Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2018  settembre 25 Martedì calendario

Il ring di Bob Wilson

Tre ore e venti di musica meravigliosa e mezz’ora di boxe. Insolito Trouvère quello in scena dal 29 settembre al Teatro Farnese di Parma per il Festival Verdi, versione francese del Trovatore , diretta da Roberto Abbado sul podio di Orchestra e Coro del Comunale di Bologna, dove lo stesso titolo aprirà il 10 ottobre la stagione ma stavolta in italiano. Di raro ascolto, Trouvère ha il fascino e le insidie della «grand opéra», che prevede un lungo balletto, del tutto estraneo alla storia ma molto apprezzato nel 1857, data del debutto parigino, quando la moda lirica esigeva un intermezzo di danze per meglio distrarsi, conversare, amoreggiare nei palchi. Ma oggi, che tutto quello avviene molto meno, venticinque minuti di piroette spagnoleggianti potrebbero risultare letali. E così quel genio di Bob Wilson, autore del nuovo allestimento, ha astutamente pensato di eliminarle tout court. E tramutare quella mezz’ora a rischio tedio in un inedito match di pugilato, con tanto di guantoni e braghette. 
«Visto che la chiave della vicenda è la rivalità tra due fratelli, due eserciti, due gruppi etnici, lo spazio del ballo diventerà il terreno di scontro dei contendenti» spiega il regista texano. Consapevole che i pugni sono più attuali dei duelli, ha tramutato la scatola scenica che delimita l’azione in un ring dove saliranno boxeur professionisti e dilettanti, mimi, coristi, due bambine e persino l’anziana custode del Teatro Regio. Tutti pronti a saltellare come in un film muto, come Chaplin o Buster Keaton, a sferrare cazzotti inoffensivi che, visto il leggendario «ralenti» di Wilson, prima di arrivare a destinazione il match è già finito. 
Lasciando sul terreno due amanti impossibili e una vecchia zingara, vittime di una storia di passioni e vendette. «Per me una storia di due madri – precisa Wilson —. Il dramma di una donna la cui madre viene mandata al rogo, e di una figlia che per vendicarla vorrebbe buttare nel fuoco il bimbo di chi compiuto quel crimine, ma in un momento di confusione emozionale vi butta invece la sua creatura». 
Una donna e un bambino bruciati vivi. Di quella pira in scena si vedranno solo i riflessi, a prendere fuoco un’emblematica carrozzina. «Altro elemento per me importante è il ricordo. A fare da contrasto al mondo feudale spagnolo sarà una Parma d’antan. Rappresentata da immagini vintage dell’epoca di Verdi, una donna alla fontana, un anziano su uno scalino... Gente comune che Verdi avrebbe visto in città, testimoni silenziosi di un passato da cartolina color seppia».
E poi c’è il Farnese, uno dei teatri più belli del mondo. «Una sfida lavorare qui dentro, difficile competere con la sua straordinaria architettura. Per questo ho pensato di chiudere lo spazio scenico dentro una scatola le cui pareti via via si stringeranno formando una sorta di prigione» assicura Wilson che subito dopo Parma affronterà un’altra sala di pericolosa bellezza, l’Olimpico di Vicenza, per un Edipo re di Sofocle.
«Sono molto felice di ritrovarmi con Bob dopo il Macbeth di Bologna di tre anni fa» interviene Roberto Abbado, che con questo Trouvére segna il suo esordio da direttore musicale del Festival verdiano. «Una rassegna che ormai ha un grande appeal internazionale e richiede un’organizzazione complessa. Verdi non ha certo bisogno di una vetrina, ma qui lo si ascolta nelle edizioni critiche messe a punto dall’Università di Chicago con Casa Ricordi. Questo Trovatore francese riserverà diverse sorprese, oltre al balletto Verdi ha rivisto molti momenti della partitura, nel terzo atto ha aggiunto un “Miserere” e reso il finale più spettacolare secondo il gusto parigino». 
Quanto ad Azucena, la crudezza del libretto italiano dove è chiamata «abbietta zingara» risulta smorzata in francese, assicura il direttore. «Ne emerge come una figura tragica che si riscatta con una profonda umanità. Come sempre Verdi si schiera dalla parte degli offesi, degli emarginati». 
E questo titolo sarà anche l’ultima occasione di assistere a uno spettacolo al Farnese. «Motivi logistici, di sicurezza, ci hanno obbligato a trovare un altro spazio da affiancare al Regio – annuncia il direttore generale Anna Maria Meo —. Il Festival compie 18 anni, ha raggiunto la maggior età in ottima forma, con un pubblico più vasto e più giovane. Qui Verdi sempre più parla le lingue di tutto il mondo».