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 2018  settembre 15 Sabato calendario

Campione d’Italia si scopre povero senza più il casinò

«Mettiamola così: o riapre il casinò o entro tre mesi diventiamo un paese fantasma. Io lavoravo lì, mio marito anche e ho due figlie. Diciamo che ho soldi fino a dicembre, mese più mese meno». E poi? «E poi chissà. Sappiamo di tre famiglie che vivono senza corrente elettrica perché non possono più pagare le bollette».
Parola di Rosi Bianchi, croupier e sindacalista Cgil, maglietta bianca con la scritta «#salviamocampione» e la voglia, nonostante tutto, di provare davvero a farlo. E dire che a Campione non si addice la tragedia. L’enclave italiana in Svizzera, circondata per tre lati dal Canton Ticino e per il quarto dal lago di Lugano, è sempre stato un posto dove si viveva bene. Anche adesso su un lungolago dignitosamente svizzero le fioriere sono curate, ma soltanto perché ci pensano i volontari della Protezione civile, mentre su modeste architetture déco o Anni Cinquanta svetta il megalomane casinò dell’archistar Mario Botta, inaugurato nel 2007 dopo dieci anni di lavori e di polemiche. Per alcuni è un capolavoro, per altri un ecomostro, di certo è la più grande sala da giochi d’Europa. E qui sta il problema. Perché Campione non è un paese con un casinò, ma un casinò con un Paese. Come dice il sindaco, Roberto Salmoiraghi: «Non è un’azienda, ma l’azienda. L’unica che abbiamo». 
Ora, il 27 luglio scorso, in orario d’apertura, con i croupier e i giocatori davanti alle roulette, è arrivata la Guardia di finanza che ha chiuso tutto. Il casinò è fallito, travolto da 132 milioni (di franchi svizzeri) di debiti dei quali 42 con il Comune. Le cause del crac sono molte. Alcune generali, come la crisi dei casinò, azzoppati dalla liberalizzazione delle slot e dal gioco on line. Altre particolari, il gigantismo della struttura (20 milioni l’anno solo di spese fisse), la rivalutazione del franco e anche, accusano i sindacati, la cattiva gestione. Sta di fatto che dopo il casinò è inevitabilmente fallito anche il Comune, anzi, come si dice pudicamente, è finito in dissesto finanziario. 
Mentre i finanzieri sequestrano bilanci, alla gente del paese è stata sequestrata la vita. Il casinò aveva 487 dipendenti, il Comune 102, che su una popolazione di 2 mila abitanti sono tanti, anzi troppi. I lavoratori del casinò erano in solidarietà già dal 2012, con stipendi ridotti del 25%. Adesso, spiegano al presidio permanente organizzato davanti al colosso collassato, sono guai seri, anche perché siamo in Italia, ma il costo della vita è svizzero. «Io ho preso l’ultimo stipendio a luglio - racconta Bianchi - e mi sto mangiando i risparmi della vita». Il dramma è anche paradossale: «Siamo tutti sospesi, quindi per la legge italiana non abbiamo il sussidio di disoccupazione. Però chi di noi è residente in Svizzera e iscritto all’Aire ha diritto a quello svizzero. Quanto ai pensionati, la pensione italiana è troppo bassa per vivere qui. Il Comune la integrava, adesso ha smesso di farlo, quindi c’è chi campa con 500 euro al mese».
In effetti, sulle case è tutto un fiorire di «Affittasi» e «Vendesi». Dei dipendenti municipali, 86 sono in mobilità. Il Consiglio di Stato del Ticino, insomma il governo cantonale, chiede al Comune di pagare i debiti, più di un milione per vari servizi, la raccolta rifiuti, la navigazione sul lago, perfino i pompieri. L’asilo comunale è chiuso, a casa 48 bambini e nove dipendenti. Fra loro, Sabrina Bortoluzzi, maestra, che mostra il campo giochi pieno di erbacce e di nostalgia: «Abbiamo fatto due anni e mezzo di solidarietà, lo stipendio ci è stato defalcato due volte, da sei mesi sono senza, dal 1° settembre a casa. Posso andare avanti ancora un mese, poi non so cosa farò».
Appunto: che fare? Per il sindaco, «il Casinò deve riaprire, non so come, non so quando, ma deve». Altre ipotesi, fantasiosi progetti per farne una casa di cura, un albergo di lusso o uno shopping center. «Figuriamoci - sbotta Leonardo Pace, croupier e sindacalista - Lei pensa davvero che io a 55 anni, dopo venti dietro a una roulette, possa mettermi a fare l’infermiere? La realtà è che il 70% del personale non è riciclabile. Se gestito bene, il casinò può funzionare. Incassava ancora una media di 200 mila franchi al giorno. Un conto facile facile: in 49 giorni di chiusura, ci abbiamo rimesso quasi dieci milioni». E intanto quello di Lugano, in agosto, ha aumentato gli incassi del 36%.
A Campione si sentono abbandonati. Il sindaco ha detto in Consiglio che non sente più i politici locali, a differenza di quel che succedeva quando c’era qualche amico da assumere. Chissà perché, chi lavora in un casinò è da tutelare meno di chi lavora in fabbrica. Bianchi attacca: «Lo scriva, per favore. Vedo Di Maio continuamente in giro per fabbriche a rischio chiusura. Beh, qui ci sono quasi 500 persone in mezzo alla strada, in presidio da cinquanta giorni. Non è che le mie figlie abbiano meno diritti di altre perché la loro madre lavora in una casa da gioco. Ministro, venga qui, datevi da fare». Oppure i giochi sono fatti. E davvero per Campione rien ne va plus.