Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2018  settembre 15 Sabato calendario

Il segreto della felicità è semplici: basta ascoltare i super-anziani

Da quando la fine dell’ideologia e il progressivo ridursi dell’adesione ad un credo religioso ci hanno consegnati a questa lucida e noiosissima immanenza, il massimo dei nostri problemi, la principale delle preoccupazioni, il più sentito dei temi è la vecchiaia.
Abbiamo soltanto la nostra vita, e il fatto che, ad un certo punto, debba finire ci pare intollerabile. Ci pare intollerabile, in particolare, tutta quella fase finale in cui, novantenni o centenari, non potremo più raccontarci di essere, se non giovani, almeno giovanili. Non abbiamo altri modelli che quello di individui in perfetta salute, in forma, possibilmente bellocci, sessualmente appagati e rigorosamente dediti al perseguimento del piacere. Ovvio che, in questo scenario godereccio, proliferino i manuali su come evitare le secche dell’anzianità, così poco fotogeniche, così scandalose in quanto difformi dal modello dominante. Fra i molti testi che ho letto, un po’ per smania personale un po’ perché sono diventata una specie di studiosa del fenomeno, uno dei più sorprendenti è Scegliere di essere felici di John Leland, cinquantanovenne, giornalista del New York Times. Si tratta del resoconto di un anno trascorso dall’autore conversando, in varie puntate, con sei persone molto in là con gli anni. E precisamente: Fred Jones, 87 anni, impiegato statale in pensione, Helen Moses, 90 anni, da sei mesi fidanzata con un altro anziano allocato nella stessa casa di riposo, John Sorensen, novantenne gay incapace di accettare la morte del suo compagno libraio, Ping Wong , 89 anni, fanatica del Majong ed ex lavoratrice immigrata, Ruth Willig, 91 anni, capace di organizzare un argomentato programma di lamentele da non riconciliata senza per questo perdere il buon umore e Jonas Mekas, 92 anni, regista e scrittore, ancora molto attivo e creativo. Ciascuno dei personaggi incontrati, più che ricevere l’onore di un interesse costante quanto inusuale (ai vecchi, si sa, nessuno presta attenzione), regala all’autore una complessa ed imprevedibile «lezione di felicità».
Ciascuno , pur limitato dai problemi del corpo invecchiato, offre a Leland vie d’uscita mentali o morali che, se applicate quando si è ancora nel pieno della mezz’età, suonano come campane a festa. 
I vecchi sono «felici malgrado», mentre i giovani sono «felici se». E questa è una piccola rivoluzione esistenziale: se impari a mantenere il tuo sguardo positivo quando vedi, nello specchio del mattino, soltanto un reticolo di rughe , puoi buttare la crema che ti illudeva, fino alla scorsa stagione, di poter diventare più bella e perciò più felice.
Ovviamente i novantenni intervistati da Leland non sono indenni da cedimenti anche pesanti.
«John era come un cantante che ha appena finito il suo brano e non ha più strofe da intonare:perché restare sul palco, a sudare sotto i riflettori, senza più nulla da dare o ricevere?».
Già: perché?
Nel corso delle conversazioni si parla spesso del suicidio di fine corsa, quel desiderio di abbreviare una vita diventata faticosa, dolorosa, dipendente.
Ma poi, con un colpo di reni, risalgono tutti alla superficie e, in qualche modo, riescono a sorridere. Leland apprezza la loro capacità di «plasmare i ricordi affinché raccontino la storia di una vita bella».
Scrive: «devono imparare a convivere con il loro declino o ne saranno sopraffatti». Scrive: «invece di fissarsi sull’indipendenza, sta cercando di imparare la inter-dipendenza, cioè accettare l’aiuto con gratitudine» e dare in cambio quello che si può dare.
Scrive: «la sfida, dunque, è trovare uno scopo nella vita che vi sostenga negli ultimi anni. La Kickboxing potrebbe non essere una scelta praticabile, ma dipingere, essere politicamene attivi, dedicare tempo alla famiglia o tramandare i propri talenti alle generazioni future sono tutti buoni motivi per vivere, a qualsiasi età».
Potrei dire, senza rischiare di essere considerata ipercritica, che i sei anziani interrogati, non ci dicono niente di nuovo: eppure le sei «lezioni» impartite a Leland e a tutti noi hanno, come titolo dei singoli capitoli, frasi importanti. Fred: «Io ringrazio Dio per ogni altra giornata». Ping: «Sono più vecchia, devo trovare il modo di star bene». John: «Non c’è nulla che mi rattristi, ma non ne posso più». Helen: «Io ho avuto più volte la tua età, tu non hai mai avuto la mia». Ruth: «Forse una o due cose buone le ho fatte». Jonas: «Devi fidarti dei tuoi angeli».
Ecco, forse proprio Jonas, l’unico intellettuale, ci fornisce la dritta vincente: incominciare a credere a qualche presenza misteriosa, che, come una madre terminale, ci insegni a muovere gli ultimi passi.