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 2019  giugno 05 Mercoledì calendario

L’angoscia non è un male terminale

Non mi si venga a parlare di libertà di decidere il proprio fine vita nel caso di Noa Pothoven. Non mi si obbietti che questo permette la legge olandese, possono esserci anche leggi che consentono azioni abominevoli. Già me lo aspetto, quindi mi prendo anche la responsabilità di aggiungere che non è nemmeno il caso di fare paragoni strumentali, non c’è alcun nesso tra questo episodio e le leggi che regolano il diritto delle madri di decidere sulla propria gestazione, o di persone la cui vita è resa infernale da patologie devastanti e irreversibili.
Il dolore psichico, per quanto atroce possa essere, è uno stato su cui la clinica ha strumenti per lavorare, ancora di più il disagio di un’adolescente è una condizione che comunque è da considerare potenzialmente mutevole, quindi con possibilità di evoluzione. 
Quale psichiatra direbbe con assoluta certezza a un suo paziente: «È meglio che ti ammazzi, tanto per te non c’è più niente da fare!». E questo in sintesi è stato detto da chi ha dato il suo parere «scientifico» sull’uccisione legale di Noa.
È incommensurabile la ferita di chi subisce uno stupro, sicuramente accade che per molti questo evento possa trasformarsi in una volontà suicida. Qui però stiamo parlando di un essere umano che ancora è poco più di una bambina, che comunque aveva negli ultimi anni elaborato il suo dramma scrivendo un libro, ponendosi come testimone di una disfunzione istituzionale nel suo paese; Noa sosteneva che chi subisce violenza sessuale non trova in Olanda strutture adeguate a fornire risposte concrete. Quel civilissimo paese per tutta risposta le ha dato il passaporto per l’altro mondo. 
Il progetto del suicidio era diventato il fulcro dell’attività della ragazza sui social, il suo progetto di morte era stato per lungo tempo argomento di discussione con i follower. Quando il topic di una chat pubblica è il desiderio di morire, perché ci si sente depressi, non è possibile che nessuno intervenga per dare gli strumenti più efficaci per arginare e contenere quel problema, chiunque scrive in un social aperto «Io mi ammazzo» come minimo viene segnalato alla polizia postale. 
Sarebbe quindi più corretto che lo stato intervenisse non per favorire la morte, ma per guarire dal desiderio di morte. Un giovane cervello intriso di angoscia non equivale a essere un malato terminale, il suicidio è una delle più importanti cause di decesso tra gli adolescenti, (per l’Oms è la seconda causa di morte per i ragazzi tra i 15 e i 29 anni), che in Olanda alla luce di questo ci si attrezzi perché possa essere facilitato da una legge significa che alla fine lo si considera una sorta di selezione naturale, un’apoteosi legalizzata del più bieco bullismo. Il bullo, che appartiene a suo dire al genere dei forti e vincenti, sostiene che la vittima dei suoi soprusi è tale perché appartiene geneticamente alla stirpe degli sfigati. Il sospetto fondato è che, per la stessa equazione, tutti i ragazzi depressi e incapaci di reagire alle violenze, come pure a uno stupro, sia meglio che se ne vadano in silenzio a farsi fare un’iniezione letale. Un peso in meno per tutti i cervelli sani al cento per cento, anche perché questi ragazzi con pensieri suicidi, una volta cresciuti, non porteranno nulla di utile alla società. Alla fine i nazisti la pensavano più o meno così.