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 2018  agosto 31 Venerdì calendario

La relazione sull’opera e quell’inquietudine dell’ingegner Morandi

Nove pagine battute a macchina, con qualche correzione a penna. È la relazione con cui Riccardo Morandi, il 25 agosto del 1967, presentava la sua «grande opera d’arte di concezione unitaria», il viadotto sul Polcevera che collegava l’autostrada Genova-Savona a quella che univa il capoluogo alla Valle del Po. È una presentazione tecnica quella dell’ingegnere, che non concede nulla all’enfasi che potrebbe accompagnare l’inaugurazione di un’infrastruttura di tale importanza.
Il mensile di architettura Domus ha scovato il documento nei suoi archivi (lo pubblicò nel numero 459, del febbraio 1968, e da oggi sarà consultabile sul sito domusweb.it insieme alle foto dell’epoca, mentre un ulteriore approfondimento uscirà con il numero di ottobre) e ne ha concesso la visione al Corriere. La lettura delle pagine di Morandi fa immaginare il forte senso di responsabilità che il progettista provava nel presentare il suo lavoro. Sottolinea che l’opera «si inserisce entro una zona intensamente fabbricata con edifici civili e industriali». «Tutte queste esigenze – si legge – hanno condizionato l’impostazione del progetto». La puntigliosa descrizione delle procedure di costruzione sembrano voler tranquillizzare lo stesso Morandi, che si spinge a sottolineare la possibilità di usare «la tecnologia del calcestruzzo di cemento armato e precompresso» per opere «sempre più importanti».
Ma le criticità segnalate dal viadotto negli anni appena seguenti e le polemiche che già ne erano scaturite spinsero l’ingegnere, nove anni dopo l’inaugurazione, a chiedere una consulenza ad un giovane professore di Tecnica delle costruzioni della Sapienza, di Roma. Remo Calzona, a sua volta costruttore di ponti (suo il progetto di quello dello Stretto) ricorda: «Morandi era molto preoccupato per le critiche, si mostrava turbato. Andammo a Genova, la visita al viadotto durò una mattinata. Fu constatato che l’opera pendeva ed aveva una risposta eccessiva ai carichi pesanti». Per questo in quei giorni erano al lavoro tecnici che stavano realizzando rinforzi. «Vidi cose che se ne avessi avuto il potere – afferma oggi il professore, 79 anni – mi avrebbero indotto a far chiudere il ponte». Segue qualche particolare: «Il tirante in cemento armato di Morandi era molto pesante. Per raddrizzarne la curvatura si produceva uno sforzo che andava a deformare l’impalcato inferiore». Calzona racconta che Morandi ascoltò con attenzione i suoi rilievi. «Si riservò di parlarne con i gestori del viadotto. Ma era tenuto fuori da ogni intervento. Soffriva di questa emarginazione, mi pare che se ne sentisse umiliato».