Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2019  maggio 03 Venerdì calendario

Fubini ha scelto di non dare una notizia

Che non si muore per amore è una gran bella verità. Però di cure sanitarie inadeguate si muore e per amore si può nascondere la verità a se stessi e agli altri, rinchiuderla nello scantinato della coscienza e sperare che lì resti. Finché un giorno apri la porta di casa e te la trovi davanti: eccomi qui, non me ne sono mai andata. Che è più o meno quanto successo al giornalista Federico Fubini, vicedirettore del Corriere della Sera e autore di un bel libro che a tanti lettori di Libero non piacerà (non avendogli mai parlato e pensandola diversamente da lui su tante cose, il sottoscritto non ha problemi a dirne bene). Gli altri protagonisti sono settecento bambini greci morti e la storia, in sostanza, è che Fubini non ha fatto il proprio dovere. Nelle sue corrispondenze da Atene non ha scritto che la mortalità infantile in Grecia ha avuto un’impennata dopo l’inizio della crisi e l’arrivo del Fondo monetario internazionale, cui si deve la cura che ha migliorato i conti pubblici e immiserito la popolazione. La notizia di quelle settecento piccole vittime “collaterali” era inedita, lui l’aveva scoperta consultando i dati statistici, ma si rifiutò di darla. «È stato un caso di autocensura», ammette ora nel libro, e viva la sincerità. Scelta presa per amore della sua idea d’Europa, lo stesso che lo ha spinto a entrare nel comitato consultivo della Open Society, la fondazione dello speculatore ungherese George Soros, e per paura dell’uso che ne avrebbero fatto gli altri, i «sovranisti», «gente capace di impadronirsi dei morti altrui e usarli senza scrupoli», la descrive lui. «Fra il 2008 e il 2016», racconta Fubini nel capitolo della confessione, «i decessi dei neonati nei primi dodici mesi di età in Grecia crescono dal 2,7 per mille al 4,2 per mille: un caso di regressione unico sul suolo europeo». Mai successo nel continente dopo il 1945, «se non forse nell’ex Jugoslavia durante la guerra e nelle economie del socialismo reale con gli sconvolgimenti della transizione al mercato». Non è un indicatore qualunque, quello della mortalità infantile, bensì la spia che dice se il sistema sanitario riesce a svolgere le funzioni essenziali, oltre che un parametro di civiltà. Il nesso tra quelle morti e la “cura” imposta dal Fmi è sicuro. «Non c’è dubbio», riconosce il vicedirettore del Corriere, «che in Grecia due milioni e mezzo di persone hanno perso la copertura di un’assicurazione sanitaria nei primi cinque anni durante i quali gli europei hanno imposto le proprie condizioni al paese. Non c’è dubbio che la spesa sanitaria per abitante si è dimezzata secondo Eurostat da 1.468 a 770 euro correnti, mentre la quota di bambini greci con un peso sotto ai due chili e mezzo alla nascita – una soglia di rischio secondo l’Organizzazione mondiale della sanità – è salita dal 6,7% nel 2005 all’11,5% nel 2014 e la quota di nati prematuri da otto a quasi tredici ogni cento». Meno cibo, meno spesa sanitaria, meno medici e infermieri a presidiare i reparti di neonatologia, più morti. Dal rapporto debito/pil al cimitero il passo può essere breve. Curiosamente, Fubini vede la propria parte, quella degli europeisti, assediata come gli ebrei a Masada dai barbari (romani) che la pensano all’opposto. Percezione lecita, anche se pare più rispondente al vero quella opposta, dal momento che quasi tutti i mezzi d’informazione, il mondo della cultura e le gerarchie vaticane, dal papa in giù, ogni giorno ci ripetono che dobbiamo amare le istituzioni europee come noi stessi. Resta il fatto che, per non regalare ulteriori armi al nemico, Fubini scelse di tacere. Pentendosene, alla fine. «È un drammatico fallimento dell’europeismo nel nostro paese il non avere osato protestare, quando con l’assenso dei governi di Roma l’Unione europea ha imposto ad Atene condizioni da pace tacitiana. È un mio fallimento personale, ma non solo mio, l’aver rimosso l’argomento successivamente». Almeno ha vuotato il sacco adesso, prima delle elezioni europee. Ragioni di coscienza o necessità di vendere il libro, poco importa.