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 2019  novembre 10 Domenica calendario

Il figlio che non poteva aver ucciso i famigliari

Già la fotografia di Henri Girard sulla copertina ha una torbida sgradevolezza che sembra nascondere qualcosa. Innanzitutto quello sguardo che sembra, come dicevano fosse quello di Baudelaire, «spaventato e spaventoso», poi i capelli, insolitamente lunghi per l’epoca. Una scelta probabilmente dovuta a due motivi diversi, la necessità di equilibrare l’irregolarità dei tratti e la moda lanciata dalla gioventù dorata dell’epoca, gli  zazou. Durante la seconda guerra mondiale, quando la repubblica di Vichy predicava la raccolta dei capelli tagliati dai parrucchieri per confezionare pantofole per i combattenti, gli  zazou li portavano ostentatamente lunghi. 
La foto è del 1951, dieci anni dopo il fattaccio su cui è imperniato il libro, ma Girard non sembra cambiato. Neanche i diciannove mesi passati in carcere sembrano avere inciso su quel viso apparentemente debole. 
Ma torniamo indietro, alla mattina del 25 ottobre 1941 in cui Henri si affaccia da una finestra del castello dell’Escoire, dove vive la sua antica famiglia, per chiedere aiuto. È apparentemente l’unico sopravvissuto di una strage inspiegabile: il padre, la zia e una domestica sono stati massacrati con una roncola che Henri aveva chiesto in prestito dalla moglie del custode. Tutti restano impressionati dalla sua tranquillità. Come se non bastasse tutti sanno che quello strano giovanotto è uno scialacquatore, pronto a simulare un sequestro della Gestapo per spillare centomila franchi alla zia. Stranamente non viene trovata la minima traccia di sangue sulle mani, sugli abiti e sotto le unghie del sospettato. Ma gli strumenti di indagine sono ancora arretrati. 
Bene o male vengono raccolte una settantina di prove e il processo sembra potere sfociare solo in una condanna a morte. Una sentenza imbarazzante per i francesi di quella che veniva denominata la Francia libera, affidata dall’esercito tedesco al governo collaborazionista di Vichy. Quella Francia profonda, antiquata e provinciale, velatamente antisemita di cui il villaggio del delitto era un tipico esempio. E forse tra le cause dell’inattesa assoluzione di Girard rientra anche l’imbarazzo di far vedere ai nazisti un simile esempio di degradazione morale. Ma il fattore determinante sembra essere stato. Oltre all’eloquenza del difensore, Maurice Garçon, destinato a diventare una celebrità in grado di ribaltare le cause più difficili, pare sia stata determinante le sua conoscenza dell’implicazione del presidente del tribunale nel torbido affare Stavisky. L’assoluzione di Girard, salutata dagli applausi del pubblico, confermava i principi della morale: un figlio non può avere ucciso i famigliari. Finalmente libero, Henri si disfa del castello e sperpera in breve tempo l’eredità. Sembra destinato a un lento declino quando, con un inatteso colpo di reni, parte per il Sud America. Lì per sopravvivere e non per assecondare la moda letteraria del momento, fa il camionista, il cuoco, il cercatore d’oro, il marinaio, il barista, il taxista e il contrabbandiere. L’esperienza involontariamente accumulata gli serve per scrivere un best seller, Il salario della paura, ambientato nei mondi senza legge che aveva frequentato, firmato con uno pseudonimo per sfuggire agli echi del passato. Il libro diventa un film e lui continua a scrivere con successo, mentre passa da una moglie all’altra, seminando distrattamente figli. Peccato che Jaenada, mentre analizza con cura questo strano delitto, ci parli un po’ troppo di sé. Ma nessuno è perfetto, come insegna Girard.