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 2019  novembre 10 Domenica calendario

Il film con l’ologramma di James Dean

Inutile scomodare Faust o Dorian Gray, questa è una faccenda digitale. Le biografie di James Dean, autorizzate o no, raccontano che fu «vanesio, ribelle e di magnifico talento». Ma nessuno sa come il biondino dell’Indiana nato quacchero e amato in egual misura da uomini e donne avrebbe reagito al demone del tempo che passa e sgualcisce le star. Lo schianto della sua Porsche 550 Spyder, «la piccola bastarda», a Cholame, California, fermò in un giorno di settembre del 1955 l’orologio di una vita destinata a essere speciale. Dean aveva 24 anni, viaggiava verso Salinas e nel tragico crash contro l’auto mandata dal destino diventò una leggenda che non sarebbe mai invecchiata.
Oltre sessant’anni dopo La valle dell’Eden, Gioventù bruciata, Il gigante, tre film per definire una carriera unica, all’insegna dell’Actors Studio, Mister Fragilità batterà un altro record. La chiamano riesumazione cinematografica: tornare a vivere come un ologramma, un’apparizione, rigenerato da un pool di algoritmi. Il film si chiamerà Finding Jack, uscirà nel 2020 e sarà ambientato alla fine della guerra del Vietnam, storia di un’amicizia e di diecimila cani abbandonati. Il produttore Anton Ernst, che è anche il regista con Tati Golykh per la Magic City Films, ha tratto la vicenda dal romanzo di Gareth Crocker: «Sarà una bomba», garantisce. La famiglia è d’accordo ed Ernst, per evitare il delitto di lesa memoria, aggiunge: «Faremo di tutto perché l’eredità di una delle stelle più grandi di sempre resti intatta». Il colpo di bacchetta magica si deve agli straordinari progressi compiuti dalle tecniche di de-aging. Il rischio è di trasformare Hollywood in una Zombieland dedicata alle celebrità impagliate, con i diritti di immagine da pagare al posto degli abituali cachet. La cosa non piace al sindacato attori, che annuncia contestazioni, ma la macchina del progresso va avanti. 
Il fantasma di James Dean rivivrà grazie alla rivoluzionaria Cgi (Computer generated imagery). Il pc elabora un’immagine reale animandola con movimenti mirati. È il procedimento usato per rinfrescare i classici cartoon Disney: nel Re Leone gli animali della giungla sono veri, ma le loro espressioni sono il frutto di una ricostruzione grafica. Il cinema può questo e molto altro. Realizza i sogni. Anche quello dell’elisir di lunga vita, dell’immortalità usa-e-getta, cercando di abbattere il confine (virtuale) con l’Aldilà. La società della chirurgia plastica e del fitness esasperato, appoggiata alla dittatura della bellezza, cerca soluzioni alternative all’invecchiamento, un surrogato di felicità. Ma la macchina del tempo, la Delorean di Ritorno al futuro, ancora non esiste. E allora largo al restauro digitale. Il successo delle app che consentono di ringiovanire e invecchiare con un clic, dicono gli esperti e le grandi compagnie Usa solleticate dal business, è lo specchio di un cambiamento che non riguarda solo i film ma si riflette nel costume e nel modo di tarare il bisogno di star bene con se stessi.
Il cinema corre, la scienza arranca. Eppure arrivare fin qui non è stato facile. L’opera che rappresenta il punto di svolta per la definizione di una nuova estetica digitale, Gemini Man di Ang Lee, è ammuffita in un cassetto per vent’anni prima di diventare un kolossal in 3D, passando nelle mani di un esercito di sceneggiatori e cambiando, nel lungo cammino, 7-8 protagonisti, da Harrison Ford a Clint Eastwood, prima di precipitare sulle spalle di Will Smith che si trova di fronte al clone (giovane) di se stesso. Con la benedizione di Netflix, in The Irishman Martin Scorsese ha tolto quarant’anni ad Al Pacino, Robert De Niro e Joe Pesci. J.J. Abrams in Star Wars: Episodio IX, nelle sale a Natale, rielabora sequenze d’antan in cui recita Carrie Fisher, da poco scomparsa.
L’effetto è sempre più realistico, il progresso hi-tech è un’alta marea inarrestabile. Intanto il frigorifero della fantascienza si riempie di prodotti surgelati. «Mamma, che impressione!», direbbe Alberto Sordi. In Rogue One: A Star Wars Story Peter Cushing potè reinterpretare il cattivo Tarkin 22 anni dopo la sua morte. In Blade runner 2049 ricompare la replicante Sean Young. Johnny Depp in Pirati dei Caraibi – La vendetta di Salazar cancella rughe e guance appassite. Nel crepuscolare Terminator – Destino oscuro Arnold Schwarzenegger T-800 e Linda Hamilton Sarah Connor fanno un balzo nel tempo di 35 anni: Schwarzy è un cyborg in pensione che fa il tappezziere, cambia pannolini e s’è appiccicato addosso una porzione di umanità. Il dubbio, alla fine, é se la resurrezione computerizzata sia un divertimento, una pia illusione o il risultato di uno smarrimento narcisistico. Più realisticamente viene da rispondere: questa è l’innovazione, bellezza.