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 2018  novembre 12 Lunedì calendario

Intervista al premier Giuseppe Conte

Attenzione alle istanze di Torino sulla Tav e determinazione a guidare la Conferenza di Palermo verso una svolta nella crisi libica: il premier, Giuseppe Conte, affronta con «La Stampa» i temi caldi sul fronte interno ed internazionale. Ne esce il profilo di un presidente che vuole rafforzare la credibilità del governo. Assicurando alla folla di Piazza Castello che «il dossier dell’Alta velocità sarà esaminato con cura come fatto su Ilva e Tap» e garantendo alla comunità internazionale «la determinazione dell’Italia a fare di Palermo un momento cruciale nella stabilizzazione della Libia».
Come testimonia l’impegno personale con i leader rivali Al-Sarraj e Haftar che rivela di «aver incontrato a lungo e di persona».
Presidente, iniziamo da Piazza Castello. Quando ha visto quella folla composta, di famiglie, chiedere «Sì Tav» sfidando le scelte dei Cinque Stelle, uno dei due partiti della sua maggioranza, cosa ha pensato?
«Sicuramente va ascoltata l’opinione di questi cittadini che sabato, in modo educato e composto, hanno sfilato per esprimere il loro giudizio. A breve si concluderà la valutazione costi-benefici che stiamo effettuando al fine di pervenire alla decisione finale migliore per i cittadini». 
Non crede che la protesta di Torino suggerisca che c’è un’Italia talmente scontenta da non sentirsi più rappresentata neanche dai vincitori delle elezioni del 4 marzo?
«Respingo le polemiche politiche che vorrebbero accreditare questo governo come il governo che sa opporre solo dei no. Questo governo sta riformando il codice degli appalti e ha creato una struttura di coordinamento “Investitalia” presso la Presidenza del Consiglio e una struttura tecnica, con centinaia di progettisti, per realizzare il più significativo piano di investimenti mai progettato, condito dalla semplificazione normativa e burocratica. Anche sui grandi progetti abbiamo dimostrato grande senso di responsabilità. Pensiamo all’Ilva dove il ministro Di Maio, a gara aggiudicata e chiusa, è riuscito a ottenere un impensabile miglioramento dell’offerta. Quanto al progetto Tap io stesso ho comunicato la decisione finale che sblocca il cantiere, spiegando anche le ragioni per cui l’investimento prosegue. Anche sul progetto Tav saremo rigorosi: il contratto di governo ci impegna a un’opera di revisione. Stiamo verificando tutto il progetto, a partire dall’attualità delle previsioni fatte quasi 10 anni fa e dell’utilità dell’opera in termini di sicurezza, qualità, efficienza. Assumeremo la decisione finale con senso di responsabilità, nell’interesse dei cittadini».
Dunque il governo non ha deciso di azzerare la Tav?
«Come avvenuto sull’Ilva e con la Tap, anche qui applicheremo il nostro metodo. La Tav è un dossier che ancora non ho studiato. Sono consapevole della sensibilità del Movimento Cinque Stelle ma con atteggiamento responsabile prenderemo in mano anche la Tav. Si parte dallo studio dello stato dell’arte, poi prenderemo in esame la politica e faremo una sintesi finale. Se ci sono 10 mila, 20 mila o 40 mila cittadini che chiedono attenzione ci mancherebbe che la politica non li considerasse. Soprattutto quando si esprimono in modo educato e composto. Valuteremo con attenzione ciò che hanno espresso manifestando in piazza Castello».
Veniamo alla Libia. Tre giorni fa al Palazzo di Vetro l’inviato Onu Salamé ha presentato la nuova «road map» con elezioni parlamentari nel 2019. Come si colloca l’imminente conferenza di Palermo in questa cornice, quale è il vostro obiettivo?
«L’Italia e la comunità internazionale sostengono l’operato dell’Onu. Occorre superare lo stallo in cui versa da tempo il processo politico libico. Ma soprattutto occorre prevenire l’escalation di violenza di cui abbiamo avuto un ampio assaggio nei mesi scorsi. Il popolo libico chiede stabilità e benessere ed è su questa linea, concreta e inclusiva, che ci siamo mossi per preparare la conferenza di Palermo. L’analisi esposta da Salamé pochi giorni fa al Consiglio di Sicurezza è in linea con gli obiettivi dell’iniziativa italiana, che non a caso è stata valorizzata quale occasione preziosa per ribadire la coesione internazionale e favorire passi avanti. Salamé, del resto, non ha presentato una nuova “road map” bensì una ricalibratura del piano già approvato e da noi sostenuto senza remore. Si tratta, insomma, di rafforzare le prerogative del popolo libico e adempiere alle responsabilità istituzionali volte a far “ripartire” un Paese amico a noi vicino».
Ma in realtà il processo di pacificazione è pieno di avversari e molti di questi saranno anche a Palermo. Come disinnescarli?
«Gli oppositori sono tali fintanto che vi sarà spazio per agende nascoste e interessi contraddittori. Abbiamo promosso un evento inclusivo e stiamo parlando con tutti: con pragmaticità ma anche estrema chiarezza. Ho incontrato di persona, e a lungo, tanto Sarraj che Haftar. Ho raccolto forti incoraggiamenti e testimonianze di stima che mi confortano nella strada intrapresa. A dispetto delle speculazioni e dei facili giudizi, non stiamo improvvisando e non coltiviamo ambizioni velleitarie, ma credo che l’Italia abbia la responsabilità e la capacità di svolgere un ruolo utile in questo processo così come nell’intera area mediterranea. Ripeto, utile: nessuno vuole fare pedagogia politica o, peggio, velleitarie forme di tutoraggio. Intendiamo aiutare in un percorso e non “dettare” soluzioni. Tanto meno imporle».
A Palermo sarà rappresentato, nelle diverse delegazioni libiche, un numero importante di milizie armate. Crede che la conferenza possa portare ad una svolta sul loro ruolo?
«Intende ovviamente “esponenti” delle milizie. Perché a Palermo, ovviamente, di armato non ci sarà nessuno. Come dicevo, la Conferenza dedicherà particolare attenzione al tema della sicurezza, sia a Tripoli sia in altre parti del territorio. La sicurezza è una pre-condizione necessaria per assicurare la stabilità del Paese. È fondamentale cogliere questa opportunità per sostenere il cessate-il-fuoco, facilitare le discussioni per l’attuazione dei nuovi assetti di sicurezza a Tripoli e dimostrare la determinazione della comunità internazionale a sostenere la creazione e il dispiegamento di forze armate e di sicurezza regolari. Abbiamo accolto con favore l’approvazione del Piano di sicurezza della capitale elaborato dal Comitato per gli accordi di sicurezza. Ora bisogna procedere speditamente alla sua attuazione. Allo stesso tempo, seguiamo con attenzione le consultazioni in campo militare condotte dal Cairo per giungere all’unificazione delle forze armate libiche. Auspichiamo che tutti questi sforzi possano trovare un punto di incontro a Palermo e aprire la strada, come segnalato da Salamé all’Onu, ad un sistema di sicurezza unificato e professionale».
Lei ha preparato questa conferenza con un’attività incessante, mostrando di crederci anche come investimento politico. Ma Trump, Putin, Macron e Merkel uno dopo l’altro hanno declinato l’invito. Che cosa non li ha convinti e l’Italia ne esce indebolita?
«Abbiamo preparato questa iniziativa con determinazione e convinzione e continueremo con lo stesso spirito anche in seguito. Non intendiamo questa Conferenza come una vetrina o l’occasione di una photo opportunity. Ancora più importante sarà il lavoro che faremo in seguito per continuare a seguire questo processo. Ho parlato con molti leader internazionali, molti di più di quelli da lei citati, e da tutti ho raccolto interesse e sostegno, a prescindere dalle singole partecipazioni. I Paesi che cita saranno presenti e a livello più che adeguato, a partire dalla Russia e dalla Francia. Ma ciò che viene in questi giorni, poco citato e ne sono rimasto francamente sorpreso, è il fatto che Palermo riunisce intorno ad uno stesso tavolo i principali attori libici e il massimo livello politico di Paesi quali Algeria, Tunisia, Egitto, Ciad, Niger, Grecia e Malta. Basta guardare la carta geografica per rimettere in ordine questa costante e, a volte un po’ superficiale, classifica delle adesioni. Ma anche il resto d’Europa e dei Paesi del Golfo vede non poche qualificate presenze. E parlo anche delle Istituzioni europee che saranno rappresentate da Tusk e Mogherini. Per rispondere alla sua domanda, dunque, non esito a definirmi soddisfatto che il nostro Paese abbia coagulato tanti – e indispensabili – partner intorno ad un tavolo dove i protagonisti saranno i libici». 
Inostri diplomatici hanno dovuto lavorare sodo per convincere il generale Haftar a venire a Palermo. A tutt’oggi resta incerta la sua presenza perché accusa Sarraj di essersi alleato con i Fratelli Musulmani. È Haftar il nuovo uomo forte in Libia?
«Ho incontrato personalmente e a lungo Haftar pochi giorni fa a Roma ed ho condiviso con lui valutazioni sulla situazione libica e aspettative rispetto alla Conferenza di Palermo. La sua visione non è certamente coincidente con quella del presidente Sarraj e la storia recente lo dimostra. Ciò tuttavia non significa, anzi, che non valga la pena metterli intorno allo stesso tavolo o che sia aprioristicamente esclusa la possibilità di individuare un percorso dove convogliare le diverse istanze. Mandela ha osservato che “il compromesso è l’arte della leadership e i compromessi si fanno con gli avversari, non con gli amici”».
Ma Haftar verrà o non verrà a Palermo?
«Mi aspetto che Haftar sia presente perché sicuramente è uno degli attori determinanti per la stabilizzazione del suo Paese».
Al-Sarraj vive blindato in un angolo di Tripoli e senza le milizie di Misurata sarebbe già caduto. Abbiamo l’alleato sbagliato?
«Al-Sarraj è il presidente del Consiglio presidenziale riconosciuto dalla Comunità internazionale e scaturito dall’accordo politico di Skhirat. Direi dunque che la definizione di “alleato sbagliato” è doppiamente erronea. Non si tratta di allearsi con l’uno o con l’altro – e del resto sarebbe semplicistico ricondurre il panorama politico libico solo a questi due attori, per quanto importanti – bensì di assicurare coerenza e credibilità ad un processo politico da tempo ostaggio di diversi interessi e oggettive difficoltà. Per superare tale condizione e avviare un percorso legislativo-costituzionale è necessario ripartire dalle istanze del popolo libico e favorire una strategia inclusiva senza alibi e ambiguità. Le riforme recentemente attuate sul piano economico e della sicurezza appaiono incoraggianti, ma è evidente che la strada da percorrere è ancora impegnativa e quella che potrà condurre ad un’unificazione delle istituzioni nazionali rimane particolarmente complessa».
Cosa pensa della proposta di una «Loya Jirga» sul modello afghano per riunire tutte le tribù libiche, può funzionare oppure sancirebbe l’ingovernabilità?
«Si tratta della “Conferenza Nazionale” evocata da Salamé a New York, chiarendo che non si tratta di creare una nuova istituzione, ma di individuare un’istanza ampiamente rappresentativa che possa fungere da ulteriore stimolo al processo politico. Me ne aveva fatto personalmente cenno a Roma di recente. È normale che il rappresentante dell’Onu non voglia lasciare nulla di intentato. Noi sosteniamo l’Onu avendo a mente l’obiettivo finale. Qualsiasi tappa intermedia, se utile, sarà la benvenuta».

La Francia di Macron nella crisi libica è parte della soluzione o del problema?
«Il problema non è la Francia bensì le forti difficoltà in cui versa il processo di stabilizzazione libico che con Parigi, così come con tutta la comunità internazionale, cerchiamo di superare. La sfida è comune ed i rischi insiti in un’ulteriore deterioramento della situazione sul terreno pesano su tutti noi. Ho parlato spesso con il presidente Macron e sabato ci siamo scambiati gli ultimi aggiornamenti sulla Libia. Vi è sintonia di vedute sugli aspetti di fondo e su obiettivi condivisi. Anche i nostri staff hanno lavorato a stretto contatto per preparare la Conferenza».
La Russia ha in Libia inviati ceceni e punta ad ottenere da Haftar un accesso facilitato di lungo termine al porto di Bengasi. Siamo favorevoli ad una presenza russa stabile in Libia?
«Il nostro obiettivo, condiviso dalla comunità internazionale, è una Libia stabile, con istituzioni scelte dal popolo libico. È questo lo scenario che mi vede totalmente favorevole. La Russia, quale membro permanente del Consiglio di Sicurezza e attore internazionale di primo piano, può dare un contributo importante».
La Libia è al centro del duello di egemonia nel mondo dell’Islam sunnita fra Emirati-Arabia Saudita da un lato e Qatar-Turchia dall’altro ovvero fra avversari e sostenitori dei Fratelli Musulmani. I primi finanziano e armano Haftar, i secondi sostengono alcune fazioni armate di Misurata e Tripoli. Noi con chi stiamo?
«Ripeto, siamo sostenitori di una Libia libera e capace di darsi istituzioni funzionanti. Gli scenari descritti allontanano da questo risultato. Lavoreremo a fondo per rendere il risultato da me evocato e da molti auspicato, possibile. Del resto tutti gli attori che ha citato saranno rappresentati ad alto livello a Palermo, avremo modo di dialogare con tutti».
Il caso Perrone ci indebolisce in Libia: il ministero degli Esteri ha spinto il nostro ambasciatore a Tripoli a lasciare la sede ma non lo ha sostituito. Ci spiega cosa è successo e perché ci troviamo in tale situazione?
«L’ambasciatore Perrone, le cui qualità professionali non sono in discussione, si è trovato al centro di una situazione che ha messo a rischio la sua sicurezza. Abbiamo atteso, forse a lungo, di vedere questa situazione evolversi. Dopo Palermo faremo una valutazione definitiva e assumeremo una decisione, non più differibile. La situazione effettivamente anomala di questo periodo ha tuttavia visto la nostra presenza in Libia non necessariamente indebolita. Vorrei ricordare che la nostra ambasciata è rimasta operativa. Inoltre non è stato un caso che abbiamo moltiplicato le nostre missioni in quel Paese a livello politico. Basti considerare tutti i ministri che sono già stati in Libia e che – le assicuro – continueranno a coltivare questi contatti diretti dopo la Conferenza».
L’altro giallo legato alla Libia riguarda la nostra intelligence. Il capo dell’Aise, Alberto Manenti, doveva essere sostituito ma poi è stato inviato a Mosca per recuperare Haftar: i vertici dell’intelligence saranno cambiati o meno?
«Non era questa la missione del dott. Manenti. Sarebbe stato quanto meno curioso un compito di quel genere a ridosso del mio incontro a Roma con Haftar e con le numerose occasioni che abbiamo avuto di incontrarlo in Libia. I vertici dell’Intelligence saranno cambiati quando lo deciderà il governo. Fino a quel giorno godono della nostra piena fiducia e confermo che stanno operando con la massima dedizione».
In Libia continuano ad operare cellule di jihadisti di Isis e il Pentagono gli dà una caccia senza tregua usando anche droni armati dalle basi in Sicilia. Quanto conta per lei la guerra al terrorismo e quale è il ruolo dell’Italia in questo conflitto?
«Per il governo italiano il contrasto al terrorismo è una priorità. E fortunamente sono moltissimi i Paesi ad avere questa priorità, partendo dagli stessi membri della Ue. Il nostro ruolo è dunque di rilievo, si esprime con coerenza e impegno. Senza dimenticare che la stabilità politico-istituzionale e lo sviluppo socio-economico sono la migliore medicina per prevenire il diffondersi del fenomeno terroristico».

BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI


Attenzione alle istanze di Torino sulla Tav e determinazione a guidare la Conferenza di Palermo verso una svolta nella crisi libica: il premier, Giuseppe Conte, affronta con «La Stampa» i temi caldi sul fronte interno ed internazionale. Ne esce il profilo di un presidente che vuole rafforzare la credibilità del governo. Assicurando alla folla di Piazza Castello che «il dossier dell’Alta velocità sarà esaminato con cura come fatto su Ilva e Tap» e garantendo alla comunità internazionale «la determinazione dell’Italia a fare di Palermo un momento cruciale nella stabilizzazione della Libia».
Come testimonia l’impegno personale con i leader rivali Al-Sarraj e Haftar che rivela di «aver incontrato a lungo e di persona».
Presidente, iniziamo da Piazza Castello. Quando ha visto quella folla composta, di famiglie, chiedere «Sì Tav» sfidando le scelte dei Cinque Stelle, uno dei due partiti della sua maggioranza, cosa ha pensato?
«Sicuramente va ascoltata l’opinione di questi cittadini che sabato, in modo educato e composto, hanno sfilato per esprimere il loro giudizio. A breve si concluderà la valutazione costi-benefici che stiamo effettuando al fine di pervenire alla decisione finale migliore per i cittadini». 
Non crede che la protesta di Torino suggerisca che c’è un’Italia talmente scontenta da non sentirsi più rappresentata neanche dai vincitori delle elezioni del 4 marzo?
«Respingo le polemiche politiche che vorrebbero accreditare questo governo come il governo che sa opporre solo dei no. Questo governo sta riformando il codice degli appalti e ha creato una struttura di coordinamento “Investitalia” presso la Presidenza del Consiglio e una struttura tecnica, con centinaia di progettisti, per realizzare il più significativo piano di investimenti mai progettato, condito dalla semplificazione normativa e burocratica. Anche sui grandi progetti abbiamo dimostrato grande senso di responsabilità. Pensiamo all’Ilva dove il ministro Di Maio, a gara aggiudicata e chiusa, è riuscito a ottenere un impensabile miglioramento dell’offerta. Quanto al progetto Tap io stesso ho comunicato la decisione finale che sblocca il cantiere, spiegando anche le ragioni per cui l’investimento prosegue. Anche sul progetto Tav saremo rigorosi: il contratto di governo ci impegna a un’opera di revisione. Stiamo verificando tutto il progetto, a partire dall’attualità delle previsioni fatte quasi 10 anni fa e dell’utilità dell’opera in termini di sicurezza, qualità, efficienza. Assumeremo la decisione finale con senso di responsabilità, nell’interesse dei cittadini».
Dunque il governo non ha deciso di azzerare la Tav?
«Come avvenuto sull’Ilva e con la Tap, anche qui applicheremo il nostro metodo. La Tav è un dossier che ancora non ho studiato. Sono consapevole della sensibilità del Movimento Cinque Stelle ma con atteggiamento responsabile prenderemo in mano anche la Tav. Si parte dallo studio dello stato dell’arte, poi prenderemo in esame la politica e faremo una sintesi finale. Se ci sono 10 mila, 20 mila o 40 mila cittadini che chiedono attenzione ci mancherebbe che la politica non li considerasse. Soprattutto quando si esprimono in modo educato e composto. Valuteremo con attenzione ciò che hanno espresso manifestando in piazza Castello».
Veniamo alla Libia. Tre giorni fa al Palazzo di Vetro l’inviato Onu Salamé ha presentato la nuova «road map» con elezioni parlamentari nel 2019. Come si colloca l’imminente conferenza di Palermo in questa cornice, quale è il vostro obiettivo?
«L’Italia e la comunità internazionale sostengono l’operato dell’Onu. Occorre superare lo stallo in cui versa da tempo il processo politico libico. Ma soprattutto occorre prevenire l’escalation di violenza di cui abbiamo avuto un ampio assaggio nei mesi scorsi. Il popolo libico chiede stabilità e benessere ed è su questa linea, concreta e inclusiva, che ci siamo mossi per preparare la conferenza di Palermo. L’analisi esposta da Salamé pochi giorni fa al Consiglio di Sicurezza è in linea con gli obiettivi dell’iniziativa italiana, che non a caso è stata valorizzata quale occasione preziosa per ribadire la coesione internazionale e favorire passi avanti. Salamé, del resto, non ha presentato una nuova “road map” bensì una ricalibratura del piano già approvato e da noi sostenuto senza remore. Si tratta, insomma, di rafforzare le prerogative del popolo libico e adempiere alle responsabilità istituzionali volte a far “ripartire” un Paese amico a noi vicino».
Ma in realtà il processo di pacificazione è pieno di avversari e molti di questi saranno anche a Palermo. Come disinnescarli?
«Gli oppositori sono tali fintanto che vi sarà spazio per agende nascoste e interessi contraddittori. Abbiamo promosso un evento inclusivo e stiamo parlando con tutti: con pragmaticità ma anche estrema chiarezza. Ho incontrato di persona, e a lungo, tanto Sarraj che Haftar. Ho raccolto forti incoraggiamenti e testimonianze di stima che mi confortano nella strada intrapresa. A dispetto delle speculazioni e dei facili giudizi, non stiamo improvvisando e non coltiviamo ambizioni velleitarie, ma credo che l’Italia abbia la responsabilità e la capacità di svolgere un ruolo utile in questo processo così come nell’intera area mediterranea. Ripeto, utile: nessuno vuole fare pedagogia politica o, peggio, velleitarie forme di tutoraggio. Intendiamo aiutare in un percorso e non “dettare” soluzioni. Tanto meno imporle».
A Palermo sarà rappresentato, nelle diverse delegazioni libiche, un numero importante di milizie armate. Crede che la conferenza possa portare ad una svolta sul loro ruolo?
«Intende ovviamente “esponenti” delle milizie. Perché a Palermo, ovviamente, di armato non ci sarà nessuno. Come dicevo, la Conferenza dedicherà particolare attenzione al tema della sicurezza, sia a Tripoli sia in altre parti del territorio. La sicurezza è una pre-condizione necessaria per assicurare la stabilità del Paese. È fondamentale cogliere questa opportunità per sostenere il cessate-il-fuoco, facilitare le discussioni per l’attuazione dei nuovi assetti di sicurezza a Tripoli e dimostrare la determinazione della comunità internazionale a sostenere la creazione e il dispiegamento di forze armate e di sicurezza regolari. Abbiamo accolto con favore l’approvazione del Piano di sicurezza della capitale elaborato dal Comitato per gli accordi di sicurezza. Ora bisogna procedere speditamente alla sua attuazione. Allo stesso tempo, seguiamo con attenzione le consultazioni in campo militare condotte dal Cairo per giungere all’unificazione delle forze armate libiche. Auspichiamo che tutti questi sforzi possano trovare un punto di incontro a Palermo e aprire la strada, come segnalato da Salamé all’Onu, ad un sistema di sicurezza unificato e professionale».
Lei ha preparato questa conferenza con un’attività incessante, mostrando di crederci anche come investimento politico. Ma Trump, Putin, Macron e Merkel uno dopo l’altro hanno declinato l’invito. Che cosa non li ha convinti e l’Italia ne esce indebolita?
«Abbiamo preparato questa iniziativa con determinazione e convinzione e continueremo con lo stesso spirito anche in seguito. Non intendiamo questa Conferenza come una vetrina o l’occasione di una photo opportunity. Ancora più importante sarà il lavoro che faremo in seguito per continuare a seguire questo processo. Ho parlato con molti leader internazionali, molti di più di quelli da lei citati, e da tutti ho raccolto interesse e sostegno, a prescindere dalle singole partecipazioni. I Paesi che cita saranno presenti e a livello più che adeguato, a partire dalla Russia e dalla Francia. Ma ciò che viene in questi giorni, poco citato e ne sono rimasto francamente sorpreso, è il fatto che Palermo riunisce intorno ad uno stesso tavolo i principali attori libici e il massimo livello politico di Paesi quali Algeria, Tunisia, Egitto, Ciad, Niger, Grecia e Malta. Basta guardare la carta geografica per rimettere in ordine questa costante e, a volte un po’ superficiale, classifica delle adesioni. Ma anche il resto d’Europa e dei Paesi del Golfo vede non poche qualificate presenze. E parlo anche delle Istituzioni europee che saranno rappresentate da Tusk e Mogherini. Per rispondere alla sua domanda, dunque, non esito a definirmi soddisfatto che il nostro Paese abbia coagulato tanti – e indispensabili – partner intorno ad un tavolo dove i protagonisti saranno i libici». 
Inostri diplomatici hanno dovuto lavorare sodo per convincere il generale Haftar a venire a Palermo. A tutt’oggi resta incerta la sua presenza perché accusa Sarraj di essersi alleato con i Fratelli Musulmani. È Haftar il nuovo uomo forte in Libia?
«Ho incontrato personalmente e a lungo Haftar pochi giorni fa a Roma ed ho condiviso con lui valutazioni sulla situazione libica e aspettative rispetto alla Conferenza di Palermo. La sua visione non è certamente coincidente con quella del presidente Sarraj e la storia recente lo dimostra. Ciò tuttavia non significa, anzi, che non valga la pena metterli intorno allo stesso tavolo o che sia aprioristicamente esclusa la possibilità di individuare un percorso dove convogliare le diverse istanze. Mandela ha osservato che “il compromesso è l’arte della leadership e i compromessi si fanno con gli avversari, non con gli amici”».
Ma Haftar verrà o non verrà a Palermo?
«Mi aspetto che Haftar sia presente perché sicuramente è uno degli attori determinanti per la stabilizzazione del suo Paese».
Al-Sarraj vive blindato in un angolo di Tripoli e senza le milizie di Misurata sarebbe già caduto. Abbiamo l’alleato sbagliato?
«Al-Sarraj è il presidente del Consiglio presidenziale riconosciuto dalla Comunità internazionale e scaturito dall’accordo politico di Skhirat. Direi dunque che la definizione di “alleato sbagliato” è doppiamente erronea. Non si tratta di allearsi con l’uno o con l’altro – e del resto sarebbe semplicistico ricondurre il panorama politico libico solo a questi due attori, per quanto importanti – bensì di assicurare coerenza e credibilità ad un processo politico da tempo ostaggio di diversi interessi e oggettive difficoltà. Per superare tale condizione e avviare un percorso legislativo-costituzionale è necessario ripartire dalle istanze del popolo libico e favorire una strategia inclusiva senza alibi e ambiguità. Le riforme recentemente attuate sul piano economico e della sicurezza appaiono incoraggianti, ma è evidente che la strada da percorrere è ancora impegnativa e quella che potrà condurre ad un’unificazione delle istituzioni nazionali rimane particolarmente complessa».
Cosa pensa della proposta di una «Loya Jirga» sul modello afghano per riunire tutte le tribù libiche, può funzionare oppure sancirebbe l’ingovernabilità?
«Si tratta della “Conferenza Nazionale” evocata da Salamé a New York, chiarendo che non si tratta di creare una nuova istituzione, ma di individuare un’istanza ampiamente rappresentativa che possa fungere da ulteriore stimolo al processo politico. Me ne aveva fatto personalmente cenno a Roma di recente. È normale che il rappresentante dell’Onu non voglia lasciare nulla di intentato. Noi sosteniamo l’Onu avendo a mente l’obiettivo finale. Qualsiasi tappa intermedia, se utile, sarà la benvenuta».

La Francia di Macron nella crisi libica è parte della soluzione o del problema?
«Il problema non è la Francia bensì le forti difficoltà in cui versa il processo di stabilizzazione libico che con Parigi, così come con tutta la comunità internazionale, cerchiamo di superare. La sfida è comune ed i rischi insiti in un’ulteriore deterioramento della situazione sul terreno pesano su tutti noi. Ho parlato spesso con il presidente Macron e sabato ci siamo scambiati gli ultimi aggiornamenti sulla Libia. Vi è sintonia di vedute sugli aspetti di fondo e su obiettivi condivisi. Anche i nostri staff hanno lavorato a stretto contatto per preparare la Conferenza».
La Russia ha in Libia inviati ceceni e punta ad ottenere da Haftar un accesso facilitato di lungo termine al porto di Bengasi. Siamo favorevoli ad una presenza russa stabile in Libia?
«Il nostro obiettivo, condiviso dalla comunità internazionale, è una Libia stabile, con istituzioni scelte dal popolo libico. È questo lo scenario che mi vede totalmente favorevole. La Russia, quale membro permanente del Consiglio di Sicurezza e attore internazionale di primo piano, può dare un contributo importante».
La Libia è al centro del duello di egemonia nel mondo dell’Islam sunnita fra Emirati-Arabia Saudita da un lato e Qatar-Turchia dall’altro ovvero fra avversari e sostenitori dei Fratelli Musulmani. I primi finanziano e armano Haftar, i secondi sostengono alcune fazioni armate di Misurata e Tripoli. Noi con chi stiamo?
«Ripeto, siamo sostenitori di una Libia libera e capace di darsi istituzioni funzionanti. Gli scenari descritti allontanano da questo risultato. Lavoreremo a fondo per rendere il risultato da me evocato e da molti auspicato, possibile. Del resto tutti gli attori che ha citato saranno rappresentati ad alto livello a Palermo, avremo modo di dialogare con tutti».
Il caso Perrone ci indebolisce in Libia: il ministero degli Esteri ha spinto il nostro ambasciatore a Tripoli a lasciare la sede ma non lo ha sostituito. Ci spiega cosa è successo e perché ci troviamo in tale situazione?
«L’ambasciatore Perrone, le cui qualità professionali non sono in discussione, si è trovato al centro di una situazione che ha messo a rischio la sua sicurezza. Abbiamo atteso, forse a lungo, di vedere questa situazione evolversi. Dopo Palermo faremo una valutazione definitiva e assumeremo una decisione, non più differibile. La situazione effettivamente anomala di questo periodo ha tuttavia visto la nostra presenza in Libia non necessariamente indebolita. Vorrei ricordare che la nostra ambasciata è rimasta operativa. Inoltre non è stato un caso che abbiamo moltiplicato le nostre missioni in quel Paese a livello politico. Basti considerare tutti i ministri che sono già stati in Libia e che – le assicuro – continueranno a coltivare questi contatti diretti dopo la Conferenza».
L’altro giallo legato alla Libia riguarda la nostra intelligence. Il capo dell’Aise, Alberto Manenti, doveva essere sostituito ma poi è stato inviato a Mosca per recuperare Haftar: i vertici dell’intelligence saranno cambiati o meno?
«Non era questa la missione del dott. Manenti. Sarebbe stato quanto meno curioso un compito di quel genere a ridosso del mio incontro a Roma con Haftar e con le numerose occasioni che abbiamo avuto di incontrarlo in Libia. I vertici dell’Intelligence saranno cambiati quando lo deciderà il governo. Fino a quel giorno godono della nostra piena fiducia e confermo che stanno operando con la massima dedizione».
In Libia continuano ad operare cellule di jihadisti di Isis e il Pentagono gli dà una caccia senza tregua usando anche droni armati dalle basi in Sicilia. Quanto conta per lei la guerra al terrorismo e quale è il ruolo dell’Italia in questo conflitto?
«Per il governo italiano il contrasto al terrorismo è una priorità. E fortunamente sono moltissimi i Paesi ad avere questa priorità, partendo dagli stessi membri della Ue. Il nostro ruolo è dunque di rilievo, si esprime con coerenza e impegno. Senza dimenticare che la stabilità politico-istituzionale e lo sviluppo socio-economico sono la migliore medicina per prevenire il diffondersi del fenomeno terroristico».