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 2018  ottobre 07 Domenica calendario

Intervista a Mara Venier

Mara Venier ha trentanove di febbre, occhiali da sole a mascherare gli occhi lucidi, tre dita dei piedi doloranti, forse il mignolo fratturato (“sarebbe la terza volta”) e i legamenti rovinati (“grazie a un incidente in diretta con Luca Giurato: mi dovevo operare anni fa, ho evitato. Appena finisce la trasmissione, neanche torno in camerino, tolgo i tacchi e ogni volta ho il ginocchio gonfio”). Eppure: “Quando si accende l’occhio della telecamera non sento nulla, scatta la magia, vado avanti e penso: ‘Col cazzo che mi arrendo’”. E in Rai brindano, gaudenti dopo una stagione dolorosa targata Parodi: quest’anno Domenica in è tornata In per ascolti, applausi e sospiri di sollievo come non accadeva da tempo, “ma a giugno smetto”. Tanto per dire. “No, è vero, il mio contratto è di un anno. E poi ho appena sentito Claudia (Mori) e lei ha in mente una fiction con me protagonista e lei produttrice. Idea bellissima”. Nel frattempo? “Sono a Roma, la mia città d’adozione, a certi colori e a Campo de’ Fiori non posso rinunciare”.
Arrivata prestissimo.
Intanto mi sono sposata nel 1968. In pieno ’68.
Partecipava?
Non sapevo neanche cosa fosse.
Impegnata con le nozze.
Ho detto sì a Francesco Ferracini il 13 giugno di quell’anno, e già incinta: lui era il più bel ragazzo di Venezia e dopo la cerimonia mi ha comunicato: ‘Questa sera parto per Roma, ho un lavoro’.
E lei?
Sono tornata con i miei genitori nella nostra casa da ferrovieri. Da quel giorno Francesco è scomparso e per un lungo periodo.
Contenti i suoi…
Persone semplici, modeste, papà ferroviere, mamma sarta; mi guardavano e non dicevano nulla, non infierivano.
Proprio silenti?
Solo papà sbottava un po’, mamma no; ma è stato un periodo strano, direi convulso, sviluppato su improvvisi strappi e forti certezze, basandomi su scelte drastiche prese più d’istinto che di ragione.
Mamma giovanissima.
Avevo 17 anni, con Elisabetta nata prematura e in pericolo; lo stesso giorno arriva la suora e placida mi suggerisce: ‘Meglio battezzarla, subito’. Va bene. ‘Come si chiama la piccola?’. Non lo so. Qual è il suo nome? ‘Suor Elisabetta’. Mi piace.
Lei di cosa viveva?
Sfilate con i campionari: arrivavano i rappresentanti con un furgone pieno di vestiti, quindi andavamo per negozi e indossavo gli abiti per i proprietari degli esercizi. Prendevo 5.000 lire al giorno.
Nel frattempo suo marito?
Dopo un anno di latitanza non ne potevo più, la situazione era insostenibile, e poi ogni volta che uscivo di casa sentivo il quartiere mormorarmi dietro, ero quella messa incinta e abbandonata.
Scandalo.
Per l’epoca, sì. Così parto per Roma per chiudere con Francesco, vestita con un cappottino realizzato da mamma e una valigia tipo quelle di cartone.
Un po’ Totò e Peppino a Milano.
Arrivo alla stazione di Roma e Francesco mi viene a prendere in Rolls Royce con altri amici; Roberto Capucci alla guida. La strada per casa passava dal Pincio, lì vedo un tramonto da lacrime, un maggio meraviglioso, dei colori indimenticabili: ‘Da qui non vado più via’, penso.
E poi?
Francesco viveva in un appartamento di artisti, tutti omosessuali, non venivo considerata, tanto da farmi dormire per giorni su un divano.
Come si è “alzata”, da quel divano?
Grazie a Roberto Capucci: ‘Devo realizzare un servizio per una rivista statunitense, vuoi farmi da modella?’.
E…
Accetto e da Cenerentola mi tramuta in principessa: sette giorni di lavoro per 700 mila lire di paga: un piccolo tesoro che investo in un affitto e strappo mio marito da quella casa.
Lui accetta.
Non felicissimo, mi segue anche se il matrimonio era realmente finito, e lui era molto cambiato…
A 18 anni aveva già carattere.
Per niente.
Non pare…
Ero impaurita, piangevo sempre.
La sostanza è altro.
È istinto di sopravvivenza.
Grazie a suo marito è entrata nel cinema.
Francesco puntava molto su un suo futuro da attore e ogni tanto lo accompagnavo sui set; in una di queste occasioni il regista, Sergio Capogna, mi vede e assegna il ruolo da protagonista di una storia tratta da Pratolini.
Pratolini lo conosceva?
Per niente: nella vita ho scoperto tutto con modalità estemporanee.
Come andava a scuola?
Asina.
Estemporanee…
Frequentavo un mondo di persone colte e impegnate: attori, registi e fotografi; da loro apprendevo.
Del gruppo di allora, chi ha fatto carriera?
Più o meno nessuno; forse solo io.
Come mai?
Conoscevo la vita, sapevo cosa vuol dire il bisogno; sin da bambina mamma mi spediva dai ferrovieri per i conti delle riparazioni, e ci andavo nonostante la vergogna: ‘Mara, se non incassi, non mangiamo’, mentre papà mi chiedeva di fermarmi per l’acquisto di due sigarette Alpha. Due.
Politicamente, suo padre?
Fan di Almirante.
“Il Ferroviere” di Germi lo ha mai visto?
È il mio film preferito, ed è esattamente la vita di papà: piango ogni volta che lo vedo, anche lui cardiopatico e musicista; spesso lo recuperavo in osteria.
Sul suo primo set conosce Pier Paolo Capponi.
Poi padre del mio secondo figlio. Lui era un attore molto impegnato, non di sinistra, di più, e grazie a lui scopro un altro mondo, quello di Gian Maria e Claudio Volonté.
Pci e dintorni.
In piazza Farnese esisteva la libreria ‘Il tempo ritrovato’, il proprietario era nostro amico, esponente comunista; allora ci ritrovavamo lì: parlavano, progettavano, si illudevano; nel frattempo decido di aprire a Campo de’ Fiori un negozio di vestiti usati. Di stracci. E lo chiamo ‘Al tempo perso’.
Lei comunista tra comunisti?
Manifestazioni, cortei, occupazioni femministe.
Pugno chiuso al cielo.
Molte volte.
Convinta.
Stavo in prima fila e mi beccavo pure le botte (riflette due secondi); forse ero complessata e volevo riscattarmi, però ci credevo.
Suo padre era distrutto.
Ignaro.
Quindi occupava.
Una volta con Gabriella (Ferri) e i nostri figli piccoli, siamo andate a picchettare in un palazzo di via del Governo Vecchio: tre giorni ferme lì.
Roba seria.
Altre donne, in particolare del Partito radicale, ci portavano da mangiare; finché una sera arriva Seva, marito di Gabriella: entra nel palazzo e viene fisicamente aggredito dalle altre donne; lui era un uomo buonissimo, lo adoravo, allora mi incazzo, lo difendo e mando a quel paese le femministe.
Gabriella Ferri.
Abbiamo passato anni insieme, un talento incredibile, ma profondamente insicura e tormentata. Troppo spesso folle.
Era preoccupata per lei.
Credo di averle salvato la vita in due o tre occasioni: una volta a Pescara l’ho trovata in piedi sul cornicione, si voleva buttare di sotto, io aggrappata a lei, e sotto la polizia e i vigili del fuoco.
Difficile aiutarla.
Si è sempre fatta del male.
Personalità d’impatto.
In qualche modo la subivo, ero sottomessa; rispetto a lei banale.
Nel frattempo lei era pure una stracciarola.
Amica di tutti i delinquenti di Campo de’ Fiori: venivano a trovare me e la mia socia romagnola, una bonissima; non solo: vicino a noi c’era la caserma dei carabinieri, e il comandante frequentava il negozio e ci corteggiava.
Risultato?
I ladroni portavano la pizza bianca, il comandante il prosciutto e la mortadella. E io: ‘Bravi, qui dentro siamo uguali, fuori come preferite’. Allora uno degli amici più cari era un tal ‘Fettina’: una mattina mi rubano il motorino, dopo mezzora l’ho ritrovato intonso davanti al negozio.
Oltre agli stracci, recitava: erano gli anni delle commedie sexy…
Me le hanno offerte, però mi sentivo brutta, troppo magra. C’è giusto una scena di nudo nel mio primo film, poi basta; ah, forse ero anche puritana e pudica e poi i miei genitori li avevo già provati abbastanza con figlia e matrimonio.
Comunque lei è sopravvissuta ai Settanta.
Dove ho visto e vissuto di tutto, ma sono sempre stata molto attenta.
Droga?
Tantissima, ma non ci sono mai realmente caduta. Ricordo una sera nella casa di campagna di Claudio Volonté, situazione molto hippy, con mia mamma presente: a fine cena era un classico sedersi in circolo e passarsi la canna.
Con sua madre?
Non mi sottraevo mai al rito, anche se non aspiravo. Quindi la prendo e tiro un paio di boccate, subito dopo la passo a mamma: ‘Cos’è ‘sta roba?’. Fuma o si offendono. Ubbidisce: una delle serate più divertenti della mia vita.
Le fece effetto?
Felicissima!
Gian Maria Volonté.
L’ho conosciuto bene dopo il suicidio di suo fratello Claudio, allora mio migliore amico. La settimana successiva alla sua morte, ci arriva una lettera scritta dallo stesso Claudio poco prima del gesto finale; quella lettera l’ho portata a Gian Maria. Lui e il mio compagno di allora erano molto affini politicamente.
Claudio Volonté prima, Gabriella Ferri poi: entrambi suicidi.
Con la differenza che di Gabriella l’ho sempre saputo, ero certa sarebbe finita così; il suo errore più grande è stato andare via da Campo de’ Fiori e scegliere la campagna: Campo era il nostro posto delle fragole.
Campo.
Ci vado sempre, anche tre volte la settimana, lì sento odore di casa.
Anche se è di Venezia.
Non ci metto piede da tre anni, da quando è morta mia madre. E non mi manca. Mentre di Campo avverto l’esigenza.
Proprio a Campo ha convissuto a lungo con Melania Rizzoli, oggi assessore in Lombardia.
Otto anni e sono i più divertenti della mia vita: eravamo felici e non lo sapevamo; io portavo in dote il mondo dello spettacolo, lei frequentava i politici, era medico di molti di loro.
Ha frequentato il potere.
Non mi ha mai particolarmente affascinato, molti neanche li conoscevo: a loro preferivo uno come Renzo Arbore; però per evitare gaffe Melania mi preparava su nomi e ruoli; bonariamente mi rimproverava perché non ero e non sono in grado di utilizzare il ‘lei’.
Tra i politici c’era pure Bettino Craxi. 
Quando sono rimasta incinta di Renzo (Arbore), ho subito avuto problemi e minacce di aborto, quindi giornate intere a letto: ogni tanto passava a casa per vedere la situazione e magari Melania gli bucava il dito per misurare l’insulina. Un pomeriggio per sbaglio mi pungo con uno dei suoi aghi già utilizzato.
Partita la paranoia.
Totale! Per mesi ho temuto di essermi contagiata qualcosa.
Il virus craxiano.
Però era un tipo veramente simpatico.
Lei incarna anche la leggerezza degli anni Ottanta.
Davvero? Non credevo.
Complice il matrimonio con Calà…
E passo da una storia d’amore con un attore impegnato e di sinistra a Jerry, esattamente l’opposto: avevo voglia di ridere e di spensieratezza; lui allo stesso tempo ricopriva il ruolo del compagno e del figlio.
Del figlio?
Ho vissuto momenti duri con il mio ex compagno e per un periodo non ho visto neanche il mio piccolo, e in qualche modo Jerry sopperiva a quella assenza.
Lui eterno bambino.
Sì, beccato al bagno della nostra festa di matrimonio mentre pomiciava con una. Incontenibile.
Lei come madre.
Ingombrante. Un giorno prendo il motorino e vado a prendere mia figlia a scuola, lei era in prima media; il giorno dopo mi guarda e gelida mi dice: ‘Non farlo mai più, tutti i miei amici ti hanno guardato il culo e hanno detto che sei bella’.
Ingombrante e…
Presente. Però penso di essere meglio come nonna.
Spesso viene fotografata con la Ferilli. 
Se Melania è famiglia, Sabrina è l’amica del cuore.
Com’è?
Simpatica, profonda, commovente. Mi fa riflettere. Mi chiama e mi segnala un articolo di giornale; se fosse un uomo la sposerei subito.
Siamo a un anno dal #Metoo…
E allora ribadisco un concetto: bisogna differenziare tra molestia e violenza, altrimenti la confusione è totale.
Proviamo.
Se uno ti corteggia in un certo modo, magari piazza la mano sul ginocchio, non è violenza, e basta dargli due pizze in faccia.
Le è capitato spesso.
Magari mi accompagnavano la sera a casa e partiva il tentativo di un bacio, e se non mi andava li sistemavo.
Anche oggi?
Con me purtroppo non ci provano più, quindi non parlo a titolo personale, ma se continuiamo così terrorizziamo gli uomini.
Spesso ha ringraziato la De Filippi per averla riportata in tv. 
Resta un punto fermo della mia vita. A lei dirò sempre grazie.
Una sua debolezza.
Sono fragile, molto emotiva.
Sicura?
Quante volte mi sono commossa durante l’intervista?
Almeno tre.
Sono così.
(Gabriella Ferri cantava in “Sempre”: “Ognuno è un cantastoria. Tante facce nella memoria. Tanto di tutto tanto di niente. Le parole di tanta gente. Tanto buio tanto colore. Tanta noia tanto amore. Tante sciocchezze tante passioni. Tanto silenzio tante canzoni”).