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 2018  settembre 16 Domenica calendario

Cadere in un Kapoor

Se Anish Kapoor piace così tanto ai bambini, allora ha vinto davvero. Wensel, Eva o Mariana arrivano ogni giorno con i loro genitori da ogni parte del mondo, ma le loro reazioni sono universali. Saltano, urlano, entrano ed escono dal cubo rosso e nero attraversato internamente da una tromba: Sectional Body Preparing for Monadic Singularity, l’opera – 7 metri e mezzo di altezza per 7 tonnellate di peso – installata qui, fuori dall’ingresso del Serralves, il museo d’arte contemporanea di Porto. È la stessa che, nel 2015, fu montata temporaneamente nei giardini della Reggia di Versailles. In quel caso, si trattò dell’estate dello scandalo, con un’altra scultura imbrattata, perfino: Dirty Corner. E tanti che inorridirono per le strutture allusivamente vaginali firmate dal maestro angloindiano (Mumbai, 1954) e portate con sprezzo del pericolo tra le fontane del Re Sole. Stavolta, in Portogallo, invece, nessun clamore, se non per la caduta accidentale, lo scorso 13 agosto, di un turista italiano nel buco nero profondo due metri e mezzo di Descent into Limbo: inconvenienti dell’arte contemporanea. Works, Thoughts, Experiments (a cura di Suzanne Cotter, fino al 6 gennaio 2019) è un percorso tra i progetti di Kapoor pensati per l’esterno e insieme una caccia al tesoro nel magnifico parco del Serralves, con giardini all’inglese, prati, laghetti, quinte teatrali di verde che si allargano e restringono attorno al visitatore. Sembra di essere dentro le pagine di Lewis Carroll: Alice, però, non dà la caccia a stregatti burloni. L’obiettivo, mappa alla mano, è trovare i Kapoor. Il primo indizio – l’introduzione al tour – si trova all’interno del museo disegnato da Alvaro Siza.Whiteout, il monolite bianco lasciato nella hall, invita verso l’ampia sala dove l’artista Turner Prize ha raccolto 56 modellini di progetti già realizzati o rimasti ancora nella categoria delle utopie. Ed è una festa per gli occhi poter guardare finalmente tutto insieme l’universo dello scultore in scala ridotta, come in una stanza di giochi. Si riconoscono il Cloud Gate per il Millennium Park di Chicago, l’Olympic Orbita per i Giochi olimpici di Londra, ma anche la scultura per la metropolitana di Napoli, a Monte Sant’Angelo.
L’arte di Kapoor è una sfida continua con lo spazio da occupare, un gioco di specchi, di anditi bui, anfratti e spirali che rimandano a un mondo prenatale. Il limbo – il luogo indefinito, di passaggio tra un prima e un poi – è un’immagine ricorrente del suo lavoro. Kapoor ama condurre chi cammina nelle sue opere in ambiti che somigliano più a spazi mentali che a soluzioni pratiche. E, non dovendo progettare edifici con una funzione specifica o super musei, se lo può davvero permettere. Al Serralves, l’interazione con lo scenario preesistente è studiata al millimetro. L’artista ha fatto i primi sopralluoghi a gennaio: i suoi tecnici hanno studiato il terreno, la direzione dei venti, preso ogni misura. Perché le opere da esterno di Kapoor diventano ogni volta qualcosa di diverso. Ed è una sorpresa, alla fine del roseto, scoprire in un piccolo giardino chiuso Sky Mirror, uno specchio concavo d’acciaio installato in alto che riflette lo spazio circostante e sembra proiettare lo spettatore in una dimensione che non c’è. Qui i selfie non vengono granché: siamo “oltre lo specchio” stesso, tanto per trovarsi di nuovo insieme a Lewis Carroll. Superato un laghetto, aggirate le oche, si arriva sul limitare del bosco. Alla fine di una discesa verde, troneggia Language of Birds, una scala a spirale da cui ammirare il paesaggio. Ogni domenica, Pedro Henriques, evocatore di uccelli reclutato dalla società ornitologica locale, prova a richiamare i pennuti, ricordando un po’ San Francesco d’Assisi e un po’ un muezzin, visto che la scala si ispira a quella della Grande moschea di Samarra, in Iraq, terra d’origine della madre di Kapoor. Non troppo distante, sta sorgendo per restare nella collezione en plein air del Serralves In the Shadow of the Tree and the Knot of the Earth: un’onda che sbuca dalle viscere della terra per formare un minaccioso artiglio. In lontananza, al centro di un campo, si scorge Descent into Limbo.
Presentato per la prima volta a Kassel, nel 1992, durante Documenta IX, il cubo grigio con una porta che si apre su una stanza con un cerchio scuro e profondo al centro (attenti, non cadeteci dentro!) è il non luogo in cui confluiscono le ossessioni di Kapoor.
E quella sua utopia di portarci finalmente da un’altra parte, senza un tempo, senza uno spazio. Dove gli adulti si fanno domande e i bambini, invece, smettono di chiedere e percorrono da soli l’esperienza. La mappa si può gettare via, adesso, e riprendere il percorso daccapo. Per rispuntare alla luce.