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 2019  luglio 04 Giovedì calendario

Biografia di David Sassoli

Paolo Valentino per il Corriere della Sera
«L’aspetto non mi ha mai ostacolato, ma non sono un divo, sono molto noioso», ha detto una volta di sé David Sassoli con britannico understatement . La vaga somiglianza con il Robert Redford di «Tutti gli uomini del presidente» ha sicuramente giovato al giornalista e deputato del Pd, eletto ieri alla guida del Parlamento europeo.
Da inviato speciale del TG3 di Sandro Curzi per fatti di mafia e criminalità, da collaboratore di Michele Santoro ne Il Rosso e il Nero, da conduttore di La cronaca in diretta e soprattutto da anchorman del TG1 delle 20, Sassoli è stato per lunghi anni un volto riconoscibilissimo della Rai.
Nel giornalismo è stato figlio d’arte. Suo padre, Domenico, fu una firma di politica estera prima a La Nazione e poi a Il Popolo. Ma le mostrine se l’è dovute conquistare da solo. Raccontano che nel 1985 l’assunzione al Giorno, il suo primo lavoro fisso, venne favorita da uno scoop che aveva rivelato a un collega di Famiglia Cristiana dopo un viaggio a Parigi: Gianni De Michelis aveva detto a Oreste Scalzone che si stava lavorando a un’amnistia. Sassoli lo aveva sentito personalmente. Il settimanale pubblicò la notizia, che fece arrabbiare il presidente Pertini e gli procurò l’ostilità del ministro. Ma il fiuto del ragazzo, allora neppure trentenne, gli valse il contratto al quotidiano dell’Eni.
David Sassoli è nato a Firenze nel 1956. Ma anche se tifa Fiorentina e mette Giorgio La Pira nel suo Pantheon, le radici le ha messe a Roma. È al liceo Virgilio che ha conosciuto Alessandra Vittorini, la compagna di scuola che ha poi sposato e con la quale ha fatto due figli. Il mondo della sua formazione è stato quello del cattolicesimo progressista romano, da Moro a Bachelet.
Una figura soprattutto, il giornalista Paolo Giuntella, scomparso undici anni fa, che gli fu mentore e amico, ha segnato il suo percorso intellettuale. Sassoli è stato attivo nei circoli animati da Giuntella, come «Il Ferrari» e la «Rosa Bianca», quest’ultima ispirata all’omonimo movimento di giovani cristiani tedeschi che si oppose al nazismo. Un legame così forte, che nel discorso d’investitura Sassoli ha citato proprio Sophie e Hans Scholl, i leader della Weiss Rose: «La nostra storia è scritta sul loro desiderio di libertà».
E poco dopo l’elezione, il neo-presidente ha twittato anche una frase di Aldo Moro: «Si tratta di vivere il tempo che ci è stato dato con tutte le sue difficoltà. Si tratta però anche di essere coraggiosi e fiduciosi».
All’impegno pubblico, Sassoli arriva nel 2009. Quando Walter Veltroni dà vita al partito democratico, è fra i primi a aderire. Con la sua aria kennediana, è un perfetto candidato da copertina per le europee del 2009: capolista nell’Italia centrale, viene catapultato all’Europarlamento da oltre 400 mila preferenze. Il salto è compiuto. Dice di volersi dedicare alla politica «per tutta la vita». Sassoli non lo sa, ma sta dando ragione a Henry Kissinger che una volta mi disse: «Journalism is for boys».
Ci sarà, nel 2012, la delusione delle primarie democratiche per la scelta del candidato sindaco di Roma: Sassoli è secondo dietro Ignazio Marino ma davanti a Paolo Gentiloni. Poi nel 2014 il ritorno a Strasburgo, nel Pd ormai renziano e parte della famiglia socialdemocratica. Viene eletto vice-presidente del Parlamento, un buon viatico col senno di poi. Si occupa soprattutto di trasporti, firmando il rapporto parlamentare sulla riforma ferroviaria in Europa e l’unificazione dello spazio aereo. Il 26 maggio è rieletto per la terza volta con quasi 130 mila preferenze.
Gli amici di una vita lo descrivono «tranquillo, paziente e tenace». Se gli hobby sono un’indicazione, la sua dedizione al giardinaggio, che Sassoli pratica nella casa di campagna a Sutri, può suonare come una conferma: «Io pianto e zappo». Sono doti che gli serviranno da presidente del Parlamento: «Nessuno in Europa – ha detto ieri – può accontentarsi di conservare l’esistente. Dobbiamo avere la forza di rilanciare il nostro progetto d’integrazione, cambiando l’Unione per dare risposte vere alle preoccupazioni e al senso di smarrimento dei nostri cittadini».

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Mario Ajello per Il Messaggero

Naturaliter mattarelliano. Cattolico-democratico. E non a caso, appena è diventato presidente dell’Europarlamento, David Sassoli ha citato Aldo Moro, uno dei suoi punti di riferimento politici e ideali di cui sa tutto e i cui scritti legge e rilegge e discute anche con gli amici a cena a Bruxelles, dove vive da 10 anni (tranne il weekend tra Roma e Sutri dove ha casa). E dunque, accingendosi a diventare l’unico italiano ai vertici delle istituzioni Ue, Sassoli osserva: «Si tratta, come diceva Moro, di vivere il tempo che ci è stato dato con tutte le sue difficoltà. Si tratta però, anche, di essere coraggiosi e fiduciosi». 
Ha fatto molta gavetta in 10 anni da europarlamentare, fino a diventare vice-presidente e ora presidente dell’assemblea, e sa bene quanto le trasformazioni epocali del continente richiedano una politica saggia ma allo stesso tempo non paurosa. «Serve il massimo d’audacia», è il suo proponimento. E il nostro Paese, che stenta a inserirsi nel quadro del potere europeo e che è stato tagliato fuori dall’asse continuista franco-tedesco, ha trovato una carta imprevista in Sassoli e lui fa bene a sottolineare il tema dell’orgoglio nazionale: «Spero che l’Italia sia contenta» di questa elezione. Che ci può dare un protagonismo e una centralità di cui c’è assoluto bisogno. E il timbro Sassoli è quello di un italiano in missione per umanizzare la Ue. Per liberarla da certe rigidità che la rendono asfittica, per darle un respiro che in questi anni - non per colpa dell’Europarlamento ma per l’azione o l’inazione di altri palazzi - non ha avuto. 
Il tipo - ex volto familiare del Tg1 e poi vicedirettore del telegiornale, aria da bravo ragazzo ormai 63enne, indelebile impronta scout - è rassicurante, dialogante, inclusivo. Caratteristiche che l’hanno portato dove è arrivato e custodiscono anche il senso e il sapore di ciò che vorrà essere la sua presidenza. Non sottovaluta la forza dei partiti sovranisti Sassoli, ma non li demonizza: «Il populismo si batte con la buona politica». Il che non è un’ovvietà, ma una constatazione che gli viene, oltre che dall’esperienza diretta accumulata in questi anni, dalla lettura dei libri di storia. A cominciare da quelli di storia romana, da lui prediletta, in cui l’idea civilizzatrice dell’Occidente si dipana e si sviluppa nelle pagine dei grandi autori e per lui il passato rappresenta una traccia da non perdere. Non ha ancora letto il tomone di Antonio Scurati su Mussolini, intitolato M e probabile vincitore del prossimo Premio Strega, ma si augura di farlo presto.
Intanto è il momento in cui lo chiamano tutti per i complimenti, a cominciare da Zingaretti e dagli altri colleghi del Pd. Ma è il messaggio di Mattarella quello in cui il senso nazionale, e non partitico, del successo ottenuto da Sassoli si coglie davvero: «A nome degli italiani tutti e mio personale desidero porgerle le più vive congratulazioni per la sua elezione alla presidenza del Parlamento Europeo e sentiti auguri di pieno successo nello svolgimento del suo importantissimo incarico». 
LA COMPLESSITÀ
Sassoli, fiorentino, gran tifoso dei viola, due figli con la moglie Alessandra conosciuta sui banchi del liceo, soprannominato il bello della sinistra e nativo dem (Veltroni lo coinvolse nel nuovo partito), la passionaccia per la politica l’ha avuta da sempre anche se avrebbe voluto fare l’archeologo. Suo padre, parrocchiano di don Milani, era amico di Giorgio La Pira. E lui in quel cattolicesimo democratico è cresciuto, per poi diventare giornalista alla redazione romana del Giorno e quindi in Rai. Si racconta così: «Mi piace la complessità della politica, la politica vera, non le semplificazioni». Non gli piacciono i gesti spettacolari. E infatti l’altro giorno, davanti allo show degli eurodeputati inglesi pro-Brexit che hanno voltato le spalle alle note dell’inno europeo, Sassoli ha reagito: «Io davanti all’inno di ogni Paese mi metto sull’attenti». Ecco, la sua sarà una presidenza «aperta e rispettosa». E non fa che ripetere Sassoli: «Ci vuole più Europa». Ossia il coraggio di tornare all’ispirazione dei padri fondatori, per andare avanti. Il Manifesto di Ventotene il neo-presidente lo conosce quasi a memoria. E in questi frangenti gli piace ricordare il richiamo di Jean Monnet: «E’ molto attuale. Diceva: niente è possibile senza gli uomini, niente dura senza le istituzioni». Per Sassoli, l’aula di Strasburgo e quella di Bruxelles sono i luoghi «dove si protegge la nostra indipendenza». Dalle ideologie, dalle lobby, dai potentati. Solo in uno spazio libero, insomma, si possono prendere decisioni libere nell’interesse generale: e il cambiamento del Trattato di Dublino sui migranti, così penalizzante per l’Italia, è uno dei primi impegni che Sassoli si è assunto. Guadagnandosi anche i complimenti di Berlusconi. 
PRIMARIE A ROMA
Prima ai ora c’è stato il Sassoli - un tipo mai sopra le righe, anzi «un noioso»: autodefinizione - che si candida alle elezioni europee del 2009 come capolista nell’Italia centrale e raccoglie una valanga di preferenze (412.500). Lavora subito bene e si fa notare. Nel 2012 perde le primarie del Pd per la candidatura a sindaco di Roma, quando vinse Marino e lui si piazzò secondo davanti a Gentiloni. Si ricandida nel 2014. E diventa vice presidente del Parlamento europeo. Il Pd lo ripresenta nel maggio scorso, ed è il tris. A Strasburgo ha maneggiato particolarmente, in commissione trasporti, il cosiddetto «quarto pacchetto ferroviario», ossia la modernizzazione a livello europeo dell’intera rete, tra cui anche la Tav: di cui è sostenitore. E da vice-presidente si è battuto, dentro il bureau del Parlamento, contro gli sprechi. Esempio: perché non abolire il costoso trasporto, a bordo di decine di camion da Bruxelles a Strasburgo, di documenti ad uso dei parlamentari? Lui nell’epoca digitale ha proposto di superare il sistema della carovana, ma i deputati dopo una consultazione on line hanno decretato: «Noi preferiamo studiare i dossier sulla carta e non nei file». Ecco, si tratta adesso di togliere di mezzo tanti piccoli e soprattutto grandi conservatorismi nell’edificio Ue. E non è escluso che con un mix di garbo e fermezza, il cocktail italiano denominato Sassoli, non ci si possa riuscire. 

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Salvatore Cannavò per il Fatto Quotidiano
La più alta carica italiana in Europa è appannaggio del Pd. David Sassoli, deputato europeo dal 2009, ex giornalista, cattolico democratico cresciuto nella giovanile Dc, è il nuovo presidente del Parlamento europeo per conto del gruppo dei Socialisti e Democratici. Sostituisce un altro italiano, e giornalista, Antonio Tajani, anche se fra due anni e mezzo dovrà lasciare il posto a un popolare per effetto della staffetta tra i primi due grandi gruppi dell’Europarlamento.
La candidatura covava da qualche giorno, dopo che si era capito che l’accordo per le nomine di più alto rango – Commissione, Bce, Alto rappresentante, Bce – aveva premiato Germania, Francia e Spagna. All’altro grande Paese dell’Unione toccava quindi un’altra pedina e per il gioco incrociato delle famiglie politiche e delle nazionalità, la scelta è caduta sui socialisti e, per gli equilibri interni, su Sassoli.
A suo favore ha pesato il buon rapporto tra il Pd e il Psoe di Pedro Sánchez che, avendo ottenuto con Josep Borrell l’Alto rappresentante, ha favorito la proposta italiana. Osteggiata, a quanto raccontano da Strasburgo, dai tedeschi. La delegazione della Spd ha vissuto come un tradimento la bocciatura dell’olandese socialista Frans Timmermans e non ha gradito il giochino di Angela Merkel a favore della sua “delfina” Ursula von der Leyen. Nella prima votazione di ieri, in cui Sassoli ha mancato l’elezione per sette voti, ad astenersi sono stati proprio i socialisti tedeschi.
Alla seconda votazione, invece, il successo è stato netto, 345 voti, quasi tutti socialisti e popolari, con Forza Italia astenuta, Lega e Fratelli d’Italia sdegnosamente contro e M5S che ha dato libertà di voto (e qualche voto da quella parte è venuto) ricambiato dal Pd nella votazione finale sulla vicepresidenza a Fabio Massimo Castaldo. Nessun bisogno di ricorrere all’appoggio, probabile in terza votazione, della sinistra del Gue.
Sassoli è sembrato scegliere, fin dal suo discorso di insediamento, un taglio sociale. “C’è bisogno di un’Europa che recuperi il rapporto con i cittadini, la dimensione sociale dell’Europa e che riformi il Trattato di Dublino”. Il riferimento è alla norma che impone ai migranti sbarcati nel Vecchio continente, di poter presentare la domanda di asilo nel Paese di sbarco, il quale poi dovrà accogliere il migrante per il tempo necessario a rispondere alla domanda. Un posizionamento sulla priorità della fase politica con una nettezza del messaggio che ha subito infastidito Matteo Salvini, e di cui, sia detto a margine, il segretario del Pd, Zingaretti, non è in genere prodigo.
Il personaggio, del resto, la politica la conosce bene. A dispetto di un curriculum di giornalista “prestato alla politica”, da giovane è stato uno dei protagonisti della “rivolta giovanile” all’interno della Democrazia cristiana. È tra i “sette saggi”, infatti, che promuovono il rinnovamento dei giovani democristiani e fanno da traino al congresso di Maiori del 1983, quello vinto dai “trasgressori”, in cui abbondavano gli obiettori di coscienza, come Roberto Di Giovanpaolo (poi senatore dem) o Renzo Lusetti che dei giovani democristiani sarà segretario dal 1984 al 1987. Amico da allora di Dario Franceschini, si lega alla sinistra democristiana d’antan, quella che legge don Sturzo ma gli affianca Antonio Gramsci, che si forma alla scuola dei “professorini della Costituente”, Dossetti, La Pira, ma anche Fanfani e Moro, e che inizia a organizzare i convegni estivi in Trentino. Quelli che Clemente Mastella attribuiva ai ragazzi “con le camicie a quadri e i calzettoni alle ginocchia”. Farà parte della Rosa bianca, l’associazione che di quell’area raccoglie l’eredità e che ha certamente un buon feeling con Sergio Mattarella.
Con Clemente Mastella, però, ha una consuetudine importante perché, si legge nel diario di Giuseppe Sangiorgi, vice di Mastella nell’ufficio stampa Dc 1982-1989, poi membro dell’Agcom, viene assunto proprio dall’ex ministro beneventano. Grazie alla Dc viene poi inserito all’Asca, l’agenzia di stampa cattolica dove mette a segno uno scoop importante: è testimone a Parigi dell’incontro tra l’allora ministro socialista Gianni De Michelis e il rifugiato politico, di Potere operaio, Oreste Scalzone. La vicenda ha un certo clamore e a Sassoli, si legge ancora nel diario di Sangiorgi, costerà un po’ di fatica quando dovrà entrare al Giorno, quotidiano controllato dall’Eni e, quindi, dai socialisti. A contrastare la sua assunzione è proprio De Michelis, ma alla fine la solidità democristiana ha la meglio e da lì inizia la carriera che poi lo porterà al Tg3 e al Tg1.
Lascia la professione nel 2009 per le elezioni europee, candidato da Dario Franceschini segretario del Pd. Ottiene un mare di preferenze e nel 2013 pensa di fare un ulteriore salto candidandosi alle primarie per il sindaco di Roma. Ignazio Marino straccia sia lui sia Paolo Gentiloni, che però benediranno sempre il giorno in cui quelle primarie le hanno perse.

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Gianni Riotta per La Stampa
«In uno studio televisivo, meglio indossare un paio di Clarks, la suola morbida non fa rumore» era il consiglio di David Sassoli ai giornalisti debuttanti al venerabile Tg 1 Rai. Lo stile dell’ex vicedirettore e anchorman del telegiornale leader, da ieri presidente del Parlamento europeo, è tutto in quella battuta, poco chiasso, conta il lavoro. Suo padre era un intellettuale della cultura cattolica del dissenso, protagonista della Lega Democratica che nel 1975, con Scoppola, Ardigò, Paolo Prodi, incalza la Democrazia Cristiana verso le riforme. David Maria nasce nel 1956 a Firenze, città dove i cristiani anticonformisti sono storia, dal sindaco La Pira a don Enzo Mazzi della comunità Isolotto. Gliene restano un tifo, morbido, per la Fiorentina e una pronuncia pulita, ammaliante per gli ascoltatori.
Studia a Roma, al Virgilio, e fa politica con le elezioni dei Decreti Delegati, mai estremista in anni roventi, preferendo i campeggi scout. Un distacco che manterrà laureandosi in Scienze Politiche alla Cesare Alfieri di Firenze, condiviso con l’amico di una vita, Massimo de Strobel, poi caporedattore al Tg1 e Tg3. Insieme provano a far dialogare l’allora leader Dc De Mita con gli intellettuali cattolici e passano le serate su una panchina del quartiere Prati, con il maestro Paolo Giuntella. Fino alla morte, prematura, quirinalista del Tg 1, Giuntella fa impegnare i due ragazzi nella Rosa Bianca, movimento che anticipa i toni di Papa Francesco, radicandoli sulla cultura di Paolo VI.
Da volto tv di Tg3 prima e Tg1 – le ossa se le era fatte da cronista al Giorno - la sua popolarità è grande, per strada signore e ragazze lo fermano, per un autografo, per un selfie. Lui non ci bada neppure, sposato con una compagna di scuola, Sandra Vittorini, Sovrintendente ai Beni Culturali de L’Aquila, di cui nessun sito di pettegolezzi ha foto nei party famelici della Roma trash.
Conosco David dal nostro lavoro comune al Tg1 (piena trasparenza) e quando gli proposi di diventarne vicedirettore e assumere la responsabilità degli speciali, incluso lo storico TV7, scoppiò a ridere «Dai, il centrosinistra ha ben altri candidati!». Era vero, c’erano ex Pci in lotta contro ex Dc, per non dire di Rifondazione Comunista, ma non appena nominai David, l’uomo delle Clarks mise d’accordo tutti. Fu lui a riportare in Rai e al Tg1, nel 2006, Enzo Biagi, che era stato allontanato dai governi Berlusconi: lo fece in un’intervista che fece arrabbiare tanti, in cui Enzo, per l’ultima volta, parlò saggio al suo grande pubblico. E fu Sassoli a fare la ola con Fiorello, in diretta nello studio, rompendo mezzo secolo di aplomb. «Abbiamo il 33% di ascolti – ripeteva in mensa a Saxa Rubra ai colleghi Giubilo, Ceccagnoli, de Strobel - la nostra responsabilità è immensa».
Quando, nel 2009, l’allora segretario Pd Franceschini gli propone la candidatura alle Europee, confessò a un amico «Chissà che ne direbbe Paolo Giuntella, ma se dico sì addio al giornalismo, niente porte girevoli come tanti furbi». Le preferenze sono record, 412.502, e in Parlamento Sassoli si fa apprezzare per lo stile soft, amico dei socialisti che lo hanno votato, dei popolari con cui ha radici comuni, apprezzato da liberali e verdi, perfino da qualche avversario.
Il suo discorso di inaugurazione sarebbe piaciuto a Giuntella, come al suo primo direttore Tg1, Albino Longhi, la scia del cattolicesimo sociale che crede nell’Europa e combatte populismo e nazionalismo. Scommetto che David sarà equanime, ogni qualvolta i diritti delle minoranze saranno a rischio in aula, come quando, Prodi premier, insisteva perché la Lega avesse un servizio in più o, Berlusconi premier, chiedeva spazi per Cgil e Cisl, o quando, per primo, mandò una troupe, guidata da Bruno Luverà, a seguire un comizio-spettacolo di Beppe Grillo, realizzando uno speciale TV7 che anticipò le crociate 5 Stelle. Clarcks ai piedi, s’intende.