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 2018  settembre 15 Sabato calendario

Manafort, l’ex stratega di Trump, si dichiara colpevole. E ora collaborerà sul Russiagate

WASHINGTON«Mi dichiaro colpevole». Nella Corte distrettuale di Washington, Paul Manafort, lobbista ed ex consigliere di Donald Trump, si rivolge formalmente al giudice Amy Berman. In realtà la sua è una resa, senza condizioni, al super procuratore Robert Mueller, titolare dell’inchiesta sul Russiagate. È un passaggio clamoroso, gonfio di insidie per il presidente degli Stati Uniti e per il suo clan. 
Alle 11 di ieri la Corte ha riconosciuto l’accordo sottoscritto da Manafort e dal pubblico ministero, cancellando il processo che sarebbe dovuto cominciare lunedì 24 settembre. Restano in piedi due dei sette capi d’accusa: «cospirazione contro gli Stati Uniti», per aver evaso circa 15 milioni di tasse e «ostruzione della giustizia», per aver provato a influenzare diversi testimoni. In cambio Manafort si impegna a «cooperare pienamente e in modo sincero con il Governo in tutte le circostanze ritenute necessarie». Nel concreto Manafort accetta di rispondere a qualsiasi domanda di Mueller e di fornire ogni elemento in suo possesso. La Casa Bianca, però, mantiene le distanze. La portavoce Sarah Huckabee Sanders ha subito twittato: «Tutto ciò non ha assolutamente nulla a che fare con il presidente e la sua vittoriosa campagna elettorale del 2016». Rudy Giuliani, l’avvocato personale di Trump, ha aggiunto: «Ancora una volta un’indagine si conclude con un’ammissione di colpevolezza estranea al presidente Trump. Motivo: il presidente non ha fatto nulla di sbagliato».
Per il momento è Mueller a segnare un punto. La sua strategia ha logorato, fino a spezzarla, la resistenza di Manafort. Il super procuratore lo ha mandato due volte a giudizio. Lo scorso agosto ad Alexandria, in Virginia, dove la giuria lo riconosciuto colpevole per sette imputazioni e ora a Washington. Sono quasi tutti reati di natura finanziaria, dall’evasione fiscale al riciclaggio, maturati negli anni in cui Manafort faceva da consulente a Viktor Yanukovich, l’ex presidente filorusso dell’Ucraina, cacciato dalla rivolta popolare nel febbraio 2014. Per ora non si vede alcuna relazione con il tema centrale del Russiagate: verificare se nel 2016 ci fu collusione tra il comitato elettorale di Trump e il Cremlino per danneggiare Hillary Clinton. 
Manafort è stato consigliere di quattro presidenti repubblicani, da Gerald Ford a George W. Bush e ha conosciuto «The Donald» negli anni Ottanta. Non è dunque un avventizio della politica e neanche uno dei molti figuranti nella Trump Tower. Il costruttore newyorkese gli ha affidato la guida della campagna nel giugno del 2016 e poi lo ha liquidato il 19 agosto 2016, con le prime indiscrezioni sul dossier ucraino. 
Tuttavia Manafort ha fatto in tempo a partecipare, il 9 giugno 2016, all’incontro con l’avvocata russa Natalia Veselnitskaya che aveva promesso informazioni compromettenti su Hillary Clinton. La riunione fu organizzata da Donald Trump jr, il primogenito del presidente. Vi partecipò anche Jared Kushner, marito di Ivanka Trump. Tutto lascia pensare che a Mueller interessi la collaborazione di Manafort su questo e altri contatti tra i russi e la cerchia di Trump. 
Il lobbista, invece, ha fatto un calcolo più semplice. Ha 69 anni e la Corte di Alexandria sta per comminargli tra i 6 e i 12 anni di carcere. Il tribunale di Washington probabilmente lo avrebbe condannato a una pena ancora più pesante. Adesso, però, i suoi legali potranno chiedere uno sconto sostanzioso. Certo, dovrà rinunciare a quattro ville e a quattro conti bancari per rimborsare i 15 milioni di imposte non pagate. Ma aveva già imboscato 78 milioni di dollari nelle società offshore a Cipro e nelle Isole Granadine.