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 2018  settembre 16 Domenica calendario

Al via il processo per la morte di Hélène, Pastor, la ricca ereditiera del Principato

«Ho paura. Ci sono delle cose che devo raccontarvi». Sono le ultime parole di Hélène Pastor davanti agli investigatori venuti a interrogarla nell’ospedale di Nizza. Il 21 maggio 2014 l’erede della famiglia di origine italiana che ha costruito mezza Montecarlo muore senza poter svelare i suoi segreti. È il processo più atteso dell’anno.
Nella Corte di assise di Aix-en-Provence usciranno allo scoperto le rivalità taciute dentro a una delle famiglie più potenti di Montecarlo, incrociando la traiettoria di un ambizioso faccendiere polacco, i tormenti di un coach massaggiatore e l’improvvisazione dei gangster della malavita marsigliese.
Nei primi interrogatori Wojciech Janowski aveva ammesso di aver assoldato dei killer per uccidere Hélène Pastor, salvo ritrattare e ora dichiararsi innocente. Ha invece confessato l’intermediario, Pascal Dauriac, 50 anni, personal trainer di Janowski e della compagna Sylvia, primogenita di Hélène.
Dauriac era l’uomo di fiducia della coppia, li frequentava da tredici anni organizzando sedute private di allenamento e massaggi. «Sono stato manipolato», ha raccontato ai pm. «Mi ha dipinto la suocera come un mostro, una donna senza cuore e senza pietà».
In realtà Janowski, secondo la testimonianza del coach, era terrorizzato all’idea che la compagna potesse morire per una ricaduta del tumore appena guarito. In quel caso, lui sarebbe rimasto senza nulla. La ricca compagna non ha infatti mai voluto sposarlo per non mettere in pericolo l’asse ereditario. «Ciò che è dei Pastor, deve restare dei Pastor», ripeteva Sylvia, in onore alla dinastia di costruttori di fiducia dei Grimaldi.
Il progetto di eliminare la suocera – secondo la versione del coach – si concretizza nel gennaio del 2014 quando Gildo Pastor, l’altro figlio della milionaria, è colpito da un ictus e viene ricoverato a Nizza. La madre va a trovarlo ogni giorno.
«Janowski ha capito allora che avrebbe potuto trarre vantaggio dalla situazione», ha detto Dauriac ai pm. «In un primo tempo voleva farla uccidere nel suo garage ma poi ha detto che una cosa del genere non si poteva fare». A Montecarlo, non si fa.
Janowski avrebbe delegato tutto al coach, mantenendo una vita da insospettabile. Promuove opere di bene, ha creato un’associazione di lotta contro l’autismo di cui la madrina è la principessa Charlène, è stato insignito dell’ordine al merito da Sarkozy. «Si è creato un’immagine affinché nessuno potesse pensare a lui come mandante», ha spiegato Dauriac, aggiungendo: «Dopo la suocera, mi aveva confessato di voler uccidere il cognato Gildo».
Il prezzo pattuito è di 140mila euro. Il genero polacco della milionaria monegasca – sostiene l’intermediario – pretende che venga ucciso anche l’autista e sia rubata la borsetta della vittima per confondere le indagini.
«Molti sono disposti a credere che gli arabi di Nizza uccidono due persone per rubare una borsa», avrebbe detto Janowski a Dauriac. Il coach assolda due ragazzi di 35 e 28 anni cresciuti nei bassifondi di Marsiglia. Dopo qualche giorno di suspense, con Hélène Pastor tra la vita e la morte, arriva l’epilogo. Dauriac ricorda la gioia del console: «Hai reso felice la mia famiglia».
Janowski nega tutto e anzi accusa il coach di aver ricattato la sua famiglia per farsi versare soldi. «È falso e risibile. Come avrei potuto ricattare un uomo che faceva paura a tutta Montecarlo, a sua moglie, a sua figlia anoressica, alle sue segretarie?». Dalle carte dell’inchiesta emergono le faide tra i Pastor, le difficili relazioni tra madre e la figlia, una predilezione per il secondogenito, Gildo. Dauriac ha raccontato di aver assistito a molte litigate. «Sylvia urlava, piangeva, diceva: “Mamma non c’è bisogno di insultarmi"».
Hélène Pastor accusava Janowski di essere uno sfruttatore. Almeno su questo, i fatti le hanno dato ragione.
Durante l’inchiesta, Sylvia ha scoperto che il compagno le ha sottratto di nascosto diversi milioni di euro. I pm si sono convinti che sia una vittima del faccendiere. «Spero che sarà condannato per ciò che ha fatto a mia madre – ha detto ai pm – e per tutti questi anni in cui mi ha mentito, rubato soldi. Avevo cieca fiducia in lui. Era l’uomo della mia vita, almeno così credevo».