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 2018  settembre 18 Martedì calendario

Biografia di Wolfgang Schäuble

Wolfgang Schäuble, nato a Friburgo in Brisgovia (Germania) il 18 settembre 1942 (76 anni). Politico. Presidente del Bundestag (dal 24 ottobre 2017). Già ministro delle Finanze (2009-2017), ministro dell’Interno (1989-1991; 2005-2009), direttore della Cancelleria e ministro per gli Affari speciali (1984-1989). Parlamentare (dal 1972) ed ex presidente (1998-2000) della Cdu. «Sono sempre stato un soldato particolarmente scomodo» • Secondo di tre fratelli. «Ancora oggi di sua madre ricorda che “se non aveva monete per il parchimetro passava il giorno dopo a pagare”, e al rigore è stato educato anche dal padre luterano, “un commercialista più ligio dell’ufficio fiscale”. Per suo fratello Thomas “a scuola era imbattibile in matematica, ma nello sport sapeva perdere”» (Claudio Lindner e Stefano Vastano). Completati gli studi di Giurisprudenza ed Economia con l’abilitazione da avvocato e un dottorato in Legge, inizialmente trovò impiego presso l’ufficio fiscale di Friburgo, per poi esercitare la professione legale presso la corte distrettuale di Offenburg, dal 1978 al 1984. Nel frattempo aveva avviato la sua carriera politica nelle file della Cdu, lo stesso partito per cui il padre era stato deputato al Parlamento del Baden-Württemberg: divenuto deputato del Bundestag ad appena trent’anni, era stato presto notato dal presidente del partito, Helmut Kohl. «Caustico e tagliente nell’oratoria, nel 1981 diventa speechwriter di Kohl, che lo vuole come segretario organizzativo del gruppo parlamentare cristiano-democratico. Nel 1984, da ministro della Cancelleria, gioca un ruolo essenziale nel salvare il primo gabinetto Kohl dallo scandalo Flick, ottenendo l’amnistia che risparmia la classe politica di allora. Ministro degli Interni quando il muro di Berlino crolla, è proprio Schäuble a mettere a punto ogni dettaglio del negoziato con la Ddr che consente al suo mentore di portare a casa la riunificazione della Germania» (Gianluca Di Donfrancesco). «Era l’astro nascente della Cdu, e già si parlava della sua ascesa al ruolo di cancelliere. Kohl tollerava poco l’emergere di figure che potessero fargli ombra e solo Schäuble faceva eccezione, rispettato com’era nella politica tedesca e all’interno del partito. Verso le dieci di sera del 12 ottobre 1990, tenne un discorso a un evento elettorale nella cittadina di Oppenau, nella Foresta Nera – nel “suo” Land del Baden-Württemberg e a pochi chilometri da dove era cresciuto –, e aveva appena lasciato il microfono tra gli applausi. Nella birreria “Bruder” c’erano circa trecento sostenitori della Cdu. Qualcuno chiedeva un autografo, altri una stretta di mano. Poco prima che raggiungesse la porta, un uomo di 37 anni con precedenti per droga e un passato di problemi psichiatrici superò gli uomini della sicurezza e sparò contro Schäuble alcuni colpi di pistola. Ferì una guardia del corpo. Un proiettile raggiunse il ministro al lato destro del volto, un altro gli si conficcò nella spina dorsale. L’attentatore venne bloccato subito dopo. Al processo disse che aveva sparato a Schäuble perché ministro dell’Interno “di questo Stato da cui mi sento terrorizzato”. Fu diagnosticato di schizofrenia paranoide allucinatoria, giudicato incapace di intendere e di volere e destinato a un ospedale psichiatrico (da cui è uscito nel 2004). I medici lottarono per salvare Schäuble, trasferito in ospedale in elicottero: sopravvisse, ma rimase paralizzato dalla terza vertebra toracica in giù, e da allora è costretto su una sedia a rotelle» (Giovanni Zagni). «“In quel momento la moglie, Ingeborg, gli disse: ‘Ora dovrai riposarti e smettere di fare politica’ – ricorda […] il biografo di Schäuble, Hans Peter Schütz –. Lui rispose: ‘Preferirei morire piuttosto che smettere’. Ne nacque un conflitto con una delle persone cui lui è maggiormente legato assieme ai quattro figli”. Il padre dell’unificazione tedesca, Helmut Kohl, arrivò per primo al suo capezzale, in lacrime ma sicuro di una cosa: “Ce la farai”. […] La moglie dunque capì che non sarebbe riuscita a convincerlo a cambiare vita, e lui – pur “azzoppato”, come si è definito senza eufemismi – sei settimane dopo riprese a macinare politica» (Marco Valerio Lo Prete). «Di lì a pochi mesi, nell’estate del 1991, avrebbe tenuto al Bundestag il suo discorso più celebre, sulla necessità di spostare la capitale da Bonn a Berlino, che fu decisivo nel convincere anche l’opposizione. Quando la popolarità di Kohl cominciò a calare, molti in Germania pensavano che Schäuble avrebbe preso il suo posto. Nel 1997 Kohl confermò che era l’erede, ma chiarì anche che lui non si sarebbe fatto da parte tanto presto. Come ha scritto lo Spiegel, i due uomini erano “incatenati insieme, nella buona e nella cattiva sorte”. La cattiva sorte sarebbe arrivata di lì a poco. Dopo la sconfitta elettorale del 1998 che mise fine all’era Kohl, costringendolo a farsi da parte, fu Schäuble a diventare presidente del partito. Tutti si aspettavano che il suo momento fosse arrivato. Ma di lì a poco arrivò uno dei momenti più difficili della sua carriera: a novembre del 1999 scoppiò uno scandalo di finanziamenti illeciti e conti all’estero che avrebbe investito in pieno lui e il suo potente predecessore» (Zagni). «Nel 1999, infatti, si era scoperto che nel Partito cristiano-democratico, fino ai suoi massimi vertici, si era fatto ricorso sistematico a finanziamenti illeciti. Il 30 novembre di quell’anno, l’ex cancelliere Kohl si assunse la responsabilità di una “doppia contabilità relativamente a uno dei conti del Tesoro federale”. Schäuble […] fu coinvolto anche lui, accusato di aver ricevuto 100 mila marchi (circa 50 mila euro) da un losco lobbista di armamenti, Karlheinz Schreiber. Schäuble prima negò i ripetuti incontri con Schreiber, poi ammise la donazione – che girò al partito, disse: e la magistratura infatti non è mai riuscita a provare un arricchimento personale – e quindi si dimise a febbraio. […] In quel momento […] la carriera di Schäuble s’incrociò per la prima volta con quella della “ragazza”, come era chiamata allora Angela Merkel. Il 22 dicembre 1999, l’attuale cancelliera, allora 45enne, intervenne sulla Faz con un articolo che fu uno spartiacque nella storia della Cdu: esortava il partito a “togliersi dal mirino del fuoco nemico”, lo stesso partito che avrebbe dovuto “imparare a camminare con le proprie gambe”, a fare “come quando da adolescenti bisogna uscire dalla casa del padre”. “Ciò vuol dire che la Cdu con Kohl è rimasta ferma a un’infanzia che ora è urgente far finire”, è la parafrasi che di quella svolta offre Gertrud Höler, saggista, già collaboratrice di Kohl. […] Merkel uccide il padre, sintetizza Höler, e con lui i suoi figli che mai avrebbero compiuto il “gesto liberatorio”. Tra questi figli c’era Schäuble, “l’unico però a non condividere apparentemente il destino degli altri maschi alfa messi da parte”: esautorato dalla leadership del partito ma non cancellato dalla vita pubblica, soprattutto in ragione “della sua competenza e del suo peso fortissimo nel partito”, ricorda il biografo Schütz. I più maliziosi dicono che restò in campo anche grazie alla sua dimestichezza con segreti e archivi del ministero degli Interni» (Lo Prete). «In seguito Schäuble è in lizza per candidarsi a sindaco di Berlino (nel 2001), ma il partito si oppone. E nel 2004 la sua corsa, che sembrava promettente, alla presidenza della Repubblica viene intralciata proprio dalla Merkel. Un anno dopo, però, è lei a cooptare Schäuble come ministro dell’Interno nell’esecutivo di Große Koalition da lei presieduto. In quel ruolo di primo piano, il redivivo Schäuble esibisce un’altra volta il suo profilo di rigido assertore del law and order. I rapporti tra il ministro e il cancelliere non sono facilissimi, e per definirli si usa di norma l’espressione "pace armata". Ma la Merkel, che è stata spesso accusata di circondarsi di yes men, ha bisogno dell’esperienza di Schäuble e di un interlocutore nel governo e nel partito che possa confrontarsi con lei da pari a pari. Peraltro la lealtà dell’uomo, che è del tutto immune a intrighi di palazzo e congiure, è leggendaria. Nel secondo governo Merkel, nato nel 2009 con l’appoggio dei liberali del Fdp, Schäuble ottiene il ministero delle Finanze. Un ruolo chiave, ma gravosissimo, in tempi di crisi economico-finanziaria globale. Lui, che ha ormai archiviato ogni ambizione di leadership politica, sembra essere contentissimo di poter ricoprire un ruolo così delicato come suggello della sua lunga carriera: la Süddeutsche Zeitung ha scritto che “nessuno dei suoi colleghi si ricorda di averlo mai visto altrettanto entusiasta ed esuberante, altrettanto beatamente felice”» (Guido De Franceschi). «Schäuble in Europa è sempre stato un ministro delle Finanze controverso. Complice l’aria arcigna – più frutto dei drammi e delle sofferenze personali che di un atteggiamento politico –, è diventato il simbolo dell’ossessione tedesca per l’austerità, la responsabilità, la riduzione dei rischi e l’azzardo morale. Nei dibattiti all’Eurogruppo e all’Ecofin, in effetti, i suoi “nein, nein, nein” – intercalati negli interventi in un inglese zoppicante – hanno ritardato i salvataggi della Grecia o la realizzazione dell’Unione bancaria. […] Il ministro delle Finanze tedesco è così diventato il bersaglio dei populisti di sinistra e dei populisti istituzionali. Avgi, il giornale di Syriza, lo ha ritratto come un nazista che vuole fare saponette con il grasso dei greci. Gianni Pittella, presidente del gruppo dei Socialisti & democratici all’Europarlamento, lo ha definito l’unico “bad guy” in Europa che “fomenta rivolte”. Quasi tutti hanno dimenticato che, dopo i “nein, nein, nein” di Schäuble, spesso è arrivato uno “ja” che ha permesso di salvare la zona euro dalla Grexit e da gran parte dei suoi problemi bancari. Malgrado molte contraddizioni, Schäuble è un europeista convinto: è l’Ue intesa come comunità fondata sulle regole che ha guidato la sua azione, compresa l’idea molto controversa (e bocciata dalla cancelliera Merkel nel 2015) di un’uscita temporanea della Grecia. Era stato Schäuble nel pieno della crisi dell’euro a evocare la necessità di riforme dei trattati, comprese proposte come un parlamento e un bilancio della zona euro che oggi vengono riprese da Emmanuel Macron. Poi Schäuble ha perso fiducia, innanzitutto nella Commissione “politica” che aggira le regole e fa favoritismi a Paesi come Grecia o Italia, e ha iniziato a chiedere più rigore istituzionale, come un’autorità indipendente per applicare il patto di stabilità» (David Carretta). Il 24 ottobre 2017, l’abbandono del ministero delle Finanze per la presidenza del Bundestag: «Si chiude così lo scambio politico di Angela Merkel con i liberali, che pretendevano la sua esclusione dal governo come precondizione all’accordo “Giamaica”. […] Schäuble al momento dell’investitura è emozionato. […] Nel frattempo […] a Berlino nel cortile del ministero delle Finanze (ex Palazzo dell’Aviazione del Terzo Reich) i suoi ex dipendenti lo salutano schierandosi a forma di “zero”, disegnando la sagoma del suo pareggio di bilancio» (Sebastiano Canetta) • «La fede di Schäuble nell’Unione europea è pari a quella nell’austerità. Nel suo discorso del 1991 per Berlino capitale sottolineava che “noi tedeschi abbiamo riconquistato l’unità perché l’Europa ha voluto superare le sue divisioni”. Se Merkel, cresciuta per 34 anni all’ombra del Muro, tentennava, non sapeva bene cosa fare all’inizio della grande crisi, è stato lui a spingerla a varare interventi, perché la paragonava nel 2009 a un evento “che cambierà il mondo quanto il crollo del Muro di Berlino”. Anche nel duello tra Mario Draghi e l’arcigno Jens Weidmann, lei propendeva per il governatore della Bundesbank e solo Schäuble l’ha convinta a non ostacolare gli interventi della Bce per salvare l’euro. In un intervento ad Aquisgrana, fatto ritirando il premio Charlemagne, ha puntato il dito sui deficit democratici nella Ue, proponendo l’elezione diretta di un presidente e affermando che “l’unità europea deve avere un volto, e questo volto un potere legittimo”. Possibile che lo stesso europeista si trasformi poi in un talebano dell’austerità che impone i diktat a mezza Europa? Sì, è possibile. Perché per Schäuble salvare l’euro equivale a salvare l’Europa dai montanti populismi che, a destra o sinistra, vogliono distruggerla. […] Al suo progetto del 1994, l’Europa a due velocità, non è più tornato. Ma nella trattativa con il governo Tsipras il nostro fondamentalista dell’austerità ha espresso una durezza mai vista. […] Insomma, ha giocato tutte le carte per ottenere il massimo. Ha avuto addirittura uno scontro verbale con Mario Draghi, presidente della Bce, impensabile prima. Alla fine ha ottenuto quello che voleva, l’umiliazione di Tsipras, con un piano per certi versi più indigesto di quello che il premier aveva sottoposto a referendum, nel quale misure draconiane si accompagnano a riforme da fare in fretta e furia. […] Insomma, un superministro battagliero e spregiudicato che non si ferma davanti a nessuno. Quando la Russia invase la Crimea, fu lui il primo in Europa ad alzare la voce dichiarando che il dittatore russo “ha adottato quei metodi che Hitler aveva già usato con i tedeschi dei Sudeti”» (Lindner e Vastano) • Sposato, quattro figli • «Schäuble ha sempre fretta: per lui è questo che viene chiesto alla politica. È diventata celebre una scena svoltasi in pubblico e cliccata circa un milione di volte su YouTube e su altri portali di internet. Nel 2010 Schäuble fece fare una figuraccia all’allora capo ufficio stampa Michael Offer, che prima di una conferenza stampa si era dimenticato di distribuire i foglietti con le cifre più importanti. Schäuble interruppe la conferenza, redarguì Offer e lo mandò fuori a copiare le carte. C’erano giornalisti che ridevano. Offer, profondamente offeso, si dimise dal suo posto e si fece trasferire in un altro dipartimento» (Stefan Willeke) • «Ho un’idea un po’ démodé della politica. Ovvio che sono molto ambizioso e ho l’esigenza di impormi: altrimenti non sarei un politico. Ma cerco sempre di dire che non sono io la cosa più importante. È vero, sono leale. Ma, proprio perché sono leale, sono libero e scomodo. E forse in questa combinazione è tollerabile» (a Tonia Mastrobuoni).