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 2018  settembre 18 Martedì calendario

Nella sfida del fast fashion Zara stacca H&M

H&M stupisce con risultati migliori del previsto ma Zara – che all’ultima prova dei conti aveva deluso gli investitori – vale comunque in Borsa quattro volte più del gruppo svedese, ovvero 81,7 miliardi di euro. Eppure anni fa le due aziende si tallonavano, si ricorrevano, si completavano portando la rivoluzione nel settore abbigliamento, e inventando il così detto “fast fashion”. Con prodotti nuovi ogni dieci giorni, Zara e H&M hanno fatto una dura concorrenza mettendo in crisi tantissimi marchi, tra cui anche Benetton e Stefanel. Partendo dalla Spagna una e dalla Svezia l’altra, le due griffe europee si sono subito caratterizzate per due stili diversi con formule commerciali diverse, ma con una caratteristica comune: offrire moda a prezzi bassi puntando sui volumi. Non a caso oggi l’industria del fast fashion è la seconda più inquinante al mondo dopo quella del petrolio e degli idrocarburi, sia per la quantità di capi da smaltire (secondo le Nazioni Uniti l’85% di quello che viene prodotto finisce in discarica), sia per l’uso di acqua e le emissioni di Co2. Così dopo aver creato bisogni che non c’erano (il consumatore medio compra il 60% di vestiti in più del 2000), anticipando i consumi della gente e rendendo accessibile ai più un nuovo guardaroba a stagione, gradatamente Zara H&M sono diventati due fenomeni di moda anche tra le fasce di consumatori più abbienti. Di fronte a un pubblico sempre più vasto, anche la formula è stata rinnovata e mentre Zara ha ampliato la gamma dei prodotti investendo più sull’offerta – e inventandosi nuovi marchi da Massimo Dutti a Oysho, da Stradivarius a Bershka – H&M si è buttata sulla sostenibilità dei processi e dei materiali e sulle collaborazioni con altri stilisti famosi, e solo in un secondo momento ha deciso di investire su nuove linee, o su nuove categorie di prodotto come la casa. È in quel momento – dicono gli esperti – che, per quanto Zara avesse sempre primeggiato seppure di poco, si è allargata la forbice tra i due colossi del fast fashion. Mentre per la spagnola Inditex il marchio di punta è sempre stata Zara, e le migliori risorse a partire dalla creatività sono state investite soprattutto lì, viceversa H&M – che è il nome della griffe ma anche del gruppo di marchi che controlla – si è portato avanti l’identità del brand, lasciando a nuovi marchi il compito di eccellere in altri campi. E così per non tradire le origini di moda a prezzi bassi, è stato lanciato un nuovo marchio dedicato agli accessori (& Other Stories), o per l’abbigliamento di fascia media (Cos), o per i jeans (Cheap Monday). Morale, secondo gli esperti l’allure di H&M si è un po’ appannato, mentre Zara ha continuato a rinnovarsi e a investire su scarpe, borse, casa, uomo, bambino e naturalmente abbigliamento donna. «Credo che una svolta nel fast fashion sia arrivata quando Zara ha deciso di puntare su un’offerta un po’ più di lusso – spiega David Pambianco, ad di Pambianco Strategie d’Impresa – l’ha fatto nei negozi, negli accessori, nella casa e anche nel servizio online. Gli spagnoli hanno alzato il livello del posizionamento e dell’esperienza dei consumatori, sia nel mondo fisico che virtuale. H&M invece ha continuato a competere sul prezzo, in anni in cui nascevano nuovi rivali come Primark o Forever21, che rivoluzionavano ancora una volta la formula».
Infine, come succede per tutte le aziende fatte di negozi, con Zara che a fine 2017 aveva 7.475 punti vendita (di cui 1.688 in Spagna), ovvero oltre 2.700 più di H&M (ferma 4.739 negozi), la differenza l’ha fatta anche il servizio offerto ai consumatori online. A quel punto chi come H&M competeva sul prezzo e aveva meno scala su cui distribuire i costi della logistica, si è trovato ancora più in difficoltà nonché a dover competere contro giganti come l’americana Amazon o la cinese Alibaba. «Il modello di business di queste catene di negozi è di nuovo in discussione – spiega un analista, che preferisce restare anonimo – perché pagare le spese di migliaia di dipendenti e di punti vendita e fare fatica a crescere, quanto a vendite per metro quadro, pone dei seri dubbi per il futuro».