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 2019  marzo 21 Giovedì calendario

Intervista a Pierluigi Diaco, gay sobrio

Quando gli altri esasperano i toni, lui prova a ricondurre il dibattito a un confronto pacato e civile. Quando gli altri ingigantiscono le questioni, lui restituisce loro il giusto peso e spazio. In quest’arte si distingue Pierluigi Diaco, giornalista, co-conduttore di “Non Stop News” su Rtl 102.5 e co-autore del Maurizio Costanzo Show. Durante il programma radiofonico da lui condotto, ieri Diaco, omosessuale e da un anno unito civilmente col suo compagno, ha preso le difese della leader di FdI, Giorgia Meloni, attaccata perché “rea” di aver manifestato il suo sostegno al Congresso delle Famiglie di Verona (dal 29 al 31 marzo).Diaco, i veri intolleranti sono i paladini gay friendly che vogliono mettere il bavaglio ai sostenitori della famiglia?
«Guardi, io credo che su questo congresso si sia concentrata un’attenzione mediatica smodata. Stiamo parlando di un convegno, non di una discussione parlamentare né di un confronto pubblico sul diritto di famiglia e le unioni civili. Pertanto è un errore dare un peso politico a un’iniziativa che altro non è che un dibattito privato. Ed è giusto che chi parteciperà a quel congresso abbia la libertà di esprimere la propria opinione. D’altronde né da Salvini, né dal ministro Fontana, né da Meloni ho sentito evocare la necessità di mettere in discussione la legge sulle unioni civili. Anche per quanto riguarda il patrocinio dato dalla presidenza del Consiglio, se è stato ritenuto giusto concederlo come capita per tanti altri convegni, non vedo dove sia il problema. Insomma, chi ha manifestato la sua contrarietà al congresso non ha fatto altro che fargli una grande pubblicità».
Calenda ha definito la Meloni, per le sue posizioni sul Congresso, «la versione burina del Ku Klux Klan». Come giudica queste frasi?
«Il compito di chi svolge un ruolo pubblico dovrebbe essere quello di comprendere e rispettare le opinioni altrui. E invece spesso, in questi casi, il vocabolario usato per contrastare l’avversario scade nella volgarità e nell’offesa. Ritengo pertanto che dovremmo darci tutti una sana calmata».
Lo scorso anno lei disse testualmente: «La dittatura gay ha rotto le palle». Vale lo stesso anche in questo caso?
«Io penso che, dalla fine degli anni ’60, l’associazionismo gay abbia contribuito notevolmente a un dibattito pubblico in materia e aiutato moltissimi ragazzi e ragazze a scoprire se stessi e sentirsi parte di una comunità. E aggiungo che negli ultimi 20 anni sono stati fatti passi notevoli nella conquista di nuovi diritti. Ora però il vero diritto a cui dovrebbe ambire la comunità gay è quello alla normalità e alla sobrietà. Sono convinto ad esempio che la sessualità non sia una patente di identità e che il genere non sia discriminante nella definizione di una persona. Ogni essere umano è molto più articolato, non giudicabile solo a partire dal proprio orientamento. E, anche a questo proposito, forse dovremmo concentrarci più sul sentimento, sulla capacità di amare, che sulla mera attività sessuale. Così la finiremmo di guardare dal buco della serratura e il dibattito smetterebbe di essere volgare».
E a chi evoca un rischio omofobia in Italia cosa risponde?
«Anche se ci sono stati alcuni episodi molto gravi e di conseguenza condannabili, non penso che esista un allarme di questo tipo: gli italiani in buona parte sono persone civili e rispettose dell’altro. Gli stessi Meloni e Salvini mi hanno fatto gli auguri quando mi sono unito civilmente col mio compagno, e anche il ministro Fontana, dopo alcune mie osservazioni critiche nei confronti di alcune sue dichiarazioni sui matrimoni gay, mi ha convocato nel suo studio per chiarire il suo punto di vista: ho trovato una persona molto ragionevole e rispettosa».
Chi dice insomma che a Verona ci sarà un convegno di integralisti anti-gay mette in giro una fake news?
«Alcuni relatori sono stati contestati perché esporrebbero tesi medievali. Io suggerisco: ascoltiamo cosa dicono e poi giudicheremo. Se avranno posizioni offensive verso chi ha orientamenti sessuali diversi dai loro, spero che qualcuno prenda le distanze. Ma personalmente, se mi fosse stato inoltrato l’invito a partecipare, ci sarei andato, avrei ascoltato e poi raccontato il mio amore e il mio modo di vivere la famiglia. Sono convinto infatti che non esista un modello universale di famiglia, ma esistano politiche per la famiglia che non esulano dal riconoscere i diritti e i doveri di chi si ama».
A livello politico, fanno bene i due partiti di governo a dividersi sul Congresso?
«Mi sembra che i 5 Stelle critichino il convegno per motivazioni di semplice calcolo politico. E Salvini, dal suo canto, ha accompagnato un processo culturale dentro la Lega che ha fatto sì che la famiglia diventasse un tema centrale della narrazione. Detto questo, all’interno del suo partito non c’è una visione unilaterale sulla questione, ma si moltiplicano i punti di vista. Il che conferma che, anche nel centrodestra, ci sono sensibilità diverse a riguardo. Ragion per cui, a mio avviso, non si dovrebbe cercare il consenso elettorale su questi argomenti».