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 2018  settembre 18 Martedì calendario

Biografia di Umberto Bossi

Umberto Bossi, nato a Cassano Magnago (Varese) il 19 settembre 1941 (77 anni). Politico. Dal 5 aprile 2012 presidente federale a vita della Lega Nord (dal 21 dicembre 2017 detta semplicemente «Lega»). Già segretario federale della Lega Nord (1989-2012) e segretario nazionale della Lega lombarda (1984-1993). Senatore (dal 20 marzo 2018; già dal 1987 al 1992); ex deputato (1992-2004; 2008-2018); ex eurodeputato (1994-2001; 2004-2008). Già ministro per le Riforme per il federalismo (2008-2011) e ministro per le Riforme istituzionali e la Devoluzione (2001-2004). «Ho sempre dato battaglia nella mia vita: continuo a farlo» • «Ambrogio Bossi, il capofamiglia, lavorava come operaio in un’azienda tessile di Gallarate, l’Alceste Pasta, la mamma Ida era portinaia; poi c’erano i tre figli: Umberto il primogenito, classe 1941, Franco, che è del ’47, e Angela, la più piccola» (Stefano Zurlo). «Nato e cresciuto tra la pianura brianzola e le colline del varesotto, una specie di Far West negli anni degli sconvolgimenti sociali, della campagna che si fa industria. L’infanzia e l’adolescenza a sgranocchiare pannocchie, “el formentóne”. […] Cassano Magnago come la via Gluck, i capannoni al posto delle coltivazioni. È lì, forse, la frattura da cui nasce la Lega. Lui piccolo teppista, gli scherzi, le cattiverie: una volta con la sua banda “pisciammo dentro il serbatoio” di un motorino, e poi gli danno fuoco. Correva forte. A 14 anni, dalle parti di Gallarate, incontra il velocista Ottolina e lo sfida: “Ero emozionato, scattai come una molla. Fino a 60 metri gli tenni testa, poi mi lasciò indietro. Mi diede cinque metri, non di più”. Chissà se è vero. E le balere, la musica, le ragazze, le donne. Tante» (Filippo Ceccarelli). «Fino a 38 anni, il Bossi […] era rimasto “scioperato e inconcludente”: diploma di liceo scientifico da privatista, Scuola Radio Elettra, studi di Medicina interrotti, lavoretti nel laboratorio di chimica dell’Università di Pavia» (Cesare Cavalleri). «Bossi aveva fatto di tutto: il muratore, l’addetto in una lavanderia, il cantante (ha pure inciso un 45 giri), il dipendente dell’Aci, lo scaricatore di frutta e verdura, l’assistente alla camera operatoria in un ospedale, lo studente di Medicina all’Università di Pavia senza mai finirla, eterno fuoricorso (“Oh, stiamo parlando di uno che ha organizzato tre feste di laurea senza mai essersi laureato”, dirà di lui il cognato Pierangelo Brivio). Politicamente era stato di sinistra, ma in modo confuso (dal gruppo comunista del Manifesto al Pdup ai Verdi), finché non ha l’intuizione che gli cambia la vita: fondare un partito che abbia come programma “la trasformazione dello Stato italiano in un confederazione di regioni autonome”, come si legge nel programma della primissima Lega lombarda» (Paolo Bracalini). «Rimane folgorato da un tazebao dell’Union Valdôtaine appeso nella facoltà di Medicina. Lo studente capisce che l’autonomismo va sdoganato, rielaborato e propugnato. […] Bruno Salvadori, l’ideologo valdostano teorico dell’autodeterminazione dei popoli che morirà l’anno dopo, lo inizia all’indipendentismo. […] Sempre in quel fatidico 1979 conosce Roberto Maroni, figlio di una salumiera della provincia di Varese, militante di una formazione marxista-leninista e studente di Giurisprudenza. Insieme, con la Cinquecento scassata di Bobo, incollano nottetempo i manifesti del loro piccolo movimento, l’Unolpa, l’Unione nord-occidentale lombarda per l’autonomia. Nel 1983 debutto in Lombardia: 157 voti. Bossi sa che è il prezzo da pagare all’inesperienza. Un anno dopo, il 1984, davanti a un notaio di Varese, l’autonomista di Cassano Magnago e la sua nuova compagna, Manuela Marrone, depositano l’atto di fondazione della Lega lombarda. Alle Amministrative del 1985 vengono eletti i primi consiglieri comunali a Varese e Gallarate, nel 1987 la promozione a senatore della Repubblica, che gli varrà il titolo imperituro di Senatùr. Il 4 dicembre dell’89, in un Europa liberata dall’angoscia della Guerra fredda e dal muro di Berlino, nasce la Lega Nord. Bossi è nominato segretario al raduno di Pontida, il pratone della provincia di Bergamo che diventerà parte integrante dei beni patrimoniali del partito. Tre anni dopo si frantumano i partiti della Prima Repubblica. Bossi cavalca Tangentopoli e si propone come l’uomo-guida del Nord. Luca Leoni, deputato leghista, sventola a Montecitorio il cappio alla quale si impiccherà il Caf (Craxi, Andreotti e Forlani). Una posizione radicale che si ritorcerà contro lo stesso líder máximo della Lega, condannato nel ’94 per aver incassato una tangente di 200 milioni versata dall’Enimont. Bossi non se ne cura neanche, preso com’è dalle trattative con Silvio Berlusconi e il suo neonato partito politico. […] Berlusconi, Bossi e il Msi di Fini vincono le elezioni politiche di quell’anno. La canottiera di un Bossi che villeggia a Porto Cervo entra nella casa di milioni di italiani. Sembra un idillio infinito, quello col Berlusca, malgrado gli costi la rottura con il professor Miglio, che lo lascia con un anatema: “Per Bossi il federalismo è strumentale alla conquista e al mantenimento del potere”. Neppure sei mesi dopo tutto precipita: avviso di garanzia al G7 di Napoli per il premier. Bossi ritira il suo partito dalla maggioranza e marchia Berlusconi come mafioso. Dirà qualche anno dopo l’Umberto che il Cavaliere stava sfilandogli uno dopo l’altro i suoi deputati. […] Nel ’96 Bossi corre da solo: nella Pedemontania veneta e lombarda viaggia ormai sopra il 30 per cento. […] Nel ’97 debutta il rituale leghista del dio Po: dal Monviso a Riva degli Schiavoni, a Venezia. L’apparato simbolico e semantico è ridondante: dalle ampolle allo spadone di Alberto da Giussano, dalla secessione a Roma ladrona. Simboli ma anche denari. Nel 2000 la voglia incontenibile di grandezza partorisce la banca Credieuronord, travolta quattro anni dopo dagli scandali. Nel 2001 nuova giravolta: sommerso dalle querele e dai debiti, Bossi si ricongiunge a Berlusconi. L’11 marzo del 2004 lo choc: il capo della Lega è colpito da un ictus. Bossi non molla il partito, ma per sopravvivere si circonda di un cerchio magico che otto anni più tardi diventerà tragico. Mogli, badanti, amici e deputati lucreranno in tutti i modi sull’oro di Bossi, epurando o inducendo a lasciare il partito decine di militanti della prima ora, spesso leali e appassionati. Una purga in piena regola. La seconda alleanza con Berlusconi (2008-2011) eroderà il consenso conquistato negli anni. Il partito si romanizza e il federalismo è sempre di là da venire. La base rumoreggia. Maroni, ministro degli Interni con Berlusconi, capisce che è giunto il momento della successione» (Mariano Maugeri). «Data di inizio di tutta la vicenda: il 23 gennaio 2012. Quel giorno un militante della Lega si presenta in Procura a Milano con un esposto contenente una serie di articoli di stampa in cui si parla di investimenti anomali fatti dal Carroccio in diamanti in Tanzania e conti offshore a Cipro. È lo scandalo che travolge Bossi (il quale il 5 aprile di quello stesso anno deve dimettersi dalla guida del partito da lui fondato) e la sua famiglia: soldi pubblici entrati nelle casse del partito come rimborsi elettorali e usciti senza giustificativi in quanto usati in spese personali per “the family” (come recitava la scritta sulla cartelletta sequestrata dalla guardia di finanza negli uffici della Camera). Parte l’inchiesta giudiziaria. […] A Milano, il fondatore del Carroccio, insieme al figlio Renzo (ex consigliere regionale della Lombardia) e all’ex tesoriere del partito Belsito (già vicepresidente di Fincantieri e sottosegretario all’Interno), va a processo con l’accusa di appropriazione indebita. Per l’accusa, tra il 2009 e il 2011 Bossi avrebbe speso oltre 208 mila euro con i fondi del partito, il “Trota” più di 145 mila euro. […] Nello stesso periodo, invece, l’ex tesoriere si sarebbe appropriato di circa mezzo milione di euro. La sentenza arriva il 10 luglio del 2017: due anni e tre mesi a Bossi, un anno e mezzo al figlio Renzo e due anni e sei mesi a Belsito. Secondo le motivazioni Bossi sarebbe stato “consapevole concorrente, se non addirittura istigatore, delle condotte di appropriazione del denaro” della Lega, ma proveniente “dalle casse dello Stato” per coprire “spese di esclusivo interesse personale” suo e della sua “famiglia”. […] Nel frattempo, però, il primogenito del Senatùr, Riccardo, anche lui imputato a Milano per una serie di spese con i fondi del partito per un totale di circa 158 mila euro, aveva scelto il rito abbreviato. […] La sentenza di questa seconda tranche arriva il 14 marzo 2016: condanna a un anno e 8 mesi per appropriazione indebita aggravata (superiore alla richiesta dei pm, che era di un anno). Nelle motivazioni il giudice scrive che dalle intercettazioni tra l’ex tesoriere e l’ex segretaria di via Bellerio Nadia Dagrada emerge che “dopo la malattia di Umberto Bossi (l’ictus che lo colpì l’11 marzo 2004, ndr) non solo costui, ma la moglie e i figli erano interamente mantenuti dalla Lega e che i ‘costi dei ragazzi’ erano addirittura di gran lunga superiori a quelli che lo stesso segretario della Lega immaginava”. La terza e più importante tranche del procedimento, quella incentrata sulla truffa sui rimborsi elettorali tra il 2008 e il 2010 da quasi 50 milioni di euro ai danni dello Stato, […] viene trasferita a ottobre del 2014 da Milano al Tribunale di Genova per competenza territoriale. È, infatti, su un conto intestato a Belsito e aperto presso una filiale genovese di Banca Aletti che venne accreditata l’ultima tranche dei rimborsi elettorali. A essere imputati sono Bossi, Belsito e tre ex componenti del comitato di controllo di secondo livello della Lega (Stefano Aldovisi, Diego Sanavio e Antonio Turci). Camera e Senato si costituiscono parte civile. La sentenza di primo grado arriva il 24 luglio del 2017: condanna a 2 anni e sei mesi per l’ex leader della Lega e a 4 anni e dieci mesi per Belsito (il pm aveva chiesto la condanna a quattro anni per Bossi e a quattro anni e mezzo per l’ex tesoriere) per truffa e appropriazione indebita dei rimborsi di Camera e Senato. […] Il Tribunale che ha condannato Bossi e Belsito dispone, su richiesta della Procura, di procedere al sequestro “a tappeto” su conti correnti e depositi riferibili al partito nel frattempo guidato da Matteo Salvini fino a raggiungere i 49 milioni di euro, provento della truffa allo Stato. Il Riesame boccia la richiesta. Ad aprile, però, la Cassazione dà ragione alla Procura di Genova. A inizio luglio la Corte suprema deposita le motivazioni secondo le quali la guardia di finanza può procedere al blocco dei conti della Lega in forza del decreto di sequestro, emesso l’anno prima, senza necessità di un nuovo provvedimento per eventuali somme trovate su conti in momenti successivi al decreto» (Riccardo Ferrazza). Il 6 settembre 2018 l’istanza relativa al sequestro dei fondi della Lega è stata accolta anche dal Tribunale del riesame di Genova. In quanto al suo ruolo politico, Bossi, dopo le dimissioni da segretario federale e la contestuale elezione a presidente federale a vita della Lega Nord (5 aprile 2012), ha a lungo criticato la successiva segreteria di Roberto Maroni (2012-2013), per poi candidarsi alle elezioni primarie del 7 dicembre 2013 contro Matteo Salvini, ottenendo però solo il 18,34% dei consensi. Sempre più isolato per le sue reiterate esternazioni contro la svolta meridionalista ed estremistica della Lega salviniana, in occasione delle elezioni politiche del 2018 ha ottenuto a stento, anche grazie all’intercessione di Silvio Berlusconi, la candidatura al Senato in un seggio sicuro. In seguito al voto, pur rallegrandosi degli ottimi risultati del partito («Quando la sementa è buona…»), non ha mancato di far sentire la propria voce, criticando la scelta di Salvini di allearsi col Movimento 5 stelle e ribadendo che «il centrodestra rimane il nostro perimetro naturale. Così come credo che Silvio Berlusconi non sia ancora fuorigioco» • Due matrimoni, quattro figli: uno, Riccardo (1979), dalla prima moglie Gigliola Guidali; tre, Renzo (1988), Roberto Libertà (1990) ed Eridano Sirio (1995), dalla seconda e attuale consorte, Manuela Marrone • «Fumavo due pacchetti di sigarette al giorno. Adesso fumo il toscano. Alcol no, sono astemio, ho sempre bevuto solo Coca-Cola: zucchero e caffeina ti danno energia» • «Bossi è così: immerso in fantasie “salgariane e adolescenziali”, secondo quanto disse di lui Beniamino Andreatta, oppure capace di prospettare cospirazioni della massoneria mondiale, insieme con la finanza plutocratica, i servizi deviati, la Cia e il Kgb, come ridacchiava Gianfranco Miglio, suo ripudiato maestro di politica e antropologia. D’altra parte, l’Umberto è poliedrico, eclettico, infinitamente versatile: nessuno può dire chi è veramente il Senatùr, qual è la sua identità segreta e definitiva» (Edmondo Berselli). «È impossibile togliersi di mente quel vocione, quei vestiti stazzonati, improbabili, quei travestimenti di scena, giacche, cravatte, camicie verdi, t-shirt con scritte d’inusitato leghismo. […] Quella voce roca, quei gesti ferini, quell’energia così teatrale, drammaturgica. […] Mille palchi e sullo sfondo guerrieri, leoni, seguaci in adorazione. Scenari incredibili. Il rito dell’ampolla, sul Monviso, l’acqua del Po raccolta con una specie di preghiera druidica. Il catamarano. I gazebo “della libertà”. Il muro intorno alla villetta di Gemonio, forse abusivo, forse no. Le nottate negli hotel di Ponte di Legno. […] Quanti ricordi buffi, anche, e grotteschi. Le sparate insurrezionali bergamasche; le falloforie contro la povera Boniver (“Ah, bonassa!”); la proposta di macellare sul posto la mucca Ercolina, per farne bistecche. […] Verrebbe da dire che è un mondo assurdo, quello di Bossi, quando invece è solo politica. La sua» (Filippo Ceccarelli). «Considero Umberto Bossi l’unico, vero, uomo politico comparso sulla scena negli ultimi vent’anni, il solo animato da un’autentica, disinteressata, passione che ha finito per pagare con la salute» (Massimo Fini) • «Questa è casa mia, l’ho costruita io, l’ho fatta io, ho dato la vita per un sogno. Ho il diritto di esprimere le mie idee, di fare delle valutazioni politiche, nel rispetto di tutti. Sono l’unico che dice quello che pensa: altri per convenienza preferiscono restare in silenzio. […] Io sto con la Lega, non con Salvini. I segretari vanno e vengono» (a Matteo Pucciarelli).