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 2018  agosto 24 Venerdì calendario

Milioni di clic su Spotify ma cantanti fantasma. La piattaforma risparmia con gli artisti falsi?

Gabriel Parker, Ana Olgica e Karin Borg sono alcuni degli artisti più ascoltati su Spotify ma è impossibile trovarli altrove. Le loro tracce raccolgono oltre 40 milioni di ascolti sulla piattaforma di streaming, eppure non hanno mai pubblicato un album, non hanno un profilo sui social, non usano Facebook né Twitter, non postano foto su Instagram né interagiscono con gli utenti. Sembrano non esistere, un fatto curioso per un mercato musicale che sfrutta fino all’ultimo fenomeno per fare cassetta e non si lascia certo sfuggire chi viene ascoltato da milioni di persone nel mondo.
Una spiegazione ha provato a darla il magazine statunitense Music Business Worldwide. Questi, sostengono, sarebbero degli artisti «fantasma», ovvero pseudonimi di artisti reali che nascondo il proprio nome per permettere a Spotify di guadagnare di più.
L’azienda svedese, come noto, paga gli artisti in base agli ascolti, ovvero ridistribuisce a tutti coloro che sono sulla piattaforma una percentuale degli introiti in base alle riproduzioni totalizzate dai loro pezzi. Spotify, è la tesi, stringerebbe con i «falsi» artisti accordi più favorevoli rispetto a quelli pretesi dalle major, cioè con royalties più basse e percentuali inferiori, per poi tenersi l’eccedenza. Si parla, nota il New York Times, di tre milioni di dollari ogni 500 milioni di riproduzioni. Sembra poca cosa per un’azienda che va verso i quattro miliardi di fatturato ma Spotify ha fatto del taglio dei costi la propria bandiera e questo è un buon inizio.
Come ulteriore prova, il magazine statunitense fa notare che le tracce degli «artisti falsi» si trovano solo all’interno di playlist dai nomi esotici come Peaceful Piano, Deep Focus, Sleep o Music For Concentration, quelle raccolte di tracce di atmosfera ambient pensate per dormire, rilassarsi o concentrarsi che spesso contano centinaia di migliaia o perfino decine di milioni di ascolti. Playlist che però conterebbero solo un paio di tracce provenienti dalle major e il resto nato dagli «artisti fasulli», ma soprattutto che sarebbero di proprietà di Spotify. Un’accusa grave, visti i rapporti già tesi tra la piattaforma, le major e gli artisti reali e che pesa ancor di più se si pensa che nel 2019 gli svedesi dovranno ridiscutere i nuovi contratti di licenza con alcune major.
Dalla piattaforma di streaming comunque arrivano solo smentite: «Non abbiamo mai creato artisti “falsi” da mettere nelle playlist – dicono da Stoccolma —. Noi paghiamo le royalty sia per le tracce presenti su Spotify che per tutte quelle che sono nelle playlist. Non possediamo diritti, non siamo un’etichetta, paghiamo chi di dovere e non noi stessi».
Preso atto del fenomeno, c’è chi sperimenta soluzioni alternative. Visto che le sue tracce latitano dalle playlist milionarie di Spotify, Universal ha pensato a una nuova formula, una via di mezzo tra la normale produzione musicale e i musicisti tarocchi. Insieme ad Apple Music ha ideato delle playlist con tracce «co-create» dalle due aziende, cioè realizzate ad hoc secondo le direttive della piattaforma e con brani di musicisti di Universal, più altri realizzati da un curatore. La prima di queste è già uscita: s’intitola Peaceful Music ed è curata dal compositore Max Richter. Tra le sue 51 tracce ci sono Brian Eno, Sigur Rós, Philip Glass e numerosi pezzi di Richter, un musicista in carne e ossa.
Adesso resta da vedere se gli artisti veri riusciranno a fare meglio dei «falsi». La sfida però è complessa: non è certo facile combattere contro dei presunti fantasmi.