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 2018  settembre 16 Domenica calendario

«Ho trasformato l’Urlo di Munch in un’opera d’arte da indossare». Intervista a Annabelle d’Huart

Annabelle d’Huart, lei ha cominciato come fotografa a New York, vero?
«Sì, ma prima ho frequentato la École Camondo a Parigi. Mio nonno viveva a Aix-en-Provence e fu tra i fondatori del festival musicale. Era anche un grande collezionista. Sono sempre stata circondata dall’arte».
Ma perché la fotografia?
«Quando avevo 20 anni nacque ad Arles il Festival della fotografia e il fotografo americano Ralph Gibson mi disse: se vuoi fare la fotografa quando sei a New York chiamami. Ci andai ed ero molto amica di Nicky Vreeland, che adesso è un monaco buddista ma all’epoca era assistente di Richard Avedon, e passavamo le giornate a guardare foto. Volevo fotografare gli studi di alcuni artisti minimalisti americani perché a quei tempi su di loro c’era poca documentazione. Sto parlando di Richard Serra, Donald Judd, Sol LeWitt, Ellsworth Kelly, Brice Marden, Dan Flavin, Cy Twombly, Frank Stella. Volevo creare un libro con 16 pagine dedicate a ciascun artista dove ognuno avrebbe potuto scegliere le proprie fotografie e inventare le pagine e scrivere i propri testi».
Nessuno lo ha pubblicato?
«L’editore Christian Bourgois non mi diede risposta, ma ho conservato le immagini per 40 anni e due anni fa ho fatto da me. Il museo di Philadelphia è interessato ad acquistare l’intero lotto. Un centinaio sono state esposte nel 2004 alla Paula Cooper Gallery di New York».
Ma come è stato vedere questi artisti al lavoro nei loro studi?
«Con ognuno di loro prendevo appunti e avevo una piccola Leica, non li ho affatto disturbati. E nel nostro rapporto ho cercato di essere completamente trasparente, di non disturbarli in alcun modo e di fotografare il loro stile personale».
Dopodiché?
«Ho iniziato a dipingere e ho esposto per la prima volta nel 1989 alla Galerie Pierre Passebon, la mostra s’intitolava Atlantis. Una serie di gouaches su larga scala, che evocano una cartografia immaginaria di antiche civiltà attraverso un lenta progressione dal solido al liquido. I suoi continenti sono le cristallizzazioni di frammenti di memoria composti da deserti o elementi acquatici che hanno una qualità amnesica. Dopo, per 15 anni ho realizzato sculture, le prime nel 1996, Golden Dream of Our Origins, ventitré vasi in terracotta e bronzo dorato posati su treppiedi arrugginiti, disposti su un rettangolo di terra che misura 4 metri per 8 metri. Questa installazione mette in scena una combinazione di contrasti: ruggine e oro, bronzo e terracotta, argilla e foglia d’oro. E poi ho avuto l’occasione di aprire un atelier a Marrakesh e il mio lavoro è stato ispirato da un testo di Isaac Newton che paragona le stelle ad aghi in equilibrio instabile e precario sulle loro punte. Io questo l’ho messo in relazione alla fragilità della condizione umana. Ho scolpito donne che non stanno sdraiate come odalische, ma in piedi, donne che si raccontano, donne che sono ferite. Ne ho realizzato 24, rivestite di bianco, che si riflettevano in una vasca di legno di cedro, bianca e dorata». 
E dopo cosa ha fatto?
«Dal 1991 mi sono dedicata alla creazione di gioielli pezzi unici. Tra questi una collana, Talisman, è entrata a far parte della collezione Guggenheim, distribuita da Les Amis du Musée National D’art Moderne. Ho anche realizzato una collezione per Maison Chanel che è stata molto utilizzata per l’alta moda dell’inverno 2000. Poi, nel 2007, ho lavorato per Yohji Yamamoto. Quando mi chiese di andare a Tokyo, la prima cosa che mi disse in un ufficio che metteva soggezione, fu: “Non mi piacciono i gioielli”. Poi gli spiegai che i miei erano ispirati al famoso dipinto di Munch l’Urlo, e mi disse ok e così sono diventati l’ispirazione per la collezione Stormy Weather».
Come mai ha lavorato con la manifattura di Sèvres?
«Il curatore visitò la mia mostra Songes d’or ou L’Origine rêvée e poi mi contattò, ho lavorato con loro su tre progetti. Prima un servizio da tavola completo ispirato ad Atlantis, poi un omaggio a Ruhlmann, e poi, dal 2007 al 2010, come artista residente a Sevres-Cité de la Céramique, ho creato una serie unica di trecento pezzi di gioielli in ceramica, Flotsam ( Choses de Flots et de Mer), ispirati al mare e alla lettura del libro di Victor Hugo, I lavoratori del mare. Sono stati esposti al Musée des Arts Décoratifs nel 2008 e alla Galerie Anne Sophie Duval nel 2010. Sessanta pezzi appartengono alla collezione permanente del Museo di Sèvres». 
Da quando dipinge?
«Nel 2007 ho ricominciato a disegnare e nel 2016 ho esposto alla Galerie Pixi la mia serie dedicata alle Principesse del mare, ispirata agli Imbroglios di Leonardo. E per quanto riguarda la pittura ho appena finito una serie di sette tele 190cmx290cm, Shitao, quattro sono state esposte alla mostra L’Expérience de la couleur al Musée de Sèvres».
Come descriverebbe la sua vita?
«Vivo a Parigi in modo molto sobrio. Mi dedico alle cose che so fare e disegno per la mia mostra che si terrà in primavera alla Galerie Pixi - Marie Victoire Poliakoff. Il mio lavoro richiede molto tempo. A volte lavoro tre anni di fila senza prendermi una vacanza. Mi piace l’Italia. Amo viaggiare, e ho molto viaggiato, ma viviamo in un tempo molto accelerato e questo non fa bene al lavoro e alla concentrazione. Ho bisogno di calma». 
Pensa di avere il riconoscimento che merita?
«No, ma per me non è un problema. Ciò che conta è il lavoro». 
(Traduzione di Carla Reschia)