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 2018  novembre 12 Lunedì calendario

Recensione del film Chesil beach, dal romanzo di Jan McEwan

«Erano giovani, freschi di studi, e tutti e due ancora vergini in quella loro prima notte di nozze, nonché figli di un tempo in cui affrontare a voce problemi sessuali risultava semplicemente impossibile». Nelle prime tre righe di Chesil beach (Einaudi 2007) Jan McEwan ha già raccontato tutto. Nel film tratto dal romanzo, pure sceneggiato da McEwan e diretto da Dominic Cooke, le immagini iniziali che preludono il senso della storia sono quelle sterminate e grigie, umide e vuote della spiaggia sassosa affacciata sulla laguna del Dorset che dà il titolo anche all’adattamento cinematografico.
Edward e Florence, innamoratissimi una dell’altro, si sono appena sposati al mattino e adesso, in quell’alberghetto isolato affacciato sulla spiaggia comincia la loro vita insieme, la loro sognata, temuta ignota prima notte di nozze. Lui è pieno di desiderio represso, di timidezza, insicurezza, paura di non saper fare: lei è terrorizzata, odia essere toccata, ha sopportato per generosità baci con la lingua, la parola penetrazione che ha letto in un manuale la inorridisce. È un pomeriggio senza sole del luglio 1962, anno cruciale tra l’imperio della tradizione repressiva e la rivoluzione sessuale; appena due anni prima in Inghilterra è stato assolto dal reato di oscenità L’amante di Lady Chatterley (in Italia pubblicato privatamente nel 1928 e poi dal 1945), due anni dopo Mary Quant taglierà le gonne e le ragazze non avranno più l’obbligo di essere innocenti.
Ma Florence e Edward vivono come tante giovani coppie d’epoca l’agonia di quell’esperienza per loro epocale che è il primo ignoto goffo incontro sessuale: una situazione non solo inglese certo, ma molto inglese per la necessità sociale di non parlarne mai anche tra i più dediti alla bisogna; mentre ovunque le giovinette, andavano consegnate al marito non solo vergini, ma anche ignare della realtà che veniva loro raccontata come un orrore sacrificale necessario a far famiglia.
Anche in Italia con meno convinzione si suggeriva alle nostre future spose, soprattutto nei galatei, di chiudere gli occhi (e Florence lo fa) e pensare al futuro delle culle: molte nostre fanciulle però a differenza delle inglesi, erano più spicce e ubbidienti all’ipocrisia della testa bassa e del rossore al viso, ma sapevano spassarsela restando caste. Il che era sempre un ingombro, tanto che col precipitare di una rivoluzione giovanile via l’altra cominciarono le ragazze di sociologia a Trento negli stessi anni ’60 a pretendere che i compagni, recalcitranti, le liberassero dal fastidio.
Ti amo, ti amo, continuano a ripetersi con tremuli sorrisi Edward e Florence mentre nella camera nuziale viene loro servita una cena pessima da due camerieri premurosi che paiono non andarsene mai. Gli sposi sono seduti uno davanti all’altro davanti a patate lesse e carne nerastra, la finestra spalancata sulla laguna: in fondo incombe un lettone con tendaggi rossi, intonso e minaccioso. Saoirse Ronan, cioè Florence, si offre e si ritira, bacia ma sposta la mano di Edward, Billy Howle; lui suda e si stravolge, lei freme di fastidio: nel loro balbettare, nel muoversi scomposto di lui, nella rigidità di lei, s’intuisce che sta avvenendo una tragedia.
Eppure si amano, sono certi di volere vivere insieme per tutta la vita: si sono conosciuti per caso a una riunione antinucleare a Oxford, lui si è appena laureato con lode in storia, lei con lode in musica. Lui vuole scrivere romanzi storici, lei portare il suo quartetto classico alla fama; Florence è figlia di un industriale benpensante, la mamma, Emily Watson, gelida e presuntuosa professoressa di filosofia non risponde alle telefonate di Iris Murdoch figuriamoci ai bisogni della figlia; il padre di Edward è un maestro di scuola, la madre un’appassionata d’arte via di testa in seguito a un incidente.
La differenza sociale li unisce ancora di più, a cambiare la loro vita sarà una sola notte di ignoranza e disgusto, di umiliazione, affanno, vergogna, orrore dell’altro e di sé.
«Alla fine degli anni Sessanta Edward abitava a Londra. Chi mai avrebbe saputo prevedere trasformazioni di quella portata: l’improvvisa assoluzione del piacere, la serena disponibilità sessuale di tante donne affascinanti?». È un bel film sulla nostra storia umana e sociale, eventuali spettatori ottantenni potranno goderne la nostalgia, per i giovani che mandano su Instagram le foto dei loro avvinghiamenti imitati da un ministro piacione, sarà come fare un salto nel pleistocene, e alla loro prima notte di nozze arriveranno già annoiatissimi, tanto da addormentarsi subito con un bel bacio in fronte.