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 2019  marzo 22 Venerdì calendario

L’Aquila resta nel caos politico

Il nuovo terremoto, fortunatamente solo politico, dell’Aquila giudicato da chi le rovine, quelle drammatiche del 2009, le ha vissute sulla sua pelle perché sindaco della città. È Massimo Cialente, che è stato primo cittadino dal 2007 al 2017 e anche deputato Pd, dal 2001 al 2008. Lo scorso marzo si è candidato al Senato ma è stato sconfitto dall’ex ministro alle Riforme costituzionali, Giovanni Quagliariello. Adesso osserva, senza incarichi, la politica della città: «Per dare un’idea della paralisi in cui versa l’amministrazione basta dire che il 13 marzo il consiglio comunale avrebbe dovuto discutere la prima delibera del 2019. Neanche in una città ideale, dove tutto funziona alla perfezione, ci si potrebbe permettere una simile inerzia. Le possibilità sono due: o si decide finalmente di amministrare la città o, più dignitosamente, ci si dimette».Alle comunali del 2017 il centrodestra ha strappato il Comune al centrosinistra, ribaltando il risultato del primo turno ovvero passando dal 35,9 al 53,5% (mentre il candidato del centrosinistra è retrocesso dal 47,01 al 46,4%). Ma il sindaco Pierluigi Biondi (Fratelli d’Italia) ha ora annunciato le dimissioni per divergenze all’interno della maggioranza (con assessori che se ne sono andati e consiglieri del suo stesso partito che gli hanno votato contro) però in suo aiuto sembra arrivare un gruppo di fuoriusciti Pd ed è quindi possibile che egli ritiri le dimissioni e si rimetta al lavoro. Sullo sfondo ci sono ancora i segni del terremoto, molto ancora è da ricostruire ed è riprovevole che a 10 anni di distanza non sia stata ancora messa la parola fine alla ricostruzione.
Cialente, il sindaco del terremoto, fa una fotografia sconcertante della situazione in città: «Da cittadino aquilano seguo indignato, preoccupato, arrabbiato per quanto sta accedendo in consiglio comunale. Sfaldata la maggioranza, sfaldata l’opposizione, gruppi e gruppetti si confrontano tra rancori personali, invidie, vendette, carrierismi, trasversalità. Sullo sfondo restano una città e un comprensorio ancora gravemente sofferenti, con un arresto della ricostruzione fisica, una crisi economica e sociale drammatica. Da quando il sindaco ha cercato di mollare per inseguire la candidatura a presidente della Regione, nel centrodestra è scattato il tana-liberi-tutti. L’opposizione di centrosinistra non esiste, guidata, tranne poche eccezioni, da un solo obiettivo: quello di conquistarsi un predellino sull’autobus di una trasversalità, in parte generazionale, per giocarsi tutti insieme qualche scampolo di clientelismo e sottopotere».
Massimo Cialente, 67 anni, è aquilano doc. Prima dell’impegno politico è stato dirigente della Divisione di pneumologia dell’ospedale dell’Aquila e docente all’università. Chi meglio di lui conosce la città? Spiega: «Sia il centrodestra che il centrosinistra sono arrivati alle elezioni senza un progetto politico e strategico per questa città. Non c’era niente, non un ragionamento, un’analisi, un progetto, una visione. Risibili i due slogan proposti in campagna elettorale. Quello del centrodestra: «Un granello per bloccare il meccanismo», quello del centrosinistra: «Educazione ed amore». Il ballottaggio è stato farsesco. Quando manca la politica, si va avanti alla giornata. Senza etica della responsabilità, senza valori fondamentali, senza distinguo».
Assicura che la sua non è un’analisi di parte, anche se il suo cuore continua a battere nel centrosinistra, che però in città appare rantolante. Del resto lui di incarichi non ne ha più, né ne vuole. Fa ricorso a un esempio cinematografico: «Sì, mi viene in mente La guerra dei bottoni, quel film che racconta di due bande di ragazzini che verso la fine della seconda guerra, in Irlanda, si affrontano in continue battaglie per spartirsi il territorio ed affermare, senza un fine, la supremazia dell’una sull’altra. È quello che succede oggi nella politica aquilana. Si cercano solo poltrone e sottopotere, in vista delle prossime scadenze elettorali».
Da parte sua il sindaco dimissionario Pierluigi Biondi rigetta le accuse, sorvola sulla crisi della sua coalizione oltre che della giunta e dice che tutta la colpa è del governo e per questo, se non succederà nulla, se ne andrà: «Nonostante le indiscrezioni, le rassicurazioni e le promesse – dice – non vi è ancora traccia del decreto legge con i fondi per il riequilibrio del bilancio del Comune dell’Aquila e del provvedimento contenente le misure a sostegno delle aree colpite dal sisma in Abruzzo, Centro Italia e Sicilia. Ricordo, comunque, che i 10 milioni per la copertura delle maggiori spese e minori entrate per l’Aquila sono solo una piccola parte delle esigenze cittadine rappresentate a più riprese al governo, una condizione necessaria ma non sufficiente per un pieno rilancio del territorio».
Una chiamata in causa del governo che non piace al sottosegretario alla Ricostruzione, Vito Crimi: «Accolgo con dispiacere la notizia delle dimissioni del sindaco dell’Aquila ma lo invito a non scaricare sul governo responsabilità che non ci appartengono. Il decreto antisisma prevede un finanziamento di 10 milioni di euro a copertura delle minori entrate del Comune aquilano. Spero che la scelta del sindaco non sia una scusa per nascondere i problemi di maggioranza interna all’amministrazione locale».
«Vede? È un caos», dice Massimo Cialente, che poi lamenta come l’Italia continui a essere impreparata ai terremoti. Si susseguono i governi, di diverso colore, ma nulla cambia: «Non abbiamo imparato niente perché dopo L’Aquila c’è stato il 2012 in Emilia, il 2016 ad Amatrice, il 2017 a Campotosto e l’unica cosa che sappiamo è che i terremoti sono eventi naturali periodici. Non si scappa. Eppure in Italia ogni volta è la prima volta, non impariamo niente. Vorrei che il decennale dell’Aquila fosse un’occasione per una vera condivisione nazionale di tutto quello che abbiamo visto dopo i terremoti di questi anni. Dobbiamo riprendere in mano i fascicoli e capire passo passo dove sono emerse delle difficoltà, dove si è perso tempo, dove i progetti si sono incagliati».
All’Aquila la terrà tremò (soprattutto) il 6 aprile. Le vittime furono 309, i feriti 1.600. La città fu rasa al suolo, in 80 mila dovettero abbandonare l’area. Una serie di iniziative per commemorare e ricordare sono già in programma. Da parte sua Cialente conclude: «Tutte le norme sono fatte in modo che alla fine, comunque vada, il responsabile è sempre il sindaco. Una legge stabilisce che i Comuni devono misurare la sicurezza sismica di tutti gli edifici pubblici, quindi anche i cinema, i supermercati e le scuole; ma dice anche che non hai l’obbligo di intervenire. Quindi se io scopro, come è successo alla scuola Cotugno all’Aquila, che l’edificio ha un indice di sicurezza 0,25 che faccio, la chiudo? Se viene una scossa e cede, chi finisce in galera? Il sindaco. A San Giuliano di Puglia il sindaco ha perso la figlia nel crollo dell’edificio scolastico e l’hanno condannato. A Genova vi è stata una condanna a cinque anni per non avere chiuso una scuola. Un capro espiatorio c’è sempre: è il sindaco».