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 2018  settembre 16 Domenica calendario

Anche le piante soffrono

A soli due secondi dal morso di un bruco, un’onda elettrochimica parte dalla foglia danneggiata raggiungendo rapidissima le altre foglie, avvisandole del pericolo. Proprio come se la pianta soffrisse: l’impressionante analogo vegetale del dolore è stato filmato per la prima volta in uno studio pubblicato su Science. E fa luce sulla rapida diffusione dei messaggi che allertano le foglie perché si preparino a contrastare l’aggressore con opportuni meccanismi difensivi. Come la produzione di un ormone, l’acido jasmonico, utile per evitare infezioni, o l’accumulo di sostanze che rendono le foglie tossiche e indigeribili. Il team di scienziati guidato da Simon Gilroy, docente di botanica alla University of Wisconsin, ha appoggiato un bruco sulle foglie di una Arabidopsis thaliana modificata per esprimere una proteina fluorescente in presenza di ioni calcio, i messaggeri elettrochimici che circolano nelle piante. Subito dopo il primo danno causato dalle fauci del bruco, si è vista un’onda luminosa diffondersi dalla foglia ferita verso tutte le altre alla velocità di un millimetro al secondo: «È l’equivalente della propagazione del dolore negli animali, sia pure attraverso un meccanismo cellulare diverso», spiega Gilroy. «È come quando ti pungi un dito e l’informazione sul danno viene inviata dai recettori sul dito, attraverso i nervi, fino al cervello, così che tu possa ritrarre la mano. La novità è che le piante usino per questo scopo il glutammato, neurotrasmettitore che negli animali viene percepito da proteine molto simili ai recettori che si trovano nelle piante». Che le piante avessero moltissimi recettori per il glutammato era noto. «Fino ad oggi, però, non si capiva a cosa servissero», spiega Stefano Mancuso, direttore del Laboratorio internazionale di neurobiologia vegetale dell’Università di Firenze. «Ora invece sappiamo che la funzione di neurotrasmettitore è la stessa: i recettori sono come serrature sulla superficie delle cellule vegetali, e l’arrivo del glutammato emesso dalla foglia danneggiata apre tutti questi chiavistelli, liberando un’onda di ioni calcio che raggiunge le altre foglie. Un esempio di come l’evoluzione riutilizzi anche in specie diversissime le soluzioni che funzionano». Certo, c’è qualche differenza con il dolore animale. Se i due meccanismi fossero identici, le piante vivrebbero una continua tortura: «Si sono evolute anche per essere predate dagli animali, così da utilizzarli come preziosi trasportatori di semi. Per questo il loro corpo è costruito in maniera diversa: se ne può rimuovere gran parte senza ucciderle o traumatizzarle. La predazione è per loro un evento assai meno disastroso», spiega Mancuso. «Inoltre il dolore si è evoluto negli animali per spingerli ad allontanarsi dalla minaccia, possibilità preclusa alle piante. E poi le piante, per l’invio di questo segnale, utilizzano il sistema vascolare: è come se noi, per trasmettere informazioni da una parte all’altra del corpo, usassimo il sangue invece dei nervi».
Quando una foglia è raggiunta dall’allerta, oltre a rendersi indigesta, può liberare nell’aria molecole che avvisano del pericolo. «Le piante che captano queste molecole aeree – lo abbiamo visto in mais e fagioli– pur essendo ancora intatte si comportano come se fossero attaccate direttamente», spiegaMancuso. «E si preparano alle ostilità: il fagiolo di Lima emette una molecola capace di attirare sulle sue foglie vespe che uccidono i bruchi. E certe piante di pomodoro emettono una sostanza neuroattiva che spinge i bruchi al cannibalismo».