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 2018  ottobre 10 Mercoledì calendario

Una vita da Re dei paparazzi. Intervista a Rino Barillari

Federico Fellini chiamava Rino Barillari «The King of Paparazzi» ed è questo il titolo della mostra a lui dedicata, prodotta da Istituto Luce Cinecittà, che sarà al Maxxi di Roma dal 12 ottobre e che racconta 60 anni della nostra storia, dalla Dolce Vita agli Anni di Piombo, fino alla Roma di oggi, dove Barillari ha appena avuto il 164esimo incidente sul lavoro, l’unico di cui non va fiero: «Ho preso una buca in motorino andando a fare una foto». Gli altri 163 ricoveri al pronto soccorso, le 11 costole fratturate, le 76 macchine fotografiche fracassate sono frutto di risse coi divi o di colluttazioni durante i cortei di piazza che ha documentato. Era arrivato dalla Calabria a 14 anni, senza una lira. La notte dormiva all’aperto, ma in pochi mesi era già in giro a far foto.
Com’era la Dolce Vita, vista da chi la fotografava?
«Emozionava. Una notte, ho pianto sentendo Frank Sinatra cantare per strada. Dopo, ci ho fatto a botte. Fare a botte era importante, era il momento “provocation”: se il personaggio non vuole la foto, lo scatto più bello è quando lo fai arrabbiare».
Peter O’Toole le costò due punti di sutura in viso.
«L’avevo beccato con Barbara Steele ed era sposato. Poi facemmo pace. I personaggi sapevano che avevano bisogno di noi. Oggi, ci scansano, vanno in tv a dire parolacce e si sentono da Oscar».
Perché l’attrice Sonia Romanoff le spiaccicò un gelato in faccia?
«La mattina aveva sposato un vecchietto e la sera l’avevo trovata mano nella mano con un altro. Oggi foto così non esistono più perché ci sono i teleobiettivi. Noi dovevamo avvicinarci, sparare il flash. Il personaggio diceva “mi rovini, aspetta sei mesi, poi esci”. Ti mettevi d’accordo, non davi le foto, ma lui te ne faceva fare altre. Se rovini il personaggio, dopo chi fotografi? Sei rovinato tu. Marcello Mastroianni mi diceva: “O tu o io”».
Una volta in cui lo disse?
«Al Jackie ‘O. Ballava con Zeudi Araya. Non scattai, però, dopo, mi fece fare foto bellissime con la moglie».
Perché Irina Demick girava con un ghepardo?
«Per far parlare di sé. I divi di allora erano maestri in questo. Il marito di Jayne Mansfield, Mickey Hargitay, scese in piazza di Spagna a cavallo e con le pistole. Esiste la foto che gli tiro un cazzotto, ma in un giorno in cui era senza pistola. L’avevo beccato con la modella Vatussa Vitta, che mi prese a borsettate».
Dalle donne quante volte le ha prese?
«Ebbi una secchiata d’acqua dai bodyguard di Claudia Schiffer. Un giornale aveva scritto che soffriva di cellulite ed ero andato a controllare. E una secchiata di piscio me la tirò dal balcone la moglie di Totò Riina, a Palermo».
Perché per Fellini era The King?
«Perché ero ovunque, anche sui delitti. Lui mi chiedeva cose strane: voleva sapere se nell’incidente il cadavere perde le scarpe o cosa dice il ferito morendo...».
Lei come riusciva a essere ovunque?
«Ascoltavo le frequenze radio delle forze dell’ordine. Ero in via Fani quando fu rapito Moro e in via Caetani quando fu trovato il cadavere. A Piazza Nicosia, facendo segno da lontano, bloccai il comandante dei Vigili del fuoco Elveno Pastorelli e gli salvai la vita dalle Br che sparavano».
Lavora ancora di notte?
«Sempre. Ho fatto io la foto di Asia Argento col francese Hugo Clement. Mi è spiaciuto che, dopo, il compagno Anthony Bourdain si sia suicidato, ma lei stessa ha detto che non è stato per le foto».
Ai tempi di smartphone e Instagram, ha ancora senso il suo mestiere?
«Il telefonino è l’agonia del paparazzo. Ma i selfie rovinano i personaggi, perché non raccontano mai la verità».