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 2019  marzo 18 Lunedì calendario

Il Paese non piange la sua Olgettina, malinconica icona della donna italiana


Nessuno ha avuto pietà per l’Olgettina d’Italia. Ci si può ancora commuovere, dopo più di un secolo, per Lawrence d’Arabia e il “corpo speciale” della British Intelligence, ma nessuno si è commosso per la signora Imane Fadil e il “corpo speciale” delle Olgettine. Nessuno ha intonato il requiem per la svalvolata, la scombiccherata, la mitomane, la degradazione italiana dell’universo nobile e turpe del doppio gioco e dello spionaggio. Morta avvelenata, l’Olgettina ha invece riportato in vita i pistaroli. Non quelli che hanno raccontato – a cominciare da noi di Repubblica – vent’anni di berlusconismo: la mala politica delle leggi ad personam, il potere illegale e il mercato dei parlamentari, le corna e le barzellette al posto della politica estera, l’inedito patto di servizio tra la Rai e Mediaset, e ovviamente anche quella speciale economia domestica fondata su “la patonza deve girare” come fosse denaro e ricchezza sociale, con le patonze al posto delle buche keynesiane. Ma i soliti dietrologi di un interminabile giallo con mille sottofondi giudiziari. Dunque l’Olgettina era alla fine tampinata da pedinatori, sì, ma der quartierino; curata da medici d’eccellenza, sì, ma spioni con lo stetoscopio; seguita da magistrati famosi, sì, ma distratti...: sembra l’illustrazione italiana di una commedia noir, il “grande gioco” de noantri dove Berlusconi è il Doctor No.

Il Tycoon italiano, fragile e oggi addolcito gradasso che più di vent’anni fa inaspettatamente entrò in scena cantando My Way, è purtroppo alla fine anche il simbolo di un’epoca senza verità, dove il contesto rende credibile anche l’incredibile. E qui, come dicevamo, c’è la morta italo maroccchina che non fa piangere nessuno, ma ci racconta moltissime cose sulla pessima condizione della donna italiana.

Mentre infatti la Nuova Zelanda in lutto offriva al mondo il commosso, indimenticabile, bellissimo viso della sua premier Jacinda Ardern, non mortificato ma esaltato dal velo islamico com’è a Napoli il Cristo velato, l’Italia ridacchiava per l’orribile fine di questa sua Olgettina, di cui nessuno di noi ricorda il viso perché “Olgettina” non è una persona ma una sigla, un toponimo, l’impiegata di concetto del famigerato bunga bunga che nell’intero mondo ancora ci rappresenta come una bandiera forse più di Sofia Loren e di Monica Bellucci, e proprio perché – diciamo la verità – nella nostra memoria le Olgettine sono tutte uguali: chi ne ha vista una le ha viste – e subito dimenticate – tutte. Come se, una volta diventate olgettine, ciascuna delle lupe di Arcore non si portasse più negli occhi la propria storia personale e quella della propria famiglia, ma solo quella di vent’anni di politica del proprio Paese. Indistinguibili, dunque, perché tutte costrette dentro un burqa italiano, tutte briffate – ricordate ? – dalla favorita Nicole Minetti.

L’Olgettina è infatti la celebre malafemmina italiana ridotta a ragazza squillo della politica: l’utilitaria, il mutuo, seimila euro, l’appartamentino, un posto di deputato e forse, chissà, di ministro per lucrare il compenso – “il regalino” – agli italiani.

In poche parole, morendo a un mese dalla Pasqua, Imane Fadil, questa Olgettina che è tutte le Olgettine, ha ricordato al mondo che il mito fondativo della donna italiana è ancora e sempre la Maddalena, con quel suo rapporto forte tra sacralità e prostituzione, che certo ha tutta la densità morale di una civiltà perché fu la prima testimone della Resurrezione, la peccatrice chinata nel soccorrere, ma oggi è anche una condanna per noi e per la lotta di emancipazione delle nostre donne, specie a paragone con le altre donne del mondo civile.

Negli stessi giorni in cui la nostra Imane Fadil è morta avvelenata e radioattiva; o forse no, per malattia; o magari soltanto ha cessato di consumarsi nella miseria e nella infelicità, in quegli stessi giorni l’Inghilterra ha affrontato il dramma della Brexit con la testardaggine goffa di Teresa May e con l’ingombro monumentale di Elisabetta, due donne dinanzi alla tempesta più furiosa che abbia investito il Regno Unito dopo la seconda guerra mondiale. La May ha 62 anni, non ha figli, è laureata a Oxford ed è sposata dal 1980 con Philip May il quale rinunciò alla propria carriera per favorire quella della moglie (che di lui porta, però, il cognome). Il suo è un dramma shakespeariano, Teresa May è infatti il tipo letterario della sola contro tutti, Tories e Labour. Non passa giorno che i giornali non la la deridano disegnandola persino con le forme e il becco di un uccello ormai estinto, che chiamano “Brextinct”. Comunque vada a finire, questa donna sarà ricordata per la testardaggine, per la passione e per la potenza del suo smarrimento che in inglese si dice dismay ma si scrive ormai dis-May. Solo Elisabetta la sostiene: Maestà con il carisma democratico, contro la Brexit la regina rischia di mettere in crisi la monarchia più amata del mondo. A chi non verrebbe voglia di dire: “che donne”.

Volutamente non diciamo nulla della Germania che da 18 anni tiene in piedi l’Europa grazie a una donna. C’è però la Svezia, che non ha un premier donna – nella penisola scandinava ce l’hanno tre Paesi su cinque –, ma è riuscita ad assegnare la leadership dell’ambientalismo mondiale a una ragazzina ingenua come il Candido di Voltaire, il cui sottotitolo era “ovvero l’Ottimismo”. Venerdì scorso, dopo la manifestazione dei ragazzi, ci siamo chiesti in redazione chi sarebbe stato il primo cretino a divertirsi (si fa per dire) con lo scontato calembour sull’ambientalismo Gretino, sulle povere Gretine e sui ragazzi Gretini. Ecco, sul risultato stendiamo un pietoso velo.
Non lo stendiamo invece sulla Maddalena, santa e puttana, sul giallo senza lacrime e senza rimorsi, quasi fosse la vita e la morte di Imane Fadil davvero la storia di un corpo speciale e non la biografia di una donna in carne ed ossa che è vissuta male ed è morta nella sofferenza. A lei, a questa italiana marocchina siamo ancora inchiodati perché è una donna che vale tutte le donne anche se nessuno riesce a provarne pietà.