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 2019  marzo 01 Venerdì calendario

Intervista a John Turturro

Guglielmo da Baskerville è spigoloso e intelligente, da un crine di cavallo impigliato tra i rami ricostruisce una storia che arriva dritta all’abbazia dei misteri. Anno 1327, troppi delitti scuotono la quiete di un monastero benedettino circondato dalle montagne. Grande osservatore, Guglielmo indaga; non parla mai a caso, lo sguardo anticipa i pensieri. John Turturro, che lo interpreta nel Nome della rosa, serie kolossal firmata da Giacomo Battiato in onda dal 4 marzo su Rai 1, agisce come lui quando risponde.
Girata a Cinecittà (ma anche in Umbria e in Abruzzo), coprodotta da RaiFiction con Palomar, 11 marzo Film e Telemünchen, la serie è già venduta in 136 paesi e andrà in onda in prima serata sulla Bbc. Grande cast: Rupert Everett, il giovane Damian Hardung, Michael Emerson, e una schiera di attori italiani: Fabrizio Bentivoglio, Alessio Boni, Antonia Fotaras, Stefano Fresi, Roberto Herlitzka e Greta Scarano.
Se Sean Connery nel film di Jean Jacques Annaud era un irresistibile Sherlock Holmes col saio da francescano, Turturro fa della complessità la chiave di lettura del personaggio. L’attore non aveva letto il libro di Eco ma per girare la serie l’ha analizzato pagina per pagina. Firma la sceneggiatura col regista, Nigel Williams e Andrea Porporati; rivendica la complessità contro la semplificazione. «I’m ecoized, il mio cervello si è "Ecoizzato".
È come se avessi convissuto con Eco, tutto veniva filtrato da lui».
Che esperienza è stata?
«Non avevo letto il libro, l’ho fatto dopo che mi hanno offerto il progetto. In quelle pagine c’è tutto: il giallo, la filosofia, la storia, il terrorismo, il ruolo della donna».
Non aveva visto neanche il film?
«No. Amo molto Sean Connery come attore ma da bambino avevo un pupazzo di James Bond. Così non mi è venuto in mente...».
Come si è "Ecoizzato"?
«È come se avessi convissuto con Eco, tutto in questi mesi veniva filtrato da lui, dal suo pensiero. Con Battiato ci siamo confrontati via Skype per due mesi prima di iniziare. Abbiamo scritto note e appunti, è stato un privilegio».
Lavora sempre così?
«Sì, mi piace approfondire. Anche quando ho girato La tregua di Rosi, dal libro di Primo Levi, ho studiato. C’è un altro suo libro che trovo bellissimo, La chiave a stella, racconta il mondo del lavoro e mai come oggi è attuale. Sarebbe bello farne un film».
Mentore e maestro di vita: ha mai incontrato un Guglielmo da Baskerville?
«No. Forse potrà dirlo chi ha avuto Umberto Eco come professore.
La cosa più interessante di Guglielmo è che non gli interessa il potere. In tempi come questi...».
Il Medioevo è vicino ai nostri giorni?
«Il mondo di Eco ha elementi attuali, fortunatamente o sfortunatamente, dipende dai punti di vista. Basta vedere i conflitti che esplodono, gli uomini "forti" al comando, le donne oppresse. È già tutto nel libro, tranne la tecnologia».
Con Battiato su cosa avete puntato?
«A non rendere le cose troppo facili. Maggiore è la complessità più si può approfondire. Tanto più si abbassa il livello della cultura, più si perde il senso delle cose, è come se si somministrasse alla gente un sonnifero che impedisce di farsi domande».
L’unico modo per salvarsi è la conoscenza?
«La cultura ti rende libero. Il nome della rosa dice anche questo: l’anticristo è qui. Quando i libri vengono bruciati non c’è più niente che si possa salvare».
Come definirebbe "Il nome della rosa"?
«Un film lungo otto ore, in cui abbiamo potuto sviluppare tutto il pensiero di Eco».
La cosa più difficile sul set?
«A Cinecittà è stato bellissimo, peccato per il maltempo. Per non parlare di tutta quella neve finta, e poi di quella vera in montagna».
Le serie sono il nuovo cinema?
«La gente va sempre meno al cinema, vede i filmoni, ma è difficile che questi creino un dibattito. In giro le persone parlano solo delle serie».