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 2019  luglio 04 Giovedì calendario

Confessioni di Angela Gheorghiu

Proviamo ad andare oltre il cliché di Angela Gheorghiu artista capricciosa. Parliamo di una delle ultime dive, bella, piena di fascino, generosa (fu lei a favorire il lancio di Jonas Kaufmann), e con il coraggio delle sue idee. 
Ha raccontato la sua vita nel libro A Life for Art, di recente uscito a Londra, la città dove debuttò nel ’92 con La Bohème, e dove insieme con New York e i teatri italiani, ha colto i suoi maggiori successi, oltre a Vienna, Salisburgo, Tokyo… Nella terra di Puccini, a parte un gala e un premio, Angela non ha mai cantato un’opera: lo farà il 3 e il 10 agosto, in La Bohème ( la prima, il 20 luglio, tocca alla He Hui). «Sul contratto è tutto bello, hanno fatto uno sforzo, vediamo il risultato». Angela ha idee di nuovo repertorio, Manon Lescaut, Fedora, Pagliacci. «Ma voglio fare un passo alla volta. Se dico che torno in Italia, in una settimana sono piena. Scelgo solo cose ben fatte. Intanto Mimì, una donna vulnerabile e sensibile, che però sa quello che vuole, ha il coraggio di andare a bussare al vicino di casa con un pretesto per avere compagnia sotto Natale». 
Dove vivrebbero, oggi, i protagonisti della Bohème? 
«Li immagino studenti che vanno ai campus universitari da tutto il mondo, i figli dell’Erasmus. Certo oggi non si muore più di tisi, ma esisterà sempre lo stato d’animo che pervade quest’opera. Da ragazzi, quando pensi che sarai il re del mondo, sei il più bravo, c’è lo stupore dei sogni, si è felici con piccole cose. Gli artisti sono fatti della stessa materia, non importa la nazionalità, geneticamente sei uguale agli altri. Ho dei ricordi anch’io». 
È stata una bohèmien? 
«In Romania ho avuto momenti simili. Al liceo di Bucarest (dopo che lasciai Adjud, il mio villaggio distante 250 km), e poi al Conservatorio. Non c’era niente da mangiare, andavamo a letto e piangevamo di fame, vivevo in una stanza con cinque ragazze e il guardaroba era comune, se una di noi aveva una serata galante la facevamo bella, ognuna prestava un prezioso capo di abbigliamento, chi dava una scarpa, chi la gonna. Io, le truccavo tutte». 
Ma lei com’era da bambina, prima di andare a Bucarest? 
«Sono nata nel 1965, l’anno in cui fu eletto Ceausescu, c’erano molte speranze attorno a lui, le ferite della guerra stavano cominciando a sanarsi. Mia madre faceva la sarta e papà era ambizioso e charming, aveva una passione per volare ma lavorava alle ferrovie. In campagna, il maggiore evento era una danza locale folk». 
E la musica? 
«In casa non avevamo lo stereo, l’unica occasione di ascoltarla era la tv e la radio. Da bambina non avevo alcuna consapevolezza che la mia voce risuonasse in maniera diversa. A 14 anni andai in finale a Song to Romania, a quel tempo il maggiore festival del Paese. Non avevo alle spalle studi strutturati, il criterio di ammissione al Conservatorio di Bucarest era il talento». 
Che rapporti ha con il suo Paese? 
«Ho realizzato che sono nata in un Paese che non rispetta i suoi artisti, gli si chiedono compromessi, o concessioni assurde come quella di doversi esibire in forma gratuita, ma gli stranieri vengono pagati eccome. Il paradosso è che da ragazza, con Ceausescu, non era concesso di andare fuori se non con il coro, in città ritenute «tentatrici» come Vienna, seguita da corvi che erano membri dei servizi segreti. E ora, a 30 anni dal crollo del comunismo, vengo boicottata». 
Da ragazza non volle l’aiuto di Ileana Cotrubas. 
«Per La Traviata, che lei aveva inciso con Kleiber. Io dico a tutti: se vi sto a cuore, non mi date consigli, a meno che non sia io a chiederveli. Non voglio essere influenzata».
La Bohème ha un ruolo importante nella sua vita privata. 
«Mi sposai con Roberto Alagna all’intervallo di una recita al Metropolitan di New York. Ma solo perché qualcuno aveva perso i documenti e ci fu un problema burocratico. Ci unì in matrimonio il sindaco, Rudolph Giuliani, da allora è un mio grande fan». 
Ha una bella storia con un giovane che ha 20 anni meno di lei. 
«Mihai Ciortea, stiamo insieme da sei anni e vorrei vivere per sempre con lui. Ha smesso di fare il dentista per starmi accanto. Era un mio fan, ora è il mio guardian angel. Una volta mi raggiunse in California senza sapere che avevo annullato le recite, poverino. I suoi genitori sono miei amici, oggi non è realistico pensare di rivivere La Traviata, il padre che va da Violetta per dirgli di lasciare suo figlio». 
Cosa rappresenta Puccini per lei? 
«Direi cosa rappresenta per i romeni. All’inizio cantavo più Mozart e Verdi, ma ho ricordi bellissimi di La Rondine a 19 anni. Puccini lo consideriamo uno di noi. La prima Tosca, Hariclea Darclée, era romena. Alle prove, andò da Puccini e gli disse: hai scritto due arie stupende per il tenore e nessuna per il soprano. Hallo, ci sono anch’io. Su Hariclea in Romania è stato girato un film, lei era innamorata del baritono e Puccini ne era geloso, vabbe’ forse è stata un po’ romanzata la cosa».