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 2018  settembre 16 Domenica calendario

A Ceuta, dove la Spagna si sente impotente. «Inutile alzare muri, decide il Marocco»

A presidiare il confine più caldo d’Europa stamattina sono solo in 17. Gli agenti della Guardia Civil osservano la rete che divide la Spagna e il Marocco, l’Ue dall’Africa, con la speranza che oggi non sia giorno di «salti». A luglio e agosto è successo spesso: centinaia, a volte migliaia, di sub-sahariani si sono presentati lungo i nove chilometri della frontiera di Ceuta e hanno scavalcato la recinzione. Un tentativo di massa e anche violento, secondo i racconti dei poliziotti: «È una novità. Sembravano addestrati in modo militare, armati di machete, lance e anche di calce viva che ci hanno tirato addosso - racconta un poliziotto nel via vai della frontiera - in quei casi non sappiamo cosa fare, non c’è un protocollo. Non possiamo usare i mezzi degli agenti antisommossa, come i lacrimogeni. Restiamo solo con un manganello e lo scudo». 
Il governo spagnolo che, dalla vicenda dell’Aquarius in poi, ha esibito la linea morbida dell’accoglienza, stavolta ha mostrato un altro atteggiamento e ha rispedito in Marocco 116 africani, in base a un accordo del 1992, praticamente mai utilizzato. «Vogliamo mandare un messaggio chiaro - ha detto il ministro dell’Interno Fernando Grande-Marlaska -: con la violenza non si entra». Ma i messaggi arrivano anche in altre direzioni, da Rabat ad esempio ne arrivano in continuazione. 
Se il lato spagnolo del confine è presidiato da pochi agenti, sebbene ci siano telecamere e sensori per tutto il perimetro, dall’altro lato la presenza delle forze marocchine è molto massiccia. I numeri non vengono diffusi, ma i calcoli ufficiosi parlano di almeno 100/150 uomini della polizia militare a controllare che nessuno si avvicini. Il ruolo da gendarme dei flussi migratori non è nuovo, ma è diventato più complicato da quando le rotte sono cambiate. «Stimiamo che ci siano molte migliaia di sub-sahariani nei boschi delle province di Tetuan» dice Carlos Rontomé, professore dell’Università di Granada, uno dei massimi esperti della frontiera meridionale, «alzare le recinzioni è inutile». 
La paura dei servizi
Un ex militare spagnolo che ha pattugliato il confine per anni, ed è rimasto a vivere a Ceuta dice quello che ufficialmente non si può dire: «Se arrivano mille persone a scavalcare vuol dire che i poliziotti marocchini si sono girati dall’altra parte». E, a differenza della Libia, questo è uno Stato che controlla il territorio: «Non succede nulla che non sia deciso dal re».
Il rapporto con il Paese vicino è l’ossessione degli esperti del fenomeno, compresi gli agenti dei servizi segreti spagnoli, il Cni, presenti in buon numero nell’enclave: «Ogni tanto ci inviano un segnale “Vi ricordate di noi?”. A quel punto la Spagna è costretta a negoziare». E la partita con Rabat è molto più ampia di Ceuta e Melilla: c’è la questione del Sahara occidentale, quella della pesca, il narcotraffico, il commercio in una frontiera senza dogana, per non parlare del terrorismo. A Ceuta e Madrid si nota come ogni volta che in Spagna cambia il governo, dalle coste marocchine, normalmente ben controllate, partano centinaia di imbarcazioni che attraversano lo stretto di Gibilterra. Al porto di Ceuta ricordano un episodio emblematico del 2014: la Guardia costiera ferma uno yacht per un controllo. Gli agenti salgono a bordo e scoprono che si trattava della barca del re del Marocco, Mohammed VI, il quale non gradì «e il giorno dopo in Andalusia arrivarono migliaia di immigrati africani, tutti abbiamo capito perché». Stesso meccanismo è scattato, è la ricostruzione degli specialisti, anche dopo l’annuncio che il governo di Pedro Sánchez avrebbe accolto l’Aquarius. Il messaggio in quel caso è stato: volete cambiare la politica migratoria? Parlatene con noi. Il ministro degli Esteri,Josep Borrell, mise subito in agenda un incontro con il suo omologo a Rabat. 
Le regole
Le norme in vigore nell’enclave sono diverse, nella sostanza, da quelle della penisola. Chi scavalca qui può essere rispedito subito in Marocco, ci sono dei varchi appositi che si aprono, le «restituzioni a caldo» sono criticate da tutte le associazioni umanitarie e sono state condannate dai tribunali europei, ma la Spagna, con governi di destra e di sinistra, pare non poterne fare a meno. 
Chi riesce a penetrare oltre la strada che costeggia il confine, però, non può essere più respinto, almeno non subito. La procedura prevede una detenzione «morbida» di massimo 72 ore e il trasferimento al Ceti, il centro di soggiorno permanente. In pochi chiedono l’asilo, sperando di essere trasferiti nella penisola. 
Spesso quelli che scavalcano devono essere medicati: in cima alle recinzioni ci sono, infatti, “le concertine”, il filo spinato che provoca ferite gravi. Le foto dei tagli profondi girano sui cellulari dei «ceutí», ma in pochi si scandalizzano. Anzi. In città sta aprendo una sede Vox il movimento dell’ultradestra spagnola, finora senza alcuna rappresentanza politica che ha individuato Ceuta come rampa di lancio verso la penisola. «Giocano sulla paura e sui problemi sociali»,spiega il segretario socialista Manuel Hernández. Un precedente esiste: Franco partì dal Nordafrica per il suo colpo di Stato. 
A presidiare il confine più caldo dell’Europa stamattina sono solo in 17. Gli agenti della Guardia Civil osservano la rete che divide la Spagna e il Marocco, l’Ue dall’Africa, con la speranza che oggi non sia giorno di “salti”. A luglio e agosto è successo spesso: centinaia, a volte migliaia, di sub-sahariani si sono presentati lungo i nove chilometri della frontiera di Ceuta e hanno scavalcato la recinzione. Un assalto di massa e anche violento, secondo i racconti dei poliziotti: «Sembravano addestrati in modo militare, armati di machete, lance e anche di calce viva che ci hanno tirato addosso», racconta un poliziotto ormai con una certa esperienza della zona . Il governo spagnolo che, dalla vicenda dell’Aquarius in poi, ha esibito la linea morbida dell’accoglienza, stavolta ha mostrato un altro atteggiamento e ha rispedito in Marocco 116 africani, in base a un accordo del 1992, praticamente mai utilizzato. «Vogliamo mandare un messaggio chiaro - ha detto il ministro dell’Interno Garcia Marlaska -: con la violenza non si entra». Ma i messaggi arrivano anche in altre direzioni, da Rabat ad esempio ne arrivano in continuazione. Se il lato spagnolo del confine è presidiato da pochi agenti, sebbene ci siano telecamere e sensori per tutto il perimetro, dall’altro lato la presenza delle forze marocchine è molto massiccia. I numeri non vengono diffusi, ma i calcoli ufficiosi parlano di almeno 100/150 uomini della polizia militare a controllare che nessuno si avvicini. Il ruolo da gendarme dei flussi migratori non è nuovo, ma è diventato più complicato da quando le rotte sono cambiate. «Stimiamo che ci siano migliaia e migliaia di sub sahariani nei boschi delle province di Tetuan» dice Carlos Rontomé, professore dell’Università di Granada, uno dei massimi esperti della frontiera. 
Un ex militare spagnolo che ha pattugliato il confine per anni, ed è rimasto a vivere a Ceuta, dice quello che ufficialmente non si può dire: «Se arrivano mille persone a scavalcare vuol dire che i poliziotti marocchini si sono girati dall’altra parte». Il rapporto con il Paese vicino è l’ossessione degli esperti del fenomeno, e non solo di quello migratorio: «Ogni tanto ci inviano un segnale “Vi ricordate di noi?”. A quel punto la Spagna è costretta a sedersi al tavolo e negoziare». E la partita con Rabat è molto più ampia di Ceuta e Melilla: c’è la questione della pesca, quella del narcotraffico, il commercio in una frontiera senza dogana, per non parlare del terrorismo. Basti considerare che un alto numero dei foreign fighter che hanno combattuto in Siria e Iraq provengono dalle province intorno alle due enclave spagnole. A Ceuta, ma anche ovviamente a Madrid, non passa inosservato il fatto che ogni volta che in Spagna cambia il governo, dalle coste marocchine, normalmente molto ben controllate partano centinaia di imbarcazioni che attraversano lo stretto di Gibilterra. Al porto di Ceuta ricordano un episodio emblematico: «La nostra guardia costiera fermò uno yacht per un controllo, saliti a bordo gli agenti scoprirono che si trattava della barca del re del Marocco, il quale la considerò un atto ostile. Il giorno dopo in Andalusia arrivarono migliaia di immigrati africani». Stesso meccanismo è scattato, è la ricostruzione degli specialisti, anche dopo l’annuncio che il governo di Pedro Sánchez avrebbe accolto l’Aquarius.