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 2018  settembre 16 Domenica calendario

Berengario’s Anatomy. Scienza e arte della dissezione

La medicina al tempo di Grey’s Anatomy sembra tutta un’altra cosa: un mix intrigante di amori, passioni e tradimenti tra cannule, bisturi, pinze, divaricatori, forbici di Mayo, flebo e defibrillatori molto hi-tech, dove i toni cardiaci e i rumori polmonari in sottofondo sembrano rubati a una partitura minimalista in perfetto stile Philip Glass. È solo apparenza: perché i corpi umani disegnati da Berengario da Carpi certo raccontano un’avventura scientifica ormai lontana (era stato lui a descrivere per primo l’appendice, il timo, le cartilagini adenoidee, le valvole cardiache, certi piccolissimi ossicini dell’orecchio) ma anche quell’ineluttabile attenzione per l’uomo e per i suoi sentimenti tipica del tempo di Berengario, il Rinascimento del Duca Alfonso I d’Este, e soprattutto delle ben più contemporanee avventure di Meredith & Co.
Da una parte, dunque, il medico-chirurgo-scienziato che curò papi e principi: con la precisione da miniatura dei cuori, dei muscoli e degli organi che abbelliscono, i suoi trattati degni «del più grande anatomista pre-Vesalio». Dall’altra, l’umanista cresciuto nel segno di Aldo Manuzio: così talmente appassionato di scultura antica da trasformare gli scheletri a figura intera dei suoi volumi in personaggi degni delle danze macabre del XV secolo mentre lo scorticato dei suoi Commentaria molto assomiglia a quello inciso da Marco Dente nei primissimi anni del Cinquecento. 

Ai due (e più) volti di Berengario da Carpi. Il medico del Rinascimento è dedicata la mostra curata da Manuela Rossi e Tania Previdi in corso ai Musei di Palazzo dei Pio di Carpi (fino al 16 dicembre) che riporta in primo piano l’intuizione più moderna di Berengario: aver compreso l’importanza della illustrazione nei libri di anatomia. Un’intuizione che, di fatto, avrebbe anticipato il valore didattico di uno dei testi-chiave di questa disciplina: i quattro volumi (poi diventati sette) del Trattato di anatomia compilato da Leone Testut tra il 1889 e il 1892 che dei disegni così precisi e coloratissimi (con i particolari essenziali contrassegnati dal rosso, dal blu, dal giallo proprio come l’Hymn di Damien Hirst) avrebbe fatto uno dei suoi punti di forza. Perché la pratica delle dissezioni, era l’idea di Berengario, non deve essere «tradotta» solo per gli studenti di medicina ma anche per gli artisti. Che per passione e per necessità, si sono da sempre dovuti confrontare con la «questione anatomica», come confermano le infinite serie di disegni e dipinti che hanno come soggetto principale teste, scheletri e corpi umani firmati da Leonardo da Vinci, Antonio Pollaiolo o Michelangelo. Ma anche il sorprendente Nudo maschile sdraiato (inizio XVI secolo) di Marco Basaiti: un eroe romantico nella sua malinconica nudità che fa subito pensare al dolente Giovanni delle Bande Nere immaginato da Ermanno Olmi nel suo Mestiere delle armi (2001) che oltretutto proprio Berengario, su invito di Papa Clemente VII, avrebbe (inutilmente) cercato di guarire dalla cancrena.
L’avventura scientifica e umana di Berengario ne fa uno dei protagonisti assoluti della medicina del Rinascimento. Nato a Carpi, Berengario (1460 circa – 1530) avrebbe seguito gli insegnamenti di Aldo Manuzio per poi laurearsi a Bologna nel 1489, dove avrebbe «professato la pratica chirurgica perfezionando le tecniche operatorie» (dalla città sarebbe poi stato allontanato per la sua eccessiva disinvoltura nell’utilizzo dei cadaveri da dissezionare). Ma l’interesse scientifico di Berengario, cresciuto in una famiglia di medici in cui ci si tramandava il segreto di efficaci unguenti e cerotti, si legherà in maniera indissolubile al suo interesse per l’arte e per la storia antica, grazie al quale saprà cogliere la bellezza e il valore del frammento di marmo del busto di Nerone di epoca romana (riproposto nella installazione originaria, nella casa di Berengario). O del San Giovannino nel deserto dipinto da Raffaello, a lui appartenuto in copia, ed esposto nella versione xilografica, incisa da Ugo da Carpi.

Giunto all’apice della fama (e della ricchezza), Berengario sarebbe stato letteralmente conteso dalle più importanti corti dell’epoca, al punto di diventare chirurgo di tre papi e di curare Lorenzo de’ Medici colpito alla testa da una pallottola di archibugio. Tra le sue ricette, un unguento prodigioso che, dopo l’aggiunta di mercurio, sarebbe divenuto un efficace anti-sifilide. Tra le sue qualità umane, un pessimo carattere che gli avrebbe fatto rischiare l’amputazione delle narici e fatto affermare di preferire essere sottomesso a «uno zudeo, un turco, uno asino o uno porcaro piuttosto che sotto il governo del Duca di Ferrara» (che comunque avrebbe infine scelto di servire). 
Quando nel 1521 pubblicherà i suoi Commentaria, Berengario da Carpi farà scoprire (proprio in virtù di quelle straordinarie illustrazioni) che il cuore, la colonna vertebrale, l’apparato riproduttivo femminile, lo scheletro, i muscoli, le vene o il cervello potevano essere rappresentati in modo degno, come avrebbe potuto farlo un artista. Anticipando quella passione per il corpo, anche squartato, che darà prossimamente vita alla nuova edizione di Real bodies, la mostra in programma dal 6 ottobre allo Spazio Ventura di Milano (200 mila i visitatori per la più recente tappa romana). Ennesima conferma che, come professava Berengario, l’anatomia non può essere la rilettura degli antichi, ma deve trovare nuovi codici per conquistare il pubblico.