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 2018  settembre 15 Sabato calendario

A casa di Christian Louboutin

A volte mi sembra di essere un dottore. Non uno qualunque: un dottore perverso». Parigi, ultimo piano di un palazzo con grandi finestre a pochi passi da Place Vendôme. Appartamento di Christian Louboutin, l’inventore delle stiletto dalle suole rosse. «Mi sento un medico perché le donne, si sa, soffrono di dipendenza da scarpe», racconta. «Io non le curo, anzi, le assecondo. E le aiuto a essere più felici». Pochi capelli, mille idee per la testa, con le mani descrive ogni parola come se la stesse disegnando su un foglio. «La mia carriera è iniziata da due cose. Un disegno di calzature femminili trovato in un museo, da bambino. E la passione per le ballerine delle Folies Bergère, artiste per cui ho disegnato molte scarpe di scena». Arte e ballerine: da ragazzo passa il tempo disegnando e guardando i musical. Più tardi arrivano i lavori istituzionali: grandi maison, stilisti importanti, una retrospettiva per il maestro Roger Vivier. «Poi ho capito che non era divertente lavorare per altri. E con i miei due migliori amici ho avviato il mio brand». La prima boutique la trova per caso, era in una galleria di Parigi per cercare una lampada. E sposta la produzione dei campionari dalla Francia all’Italia, «perché le mie creazioni hanno bisogno di artigiani di cuore, con una testa femminile, calorosa, creativa, come quella degli italiani». Il business funziona. Arrivano clienti e star. Caroline di Monaco si ferma per caso nella boutique e s’innamora a prima vista. Elizabeth Taylor chiede modelli su misura. Angelina Jolie si fa fare le scarpe per i film. E Tina Turner, per i suoi concerti, le vuole alte, anzi no, altissime. «Quando l’ho vista sul palcoscenico ho pensato: adesso si romperà le caviglie. E anche il collo». Invece non succede nulla, anzi: si aprono altri negozi e arriva la suola rossa, «è stata una combinazione: una modella, mentre guardavo disegni e prototipi, si stava laccando le unghie di rosso. Qualcosa non mi tornava in un modello con suola nera, allora le ho preso lo smalto, ho dipinto il fondo della calzatura di rubino et voilà, improvvisamente tutto era perfetto». Lo stesso succede per la collezione Nudes, la prima a fornire il color ‘carne’ in tutte le varianti, dal beige al marrone scuro. «È stata ancora una modella a farmi capire che quando parliamo di color carne non possiamo riferirci solo al beige ma a una gamma di toni. E non si tratta di essere inclusivi ma realisti. Certi scivoloni non si possono più commettere». Oggi il suo marchio cresce, apre showroom e boutique, comprende collezioni da uomo, borse e altri accessori. Con un solo imperativo: restare sempre indipendente. In altre parole: non vendere mai a nessun gigante della moda. «Sono la prova che tutti possono essere liberi. Come si fa? Facile: mi è sempre interessato disegnare scarpe belle per belle donne, non far parte del fashion system. Se tu fai di tutto per far parte del sistema, allora è più facile vendere ad altri. Ma se lo fai per passione, allora è difficile, forse impossibile. Passione e dedizione, devo ammetterlo, arrivano da mio padre, che era un ebanista e costruiva modelli di treni di legno per le ferrovie. Caos e follia da mia madre. Sono la strana miscela delle loro personalità. Ero ancora un ragazzo quando li ho persi. È strano a dirsi, ma la loro mancanza mi ha costretto a fare il salto. Li penso sempre e in certo senso sono sempre con me. So che sarebbero fieri di sapere come sono andate le cose».