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 2018  agosto 09 Giovedì calendario

Alla modernità del Barbiere non servono gli eccessi

Quante centinaia di volte Il barbiere di Siviglia avrà incantato il mondo dopo quella drammatica prima del 20 febbraio 1816 al teatro Argentina di Roma papalina e plebea, in cui l’opera, col titolo Almaviva, o sia l’inutile precauzione fu “solennemente fischiata” come lo stesso compositore ventiquattrenne scrisse ai genitori? Nei due passati secoli, c’è chi la sa a memoria anche a Tokyo, da dove viene Aya Wakizono, l’incantevole Rosina del nuovo Barbiere, anche in Sudafrica, dove è nato il tenore Levy Sekgapane, anche in Russia come il mezzosoprano Victoria Yarovaya, anche in Venezuela come il direttore d’orchestra Diego Matheus, tutti protagonisti di questa XXXIX edizione del Rossini Opera Festival, particolarmente importante: si festeggiano i 150 anni dalla morte del compositore (al Museo della Scala di Milano c’è ancora la mostra a lui dedicata curata da Pizzi), e i 200 anni di Ricciardo e Zoraide, la prima al San Carlo di Napoli, e della composizione di Adina, che però andò in scena solo otto anni dopo al San Carlo di Lisbona. Tutti nuovi allestimenti, come è nuovo il sovraintendente e direttore artistico Ernesto Palacio, anche tenore, e agente di grandi cantanti, avendo il grande Gianfranco Mariotti, che ha reso il Festival sin dall’inizio il più celebre laboratorio rossiniano, preferito diventare presidente onorario. Stesso sindaco di centrosinistra in una città dove alle ultime politiche hanno vinto a grandi numeri centrodestra e M5s, in una regione tradizionalmente rossa, le Marche, dove M5s e Lega hanno sbaragliato tutti, calpestando Pd e Forza Italia. «Spero che il cambiamento politico non influisca troppo sul nostro ROF, non solo culturalmente: già sono lievemente diminuiti i finanziamenti, ma noi restiamo il maggior richiamo turistico di Pesaro», dice Palacio, che comunque per evitare subitanee sorprese, ha già preparato il programma sino al 2021. Alla antegenerale del Barbiere erano invitati 600 studenti dalle elementari all’università, massimamente plaudenti per una quantità di minuti da far dolere le mani, a: l’orchestra sinfonica della Rai, il direttore d’orchestra canadese Yves Abel, il coro diretto da Giovanni Farina, tutti i cantanti ad uno ad uno, anche i muti, e ad ogni aria e gesto, Pier Luigi Pizzi, regista di almeno una ventina di opere rossiniane e anche scenografo e costumista, ma per la prima volta del Barbiere, e il suo collaboratore e figlio adottivo Massimo Gasparon.
Spiega Pizzi con la sua solita aria serafica e insieme vigorosa: «Rinnovare l’opera non vuol dire inserirla in epoche ed eventi diversi da quelli immaginati dal compositore, magari con gli interpreti in jeans. Penso che la modernità imponga anche alla lirica una immagine accattivante.
Pure il pubblico più appassionato non si accontenta di belle voci e di una buona se non eccellente esecuzione musicale: vuole poter credere alla storia, anche alla più nota e banale, attraverso l’immagine degli interpreti. Come al cinema, come alla televisione, come ovunque». Si ricordano con disagio certe Brunilde da un quintale che Sigfrido, gridandole passione, non riusciva ad abbracciare, o certi Radames a forma di piramide che nessuna schiava etiope o figlia di faraone avrebbe dovuto contendersi. Ecco quindi che la nuova deliziosa Rosina (Aya Wakizono) è una ragazzina lieve come la immaginava Rossini (che insistette per avere la Geltrude Righetti Giorgi, 23 anni, e non una più famosa ultraquarantenne), dentro lunghe vesti semplici senza tempo (Impero? Antica Grecia? Oggi?) che ne rivelano un corpo adolescente: Pizzi la fa muovere con grazia nervosa e seducente, una fretta maliziosa dei gesti, le piccole mani a raccogliersi i capelli come tutte le ventenni, a scuoterli, ad accarezzarli, a trasformare le furbe trappole del personaggio rossiniano in un gioco di femminile intelligenza. «A ogni personaggio la sua età e il suo aspetto, il principe Almaviva è giovane e nobile, e quindi abbiamo scelto il tenore russo Maxim Mironov (molto alto, molto biondo, bello). Berta la governante non è una ragazza, e la interpreta il mezzosoprano Elena Zilio dalla fortunata carriera». Il Barbiere di Siviglia Pizziano risplende di una semplicità quasi casta, i colori preferiti dal regista, bianco e grigio chiaro le scene, la Spagna rappresentata solo dall’intensità della luce, certi personaggi come Bartolo e Basilio, i molto applauditi Pietro Spagnoli baritono, e Michele Pertusi basso, ambedue dal fisico imponente, sono anche geniali attori cui il regista ha chiesto una comicità molto controllata per non trasformare la grazia giocosa del librettista Sterbini in farsa, come spesso altri registi fanno per assicurarsi la risata. Ma Pizzi ha una sua classe, una sua sicurezza scenica, un orrore per la sovrabbondanza, scelte che stanno tornando molto preziose dopo troppi accumuli e affollamenti e sorprese e nonsense. «Lascio i cantanti molto liberi, dico loro muovetevi come vi sentite, come vi dice la musica, come vi suggeriscono le parole». E così il baritono Davide Luciano, impetuoso Figaro dai molti talenti, barbiere, cerusico, servitore, compare (del resto il barbiere di Rossini era anche il primo clarino dell’orchestra), segue la sua bella voce muovendosi come Elvis Presley.