Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2018  settembre 16 Domenica calendario

Roma era malsana. Quanti rachitici al tempo dei Cesari

Nel nostro mondo plasmato dalla tecnologia e dal progresso scientifico, tante malattie che nel passato hanno devastato intere popolazioni vengono ormai considerate sconfitte, una mera annotazione sulle pagine ingiallite dei libri di storia. Tra queste occupano un ruolo fondamentale le malattie dello scheletro, in particolare quelle in cui si ha una inadeguata mineralizzazione delle ossa durante la crescita, associata ad un’alterazione del loro rimodellamento, come pure una deficitaria formazione dei tessuti duri dei denti. Queste manifestazioni prendono il nome rispettivamente di rachitismo nell’età infantile e di osteomalacia negli adulti. Sono causate da un deficit di vitamina D, molecola che regola l’assorbimento del calcio e del fosforo da parte del sangue e dell’osso. Questo ormone è scarsamente presente nei cibi di cui ci nutriamo abitualmente (latticini, uova, pesce) e la sua quota principale deriva dalla sintesi all’interno dell’organismo umano stesso, grazie all’esposizione della cute alla luce ultravioletta che ne catalizza la reazione chimica. Una inadeguata esposizione alla luce solare è alla base di questa patologia.
Un caso storico classico è quello rinascimentale dei bambini della stirpe medicea di Firenze, i quali si nutrirono sino a circa due anni di età di latte materno, povero di vitamina D e che, come usava a quei tempi, venivano avvolti in pesanti fasce e trascorrevano la maggior parte del loro tempo al chiuso dei grandi palazzi nobiliari proprietà del loro casato. Paradossalmente, l’apparente fortuna rappresentata dall’essere parte di una élite era controbilanciata dalla sfortuna di non poter vivere all’aria aperta come i bambini delle classi meno agiate, che, comunque, per altri versi (si pensi alle carenze nutrizionali) potevano soffrire di rachitismo. Si può, pertanto, sottolineare come entrambi i fattori (esposizione alla luce solare e dieta) siano fondamentali, come ribadito dalla medicina moderna.
La situazione peggiorò notevolmente con la rivoluzione industriale, poiché inquinamento e smog, in aggiunta al vivere in ambienti malsani, chiusi e umidi, riducevano considerevolmente l’esposizione alla luce solare, segnando inesorabilmente l’esistenza di tantissimi bambini. La paleopatologia, la disciplina che permette, tramite lo studio dei resti mortali antichi (scheletri e mummie) e delle fonti storico-archivistiche, di ricostruire le manifestazioni delle malattie nel corso della storia, ci permette di individuare le tracce del rachitismo e dell’osteomalacia nel passato. Fino a qualche anno fa l’antichità di queste malattie veniva collocata alla metà del XIX secolo, con una ampia casistica britannica; successivamente sempre più numerosi casi sono stati descritti nella letteratura antropologica e paleopatologica, anche per epoche più lontane dalla nostra. Vari livelli diagnostici sono regolarmente impiegati per effettuare una diagnosi retrospettiva di rachitismo (morfologia, radiologia e istologia): i criteri macroscopici più tipici includono la curvatura delle ossa lunghe degli arti inferiori, modificazioni degli spessori del cranio, curvature anomale della colonna vertebrale, eruzione dentaria tardiva e un segno noto come «rosario rachitico», noduli osteo-cartilaginei che si presentano sulle costole. 
L’importanza dello studio delle alterazioni scheletriche causate da un deficit di vitamina D è anche oggetto di un crescente interesse in seno alla comunità scientifica internazionale, come testimoniato dal recente workshop, intitolato Vitamin D Deficiency: New Perspectives Under Past Light, tenutosi in occasione della 44ª Conferenza nordamericana dell’Associazione di Paleopatologia, svoltasi a New Orleans nell’aprile dello scorso anno, dove si sono incontrati i massimi esperti del rachitismo e dell’osteomalacia nell’antichità. 
Il medico romano Sorano di Efeso (vissuto nel II secolo d.C., attivo tra Alessandria d’Egitto e l’Urbe) è considerato tra i primi ad aver descritto il rachitismo nel mondo classico. Nel suo trattato ginecologico scrive: «Allorché il bambino cerca di sedersi e di stare in piedi, si dovrebbe aiutarlo a muoversi. Poiché, se è desideroso di sedersi troppo presto e troppo a lungo, finisce per diventare gobbo. Se, inoltre, è troppo pronto ad alzarsi e desideroso di camminare, le gambe possono diventare distorte nelle regioni delle anche». Questa la fonte storica principale. 
Ora uno studio diretto dai ricercatori Simon Mays (Historic England, Portsmouth, Regno Unito) e Megan Brickley (McMaster University, Canada) e pubblicato sulla rivista «American Journal of Physical Anthropology» getta finalmente luce sul rachitismo nell’Impero romano con un’analisi osteologica. La ricerca ha preso in esame resti scheletrici provenienti da varie parti dell’impero (oltre 2 mila individui da diversi contesti funerari) e risalenti a un arco temporale che va dal I al VI secolo d.C. La prevalenza del rachitismo nei subadulti, ossia negli individui sotto i venti anni di età, è stata trovata essere pari a 5,7%, mentre il 3,2% degli scheletri adulti mostra tracce di osteomalacia associata o meno a pregresse lesioni da rachitismo. 
Nel caso dei resti scheletrici provenienti da Ostia lo spiccatamente alto livello di deficit di vitamina D è stato imputato in parte alla mancata esposizione alla luce solare dovuta a una vita trascorsa in blocchi di edifici a più piani intensamente abitati, che impedivano alla luce di raggiungere le stanze e le vie interposte tra questi locali troppo ravvicinati. Come giustamente osserva Mays, le cui dichiarazioni sono state riportate dal quotidiano britannico «The Guardian», un grande parallelismo può essere proposto tra il livello di urbanizzazione raggiunto nell’Inghilterra vittoriana e quello dell’impero di Roma, con malattie da deficit di vitamina D quali utili strumenti di indagine. Colpisce, inoltre, il fatto che l’età dei bambini affetti da tali malattie fosse estremamente bassa nell’antica Roma, spesso anche solo di qualche mese.
Ancora oggi in vaste aree del mondo (Medio Oriente, Cina, vari Stati dell’Africa, Brasile), il deficit di vitamina D è grave e capace di lasciare tracce sulla salute di tanti bambini. Lo studio anglosassone sull’antichità rappresenta un importantissimo contributo allo studio dell’evoluzione e storia di questa malattia, che apre una finestra sul passato e offre fondamentali spunti di riflessione per la medicina moderna e la nostra società complessa e articolata, soggetta alle sfide della globalizzazione. Questo dimostra che la paleopatologia è non solo pratica medica archeologica, ma strumento di riflessione attiva e stimolante per la collettività.