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 2018  settembre 16 Domenica calendario

Quel pasticcione di Raffaello

Un tempo le relazioni di restauro venivano relegate quasi sempre alla fine dei libri o dei cataloghi, come se si volesse celare alla vista la prosa, vagamente repellente, con cui venivano redatti quei referti. Piano piano, però, i restauratori hanno preso coscienza del grande interesse insito nel loro lavoro, e si sono messi a scrivere libri autonomi, a metà strada tra scienza del restauro e autobiografia, spesso ben redatti ed estremamente interessanti. I libri di Pico Cellini, Bruno Zanardi, Gianluigi Colalucci e Pinin Brambilla Barcilon rappresentano casi eloquenti di questi intriganti “diari di vita e di lavoro” capaci di coinvolgere anche i lettori non addetti ai lavori.
A questa tradizione si aggiunge il libro di Maurizio De Luca, Ispettore e Capo restauratore dei Laboratori di Restauro dei Musei Vaticani dal 1995 al 2010. De Luca ha maturato – davvero come pochi – una conoscenza capillare e diretta delle pareti del Vaticano affrescate dai più grandi maestri del nostro Rinascimento. E come pochi è stato in grado di leggere l’abilità, la qualità e i pregi di sommi artefici quali Perugino, Botticelli, Pinturicchio, Raffaello e Michelangelo. Ma nel contempo è stato anche in grado di rilevare i “difetti” che questi astri della pittura hanno disseminato sulle pareti, in termini di errori tecnici, sviste, gesti maldestri e singolari incidenti avvenuti sui ponteggi durante le fasi di lavoro.
Poiché dei pregi degli affreschi vaticani parla già un’abbondantissima letteratura, potrebbe essere interessante approfondire – con l’aiuto di De Luca – proprio la natura di questi “difetti”.
Nel Battesimo di Cristo della Cappella Sistina, Pietro Perugino si accorse – ad affresco ultimato – che un personaggio secondario vestito di rosso si trovava proprio accanto a un cardinale, ovviamente vestito di rosso. Perugino corresse a secco quella fastidiosa ripetizione cromatica ricoprendo di verde la veste rossa del vicino, ma con il tempo il “rimedio” cadde in frantumi e saltò fuori di nuovo la veste rossa originaria (con tanto di bottoni). Ancora Perugino, nell’episodio della Circoncisione del figlio di Mosè, commise l’errore di dipingere un dettaglio di orizzonte sopra un paesaggio già realizzato: fu così che il colore chiaro del cielo, per gravità, colò sul paesaggio scuro sottostante, lasciando una scia indelebile.
Nell’Appartamento Borgia, Pinturicchio commise ripetuti sbagli nella realizzazione delle aureole, e fu costretto a modificarle quando gli affreschi erano ormai irreversibilmente asciutti. I maldestri rabberci, operati nella speranza di nascondere i difetti, oggi si vedono quasi a occhio nudo.
Quando il grande Raffaello esordì nelle Stanze vaticane, dimostrò un’iniziale incertezza nello stendere gli intonaci destinati ad accogliere la Scuola di Atene. Il non perfetto dosaggio degli ingredienti dell’impasto (calce e pozzolana) portò alla fastidiosa formazione di molte e larghe crepe nella parte superiore dell’affresco. Raffaello mise rapidamente mano al “difetto” facendo preparare il resto della parete sottostante con intonaci più adeguati, che infatti hanno prodotto una crettatura meno evidente e assolutamente nella norma. 
Neppure Raffaello fu immmune dal fenomeno delle colature incontrollate, che si notano, ed esempio, nel Parnaso: un rivolo rosso abbandona la veste del sommo Dante e va a colare sulla sottostante scarpa verde del poeta.  
Bisogna considerare che i cantieri raffaelleschi in Vaticano dovevano essere caratterizzati da una certa confusione, con numerose persone agitate e vocianti che lavoravano in condizioni di costante precarità su impalcature strette e ingombre di cose. Ebbene, gli affreschi hanno “fotografato” questa situazione, restituendoci singolari testimonianze. Nelle architetture della Scuola di Atene, ad esempio, è tuttora visibile l’impronta nera di una mano aperta, stampata sul muro da qualcuno che, forse inciampando in qualche cosa, si appoggiò istintivamente alla parete per restare in piedi. Ancora più singolare è stato il ritrovamento nell’impasto dell’intonaco nella Stanza dell’Incendio di Borgo di alcuni fagioli. De Luca li interpreta come la traccia di una classica “pausa pranzo” condotta in cantiere, durante la quale un muratore fece cadere accidentalmente i legumi nell’impasto destinato poi a essere steso sulle pareti.
A testimonianza della concitazione con cui si lavorava sui ponteggi c’è da registrare anche un altro clamoroso incidente. Accadde nella Stanza di Eliodoro, di fronte alla scena della Liberazione dal Carcere. Qui qualcuno rovesciò con un gesto maldestro una scodellina di colore rosso contro la parete. L’episodio fu piuttosto grave perché il colore andò a colpire in pieno il viso della figura cardine di tutta la scena: l’Angelo circonfuso di luce che viene a liberare san Pietro. L’errore – emerso dal recente restauro – offre la surreale sensazione di un uomo che perde abbondante sangue da naso per aver sbattuto la faccia contro la grata della prigione. La dinamica dell’incidente ovviamente non ci è nota, ma è certo che lo sbadato pasticcione (Raffaello, o più probilmente qualche suo allievo) commise il misfatto quando l’angelo era appena stato dipinto, tant’è vero che il colore rosa del viso angelico, il giallo della veste e il rosso della macchia improvvisa si sono fissati tutti solidamente all’intonaco. Invece di demolire il volto e di rifarlo di netto, si decise di coprire quel bruttissimo “sangue dal naso” con ridipinture a secco (la prima toccò probabilmente a Raffaello stesso). Ridipinture che però col tempo si frantumarono e fu necessario periodicamente rimpiazzare.
Sul finire della vita, Michelangelo fu costretto ad accettare la sua ultima commissione vaticana: la Cappella di Paolo III Farnese con le Storie di San Pietro e San Paolo. L’artista – ormai al limite delle forze – si sottomise a malincuore a quest’estrema fatica, tra l’altro afflitto da una singolare paura: quella di cadere dai ponteggi. Cadere dai ponteggi era uno degli incidenti più frequenti che potevano capitare agli artisti. E Michelangelo ne sapeva qualcosa perché, da giovane, dai ponteggi della Cappella Sistina, era caduto sul serio.