Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2019  marzo 18 Lunedì calendario

Cosa importiamo dalla Cina

Il mito degli abiti «made in China» a basso costo, un vero incubo per un Paese come il nostro che ha fatto della moda una delle sue bandiere, sta lentamente sbiadendo. Il tessile ha infatti perso il primato delle importazioni dall’ex Celeste impero: nel 2012 era la voce più importante tra le merci in entrata in Italia e cinque anni dopo è diventata la terza. E’ scesa la sua incidenza sul totale ed è sceso il suo valore assoluto: dai 5 miliardi di dollari del 2012 (5,7 nel 2014), si è passati ai 4,6 del 2017. Di contro la voce «macchinari e attrezzature elettriche», passando da 4,6 miliardi di dollari a 5,7, ha scalato due posizioni e conquistato il primato. Appena sotto «macchinari e tecnologia nucleare», voce, quest’ultima, che non deve creare allarme perché comprende anche apparecchi per la diagnostica, con un volume passato da 4,82 a 5,59 miliardi di dollari. Guardando alle singole voci, telefonini e computer la fanno da padroni con quote che, stando all’Osservatorio del Mise, l’anno passato hanno toccato rispettivamente il 7,6% ed il 4,4% del totale.
50 miliardi di scambi
In base agli ultimi dati disponibili, quelli del 2017, l’interscambio Italia-Cina vale in tutto circa 50 miliardi di euro: 29 di importazioni e 20 di nostre esportazioni. Da anni la Cina è il nostro terzo fornitore in assoluto alla spalle di Germania e Francia, con una quota che oscilla tra il 7,1 del 2017 ed il 7,6% del 2015, che però corrisponde all’incirca all’1,1% delle loro esportazioni che a livello globale ammontano a ben 2.280 miliardi di dollari. Mentre a nostra volta noi siamo il loro 24esimo fornitore con una quota dell’1%. «Se guardiamo agli ultimi anni - spiega Filippo Fasulo, coordinatore scientifico del CeSiF, il Centro studi della Fondazione Italia-Cina - il 70% dell’export cinese in Italia è sempre composto dalle stesse 4 voci. Se invece guardiamo all’export italiano in Cina è un poco più variegato: se nel 2012 erano 5 voci ha fare il 70% dei volumi, oggi sono diventate almeno sei ed è interessante notare che resta anche per noi al primo posto il comparto dei macchinari e tecnologia nucleare. Però, se nel 2012 il loro valore era superiore a quello che importavamo dalla Cina, oggi invece è inferiore». Insomma si può dire che non c’è uno squilibrio sul fronte tecnologico. Anzi, come nota sempre Fasulo, « negli ultimi tempi i cinesi hanno aumentato in maniera significative le loro esportazioni ad alto valore aggiunto verso l’Italia». 
Una conferma in questo senso arriva da un’altra importante voce merceologica, la cosiddetta «miscellanea», ovvero quell’insieme di articoli generici e prodotti di minor valore che riempiono i bazar cinesi (e non solo): con 1,965 miliardi di euro (1,53 nel 2012) rappresenta la quinta voce, sostanzialmente stabile negli ultimi anni sia in valore assoluto che in termini percentuali. «C’è un evidente miglioramento dei prodotti che dalla Cina arrivano in Italia - ribadisce Fasulo -. E’ interessante notare che il tessile dal primo posto passa al terzo e che il primo prodotto che importiamo appartiene alla stessa categoria merceologica del primo prodotto che noi a nostra volta esportiamo là». 
Via nave oltre il 70%
E come arrivano da noi i prodotti cinesi? «Soprattutto via nave- sottolinea Alessandro Panaro del centro studi Snr di Napoli -. Il 72,8% delle merci sono trasportate via mare, il 4,9% arriva via terra, lo 0,2% per via ferroviaria ed il restante 22,1% per via aerea. I porti che ricevono le maggiori quantità di merci cinesi sono Genova, La Spezia, Venezia e Trieste in quanto “scalati” dalla Ocean Alliance (l’alleanza navale franco-cinese), ma è difficile entrare nei dettagli visto che l’import passa anche attraverso compagnie francesi, danesi, turche ed il tutto è quindi difficile da tracciare». 
«La nave è il mezzo principale, anche perché la ferrovia non è in grado di sostituire i traffici via mare - sostiene a sua volta il responsabile del CeSiF -. Solo una piccola quota si potrà spostare sul ferro. E ciò anche solo per una questione strutturale: un convoglio ferroviario può trasportare al massimo 150-200 teu (unità di misura dei container) mentre le grosse navi commerciali superano grandemente i 10 mila teu. La differenza la fanno i tempi di consegna (40 giorni via nave, due settimane via terra, un giorno con l’aereo) e la qualità ed il valore dei prodotti. Col treno che soffre di un’altra problematica: dovendo attraversare le steppe siberiane dove può fare molto freddo non è adatto a trasportare ogni tipologia di prodotto». E «ormai ci sono tra 40 e 60 linee attive in campo ferroviario tra la Cina e l’Europa, però siamo ancora nel campo della narrazione immaginifica. Ma il progressivo spostamento verso le regioni interne della Cina delle attività produttive, alla ricerca dei minori costi, da qualche anno sta facendo diventare conveniente usare il treno». E, conclude Fasulo, «non a caso Pechino ha lanciato il progetto della via della Seta».