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 2019  febbraio 12 Martedì calendario

Le navi si svuotano, crolla il Baltic Index

Il Baltic Dry Index è nato nel 1985: raccoglie i prezzi dei trasporti marittimi e dei noli sulle principali rotte di tutto il mondo (e non solo del Baltico, nonostante il nome). Come si intuisce, riguarda solo le merci “secche": il petrolio, per esempio, è escluso, anche perché è un mercato che “viaggia” per parametri tutti suoi. Oltre alle merci, vengono prese in considerazione derrate agricole, ma anche materie prime come ferro e carbone. È un termometro dello stato di salute del commercio mondiale.

Sarà anche colpa del Lunar New Year, così come viene chiamato internazionalmente il Capodanno cinese, il periodo dell’anno in cui anche la più grande economia del mondo – dopo gli Stati Uniti – si paralizza per almeno un paio di settimane. Così come ha la sua parte di responsabilità la guerra che i governi di Washington e Pechino si stanno facendo su tariffe, dazi e supremazia sul commercio globale. Ma per quanto significativi, non basterebbero questi due fattori per giustificare il crollo dei prezzi per il noleggio dei trasporti via mare per merci e materie prime. Un indicatore che, da qualche decennio a questa parte, anticipa le recessioni economiche a livello mondiale.
Il punto di riferimento di tutti gli osservatori è il Baltic Dry Index. Nato nel 1985, prende il nome da una delle aree storicamente dedite al trasporto marittimo, ma in realtà misura il costo dei “noli” su tutte le principali rotte. Agli analisti non è sfuggito come l’indice sia in caduta libera dall’inizio dell’anno: nel giro delle ultime cinque settimane ha perso il 50 per cento del suo valore, allontanandosi ancora di più dai massimi raggiunti circa una anno fa: dal marzo del 2018, la discesa supera addirittura il 70 per cento.
Un rallentamento negli ultimi giorni era anche preventivabile, visto che dal 5 febbraio è scattato l’anno del Maiale, fissando così in quella data il Capodanno cinese per il 2019. Le attività si fermano, dalle scuole alle aziende e, per forza di cose, anche quelle degli spedizionieri dei porti di tutto il sud- est asiatico. Ma quest’anno, i festeggiamenti si inseriscono da un lato nelle trattative tra Cina e Stati Uniti che faticano a trovare un accordo per evitare di farsi la guerra a colpi di dazi e dall’altra in un rallentamento più profondo dell’economia. Nel quarto trimestre del 2018, il Prodotto interno lordo della Cina è aumentato soltanto dell’1,5% per cento: la crescita complessiva annuale si è così attestata a un +6,6%, ma si tratta del livello più basso dal 1990, quando l’economia risentì delle proteste di piazza Tiananmen.
Preoccupazioni che si legano al quadro macro dell’Unione europea. Come ha spiegato ieri il premio Nobel dell’Economia Paul Krugman, in una intervista a Bloomberg. A suo dire «la Cina entrerà in crisi a causa dei consumi inadeguati», mentre l’Europa «sta vivendo un rallentamento e si sta già avvicinando a livelli di recessione». In favore delle previsioni di Krugman arrivano i dati negativi del Baltic Dry Index. L’indice raggiunse il suo massimo nel maggio del 2008: da lì comincio la discesa, pochi mesi prima del fallimento della Lehman. In anni più vicini, il crollo più recente è del 2012, quando la Federal Reserve fu poi costretta a intervenire con la terza fase del Quantitative easing.
Krugman potrebbe anche essere pessimista. Ma di sicuro, gli analisti non prevedono rialzi a breve nei costi dei noli. Alla congiuntura sfavorevole delle ultime settimane, va aggiunto il disastro causato dal colosso minerario Vale in Brasile avvenuto a fine gennaio: il crollo di una diga che conteneva le scorie di minerale ha causato centinaia di vittime, tra morti e dispersi e ha bloccato le attività di uno dei giganti delle materie prime.
Ma non è solo questo. Gli esperti non vedono segnali di inversione di tendenza, anche perché il sempre maggior utilizzo delle stampanti in 3D e le politiche di molti governi che stanno favorendo la ricollocazione in patria delle attività manifatturiere, in realtà, sono destinate cambiare la realtà produttiva non solo della Cina ma di tutta l’Asia. Come avvenuto per il petrolio dopo il crollo della domanda, anche i noli potrebbero, in realtà, assestarsi e trovare nuovi sbocchi. Per esempio, con l’espansione dei mercati africani. Ma i prezzi se dovessero cadere ancora nel breve, non sarebbe un bel segnale.