzi nella perizia – è costituito da beni mobili rinvenuti nell’Hotel Rigopiano, ubicati nella cantina interrata e nelle residue parti ancora esistenti». In cantina sono stati trovati «vini, ceramiche, quadri, accessori ed oggetti d’arredo». E giù un elenco che fa male al cuore, con le foto scattate nell’area sotto sequestro «in cui noi parenti non riuscivamo a entrare nemmeno per un fiore».
Oggetti che ancora oggi sono lì tra le macerie. Il geometra Peluzzi il «18 gennaio 2018 riceveva incarico dal curatore Iannucci» di fare stima e inventario dei beni «di pertinenza del fallimento e ad oggi ancora giacenti presso la parte residua dell’Hotel Rigopiano di Farindola». Per «identificare i cespiti e il loro più probabile valore di vendita», il geometra effettua vari sopralluoghi, talvolta accompagnato dal curatore Iannucci, a partire dal 20 novembre 2018, con «attento rilievo fotografico di ogni elemento reperito». I parenti delle vittime non ne sapevano nulla.
«Come in una giallo alla Maigret – dice l’avvocato Reboa – sulla scena del delitto spunta un soggetto nuovo: il Fallimento Del Rosso srl, creditore della Gran Sasso Resort & Spa e proprietario dei mobili dell’Hotel Rigopiano messi in vendita con l’autorizzazione del giudice. Il curatore fallimentare mai ascoltato nell’inchiesta penale potrebbe rivelare informazioni preziose su luoghi e autorizzazioni». «Sono beni della società che gestiva l’albergo – replica Iannucci – che era debitore della procedura fallimentare, ceduti a pagamento di parte del debito. Con l’autorizzazione del giudice, li sto mettendo in vendita. Non c’è collegamento con la valanga, così come non c’entrano le vittime. Il fallimento è estraneo alle vicende dell’albergo perché proprietà di terzi». Ma entrambe le società – Del Rosso e Gran Sasso – sono riconducibili alla famiglia Del Rosso che gestiva l’hotel: uno dei due fratelli morì nella tragedia, l’altro è tra i 26 indagati per omicidio plurimo e disastro colposo. Il processo è appena iniziato.