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 2019  settembre 10 Martedì calendario

Periscopio

Giuseppe Conte, che si è ormai convinto, complice anche l’abuso di brillantina, di essere davvero «unto dal Signore», ha colto come un messaggio divino anche la scomparsa, nei giorni scorsi, del suo padre spirituale e mentore, il cardinale Achille Silvestrini. La morte dello stratega dell’Ostpolitik (l’apertura all’Urss) gli ha permesso, senza passare dalla consueta delicata mediazione di monsignor Claudio Maria Celli, un altro giro nei Sacri palazzi e persino una pubblica benedizione del Santo Padre. In tempi di crisi di governo, infatti, nessun candidato alla presidenza del consiglio aveva mai avuto un tale privilegio. Luigi Bisignani. Il Tempo.Ho fotografato per tutta la vita. A Epoca ho avuto 16 direttori, fra i quali ricordo con nostalgia Nando Sampietro, che mi assunse nel 1964, Vittorio Buttafava e Sandro Mayer. Ma ho lavorato anche per Mario Pannunzio, Arrigo Benedetti, Nino Nutrizio e Pietro Radius, perché da apprendista vendevo immagini al Mondo, L’Europeo, La Notte, Settimo Giorno, Le Ore («non la rivista porno, eh»). Adesso il mio cruccio sono le 240 mila diapositive conservate nella casa di Varese: a chi andranno? Giorgio Lotti, già fotografo di Epoca, 82 anni (Stefano Lorenzetto). Corsera.
L’opposizione dovrebbe farsi sentire di più. Io sono impegnato nella battaglia culturale contro il governo e le fake news. Facciamo formazione politica: starò alcuni giorni di agosto con gli under 30, in una scuola che finanzio anche personalmente mettendo un mese del mio stipendio. Abbiamo prenotato per 100 ragazzi, siamo a 500 risposte. Sarà una scuola che punterà molto sulle donne: la responsabile è la professoressa Bonetti. E la prima lezione sarà quella della sindaca di San Lazzaro, in prima fila contro le cementificazioni, appena riconfermata con oltre l’80%: Isabella Conti è sindaca, avvocata, politica. Non se ne parla molto, ma sono tantissime le donne di qualità in questo paese: dobbiamo lavorare per rimuovere gli ostacoli alla loro affermazione. Del resto siamo stati i primi (e gli ultimi) a fare un governo con parità di genere. Matteo Renzi (Maria Teresa Meli). Corsera.
Questa casa parigina m’è costata una fortuna: apparteneva alla famiglia reale, all’inizio non riuscivo neanche a pagarla. Ma ha le colonne e sa che faccio? Metto la musica e ci ballo intorno! Ha pure davanti la Senna: a volte ci sono dei maschi che si piazzano sotto il ponte, mezzi nudi, pensano che nessuno li veda e non sanno che abito lì, allora prendo il binocolo e li guardo un po’... (risata). Sì, questa zona mi piace, perché vedo l’acqua. Com’era a Tunisi, da ragazzina. Claudia Cardinale (Francesco Battistini). Corsera.
Aspettando il mio turno per l’intervista, osservavo Gigi Buffon mai visto prima in carne e ossa. Più ossa: magro magro, lungo lungo. Il leggendario portiere parlava alla stampa di uno stiramento che lo teneva lontano dai pali. Tutti molto compresi, persi nei dettagli su tendini e muscoli, premurosi e ammirati. Gigi rispondeva preciso, serio, con pudore. Era il 2009 e ci ospitava il Centro juventino di Vinovo, nel torinese. Buffon, trentenne, pareva ne avesse 50 per maturità. Barba di due giorni e sopracciglia ad arco che davano gravità al viso. Nulla mi importava della conferenza. Mi colpì che il campione portasse su entrambi i polsi braccialetti in cuoio, argento, etnici, locali. Pensai a una debolezza scaramantica. Gigi Buffon, portiere (Giancarlo Perna). LaVerità.
Gimme danger, little stranger canta Iggy Pop, era il 1979, «Dammi qualcosa di pericoloso, piccola sconosciuta», canta la figura a torso nudo sul palco, mentre il gruppo suona una musica cupa, ripetitiva e ipnotica. Gimme danger and I’ll feel your disease, there’s nothing in my dreams, «Dammi il pericolo e io sentirò la tua malattia, non c’è niente nei miei sogni». Il pubblico inizia una battaglia, gli tira lattine, gli sputa addosso, ricambiato. Poi il cantante rompe una bottiglia e si taglia il petto con i cocci di vetro. Sangue. Provoca le prime file e poi si lascia cadere in mezzo alla gente, si picchia con qualcuno, la band continua a suonare. Ritorna sul palco distrutto, si rotola per terra, emette dei singulti che poi tornano a essere la canzone Beautiful baby, feed my love all night. Qualsiasi cosa succeda, vuole arrivare fino alla fine. Qualche volta lo portano all’ospedale. Punti di sutura. Ma non va a dormire, sta fuori tutta la notte, si prende a botte di nuovo. Ogni tanto sviene e dorme per strada. Era il 1969. Iggy Pop era un tipo pericoloso. Iggy Pop, della band Stooges (Luca Valtorta). la Repubblica.
Mio padre, Oriondo, era una gran buona persona in senso dostoevskiano, con forte senso del bene e del male. In guerra non voleva sparare. Si interrogava su tutto. Mia madre si chiamava Elena, era taciturna e grande lavoratrice, sempre a Messa e basta. Morì giovane d’infarto. Ferdinando Camon, scrittore (Luca Pavanel). il Giornale.
Cesare Maestri il 2 ottobre compie 90 anni e ogni giorno esce di casa per guardare le Dolomiti di Brenta. Non ha nostalgia: ha bisogno di «controllare sempre il mondo dove sono stato giovane e che mi ha insegnato tutto». Assieme a Walter Bonatti, dalla fine degli anni Cinquanta del Novecento, è stato il più forte rocciatore del mondo. Ha fatto la sua parte nello scrivere la storia dell’alpinismo e ha dedicato la vita all’avventura. «La grandezza di un’impresa», dice, «non è riuscire a farla dopo, ma immaginarla prima». Cesare Maestri, alpinista (Giampaolo Visetti). la Repubblica.
Mi piace pensare che la scrittura catturi qualcosa del mondo che amo e nel quale mi riconosco. Ho scritto di Rossini perché mi identificavo nella sua musica, nel suo inimitabile umorismo; ho scritto di Visconti perché è stato l’italiano più sui generis che abbia conosciuto; ho scritto di Belzoni perché fu incapace di adattarsi alle convenzioni. In ognuna di queste storie, come in altre, c’è una parte di me. Gaia Servadio (Antonio Gnoli). la Repubblica.
In Italia un protestante trova superficialità, ipocrisia, teatro. Un viaggiatore ottocentesco teorizza addirittura che con la sua pompa il cattolicesimo deturpa l’animo umano impedendo l’introspezione e la vera fede. Sarebbe per questo che «tanto più il cattolicesimo è radicato in un posto, tanto peggiori sono i suoi abitanti». Klaus Bergdolt, storico, già direttore del Centro di studi tedeschi di Venezia. il venerdì de la Repubblica.
L’abuso è tale solo per chi lo subisce. Roberto Gervaso. Il Messaggero.