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 2018  settembre 16 Domenica calendario

Vedi alla voce: contro. A proposito della nuova edizione dello Zingarelli

Se è vero che il vocabolario è il grande romanzo sociale e culturale dell’evo contemporaneo, che cosa ci racconta la nuova edizione aggiornata dello Zingarelli? Questo è l’anno delle parole antagoniste, dei lemmi che cominciano con “anti” a prescindere dall’oggetto dell’avversione, e se non sono decisamente contrari esprimono comunque estro polemico, sguardo critico, un sostanziale scetticismo. I neologismi del 2019 disegnano un paese malmostoso e spaesato, troppo spesso incline al mal di pancia, che scuote la testa senza sapere bene dove andare. Perché è innegabile che buiamo di frequente – voce del verbo buare, ossia emettere dei sonori “buu” all’indirizzo di chi non apprezziamo – ma ci piace dare vita a iniziative antibufale — aggettivo invariabile per chi contrasta la diffusione di notizie false – e contemporaneamente siamo anche antivaccinisti. E a pensarci bene i due neologismi indicano predisposizioni radicalmente opposte, come in quei pazienti schizofrenici che manifestano comportamenti dissociati. E forse non è un caso che, nell’Italia travolta dal vento populista, rabbiosa e protestataria, alla palma di “neologismo dell’anno” si candidi la parola antitutto,aggettivo e sostantivo per indicare chi si oppone sistematicamente a ogni iniziativa e proposta. Senza più bussole né stelle polari. E senza una meta precisa.« Antitutto come parola chiave di questo passaggio storico? Potrebbe essere un’idea». Mario Cannella è il lessicografo che da un quarto di secolo cura gli aggiornamenti dello Zingarelli. Ogni anno a novembre, al numero 34 di via Irnerio a Bologna – storica sede della Zanichelli – partecipa alla riunione con altri cinque sismografi della parola per dare vita alla lista dei duecentocinquanta neologismi ( questa la media annuale delle new entry). «Per questa nuova edizione abbiamo selezionato numerose parole antagonistiche e anche diversi termini antipatizzanti, che riflettono uno sguardo critico spesso filtrato dall’ironia. Brunetto Latini le avrebbe definite contrariose, ossia morbidamente avverse. Appartengono al genere contrarioso lemmi come salottismo evipparolo, che indicano sarcasticamente i salotti alla moda. O come mangiarana che esisteva già nell’Ottocento ma è ricomparso di recente sempre per farsi beffa dei francesi: un tempo veniva usato dai puristi contro i barbarismi francesizzanti, oggi riaffiora nel contesto delle polemiche contro l’Eliseo».Dal purismo arcigno al più sbracato sovranismo che blinda le frontiere, il passo non è da poco. Ma qual è il senso culturale che si ricava da questi nuovi innesti contrari o contrariosi? «Oggi la lingua riflette un disagio crescente che ha assunto forme disintermediate», dice Cannella. «Un tempo la protesta si incanalava attraverso i partiti, il sindacato, i circoli. Ora si espande in modo più fluido, traducendosi in un disappunto generalizzato e spesso inconsapevole. È anche questo il frutto di uno smarrimento diffuso nelle varie fasce di età e in diversi strati sociali. Quello stesso straniamento che l’anno scorso ci ha indotto a introdurre nello Zingarelli la parola disidentità, ossia la perdita della consapevolezza di un’identità individuale o collettiva, basata su precisi riferimenti culturali, sociali o religiosi».A questo punto appare inutile cercare nel corso del Novecento passaggi storici altrettanto connotati da termini antagonistici o antipatizzanti. Perché nei decenni Sessanta e Settanta – prosegue Cannella – proliferavano i prefissi “anti”, «ma l’antagonismo si caratterizzava per l’opposizione politica radicale di chi voleva rovesciare il sistema. Nella stagione di piombo gli antagonisti erano gli autonomi. Oggi il rifiuto assume più la tonalità di Not In My Back Yard, ossia “Non nel mio cortile”. Detto in termini più bruschi, il motto della nostra stagione è non rompetemi le scatole».Ma come si scelgono i neologismi dell’anno? Tullio De Mauro se lo domandava alla sua maniera spiritosa, citando il popolano di Pascarella che Nella scoperta dell’America a un certo punto interrompe il narratore e gli chiede:” Ma ste fregnacce tu come le sai?”. De Mauro ce l’aveva con i dizionaristi dall’aura papale, muniti del dono celeste dell’infallibilità. Ma questo non è certo il caso del professor Cannella, che restituisce un mestiere sempre più in affanno, oggi alle prese con mutamenti vorticosi non solo sul piano linguistico, ma anche dal punto vista delle fonti. «E dire che quando cominciammo con la versione annualizzata dello Zingarelli, alla metà degli anni Novanta, ci accusarono di fare la Guida Michelin, con tanto di stellette. In realtà fummo lungimiranti, perché capimmo che la velocità dei cambiamenti avrebbe reso inutili le consuete edizioni decennali». Se un tempo la riunione di via Irnerio consisteva nello spoglio di schede di carta pinzate con i ritagli di giornale, oggi i lessicografi annaspano in un maremoto di sollecitazioni, con la moltiplicazione dei canali digitali e dei social. Come si fa a restituire una contemporaneità sempre più incalzante? «Ci deve essere una vocazione naturale, che consiste in una grande curiosità e nella capacità immediata di percepire la novità: sia nella semplice conversazione al bar, sia nelle chiacchiere radiofoniche o nella lettura dei quotidiani, che restano la fonte principale». La regola, in sostanza, è che se un neologismo viene registrato ripetutamente dal giornalista è destinato a durare nel tempo. «Se non affiora nella carta stampata, confinato in un tweet o in un blog, rischia di essere un semplice occasionalismo o un termine effimero destinato a eclissarsi». È anche in omaggio al lavoro dei giornalisti che quest’anno lo Zingarelli ammetterà trifolau,dialettismo piemontese per cercatore di tartufi. «Le invenzioni sono frequenti nei titoli degli articoli più che nella produzione narrativa corrente, dove la lingua tende ad appiattirsi sul codice colloquiale. E un ulteriore stimolo arriva dagli inserti tematici sempre più numerosi nei quotidiani».Gli ambiti di provenienza dei neologismi sono i più diversi – da internet all’economia, dalla biologia alla cucina – con la rottura ormai antica, siglata nel Novecento ma cominciata secoli prima, di una tradizione letteraria che ha reso la lingua italiana tra le più belle del mondo. Nella lista delle novità ora ci si imbatte in climalterante, pseudonomizzare, aspirazionale, figaggine, spoilerare. Professor Cannella, ma non c’è il rischio di deturpare il vocabolario con termini francamente brutti? «In tutti questi anni ho verificato la tendenza a considerare brutte le parole nuove, come se venissero a disturbare una consolidata tradizione di famiglia. Cos’è questo intruso? In realtà sono tutte parole morfologicamente ben formate. Quando comparve vigilessa, venne accolta come una bestialità. Oggi è considerata una parola normalissima».Al di là della grazia fonetica, l’allarme oggi investe la perdita di senso. Come si restituisce sacralità alla parola in un paese che parla e straparla storpiando i significati, a cominciare dal ceto politico che dovrebbe guidare la comunità? «Purtroppo abbiamo assistito a uno smarrimento totale di gerarchie e competenze, per cui il parere del vicino di casa vale quanto quello dello scienziato. Bisogna ripartire dalla scuola, l’unica che possa ripristinare precisione e competenze linguistiche. E bisogna ripartire dalla consapevolezza della straordinaria ricchezza culturale dell’italiano, dove ancora ci si imbatte in Galilei, Petrarca, Dante». Un tempo a scuola il vocabolario era un testo sacro, un compagno di cui non si poteva fare a meno. E oggi? «Dipende molto dall’insegnante. Viaggiando in Italia per il centenario dello Zingarelli, abbiamo rilevato grandi disparità. Se il dizionario viene usato come libro di rapida consultazione, non regge la concorrenza dello smartphone. Se invece diventa una mappa da esplorare in orizzontale e verticale, si traduce in un’avventura irresistibile. Mi auguro che a tutti i ragazzi sia data questa possibilità». E se fanno” buu”, non resta che andare alla voce del verbo buare. Un buon modo per cominciare il viaggio. In linea con lo spirito del tempo.