Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2018  settembre 15 Sabato calendario

Il Maggiolino va in pensione

«Se negli anni 80 hai venduto l’anima, ora puoi ricomprarla». Sono passati 20 anni dal lancio del nuovo Maggiolino Volkswagen, e adesso sappiamo che quel geniale slogan conteneva molto di più: ovvero, la descrizione di quello che sarebbe successo in Occidente. I ragazzi che nell’attesa di fare la rivoluzione avevano girato il mondo sul vecchio Maggiolino erano diventati classe dirigente pronta per una versione maggiormente elegante e costosa della macchina più pop della storia. Un po’ come i vecchi mobili contadini che (avrebbe scritto David Brooks nelle sue pagine memorabili sui Bobos, i borghesi bohémien) da un giorno all’altro diventavano improvvisamente il marchio distintivo delle case di campagna chic.
La cosa paradossale, e non meno simbolica, è che per alcuni anni (fino al 2003), la Volkswagen ha continuato a produrre le due versioni: ma quella storica, nata nel 1938 per volere di Hitler, continuò a essere prodotta e venduta solo in America Latina, chiudendo la sua gloriosa parabola a 21.529.464 esemplari. La gran parte di essi circolavano per il Messico (praticamente tutti i taxi della capitale erano «Vochos») o in Brasile, dove il mitico «Fusca» era così famoso da essere citato in «País tropical», una delle più celebri canzoni di Jorge Ben: «Vivo in un Paese tropicale, benedetto da Dio/E con una natura meravigliosa/A febbraio/c’è il Carnevale/Io ho un Maggiolino e una chitarra». 
La geografia non è casuale, visto che era proprio in quei due Paesi (a Guadalajara e a São Bernardo do Campo) che il Maggiolino veniva costruito. E gli europei nostalgici (o snob, o tutt’e due le cose) che nel frattempo non volevano passare alla Golf, potevano ordinare un «Käfer» (il termine tedesco) e farselo recapitare. Roba da Primo mondo ricco, come il New Beetle nato nel 1998 e di cui la Volkswagen ha ufficialmente annunciato lo stop alla produzione, dopo il restyling del 2011. 
Ovviamente, non è solo per lo spaventoso aumento di concorrenza che il Maggiolino chic (c’era addirittura sul cruscotto un vasetto per infilarci una rosa…) ha venduto infinitamente meno. Il prezzo parlava chiaro: ben altro era il target, rispetto alla macchina per famiglie che è stata, per oltre i 65 anni di vita del Maggiolino prima versione, parte così integrante della vita delle persone da umanizzarsi (col nome di Herbie) nella serie di film sul «Maggiolino tutto matto». O comparire in un numero di film quasi equivalente a quello degli esemplari venduti. A fare da ponte tra quell’epoca e l’oggi, c’è Tiziano Sclavi che a metà degli anni 80 disegna il suo Dylan Dog al volante della versione decapottabile (che chissà perché ha preso il nome di Maggiolone). Il riflusso si è compiuto, il postmoderno impera. E tra i ragazzi più fortunati (ma anche e soprattutto fra i loro genitori) si è fatta strada l’idea che essere fighetti sia un buon modo di vivere quella libertà conquistata e goduta sui sedili di una macchina. Nata da un’idea del peggiore dittatore della Storia.