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 2018  agosto 09 Giovedì calendario

#MattonellaDimettiti

Cultori sfegatati del nuovo genere letterario di giornaloni, quello delle fake news sulle fake news, leggiamo e collezioniamo tutto. Non ci perderemmo una puntata per nessuna ragione al mondo. Lo spettacolo dell’establishment che prende scoppole in tutto il mondo perché sta sulle palle ai cittadini e, anziché guardarsi allo specchio, cerca in Russia la spiegazione dei suoi continui fiaschi, è semplicemente impagabile. L’establishment ordina agli inglesi di votare no alla Brexit e quelli votano sì? Dev’essere un complotto dei russi a suon di fake news. L’establishment intima agli americani di votare Hillary Clinton contro Trump e quelli eleggono Trump? Sarà per le fake news diffuse da Putin. L’establishment raccomanda agli italiani di votare sì al referendum costituzionale e quelli votano no? Ci dev’essere sotto la congiura delle fake news moscovite. L’establishment diffida gli italiani dal premiare il populismo sovranista 5Stelle e la Lega e quelli corrono a votare 5Stelle e Lega? Le solite fake news della propaganda moscovita. L’establishment beatifica Mattarella che rifiuta il governo Conte con dentro Savona e subito Facebook e (molto meno) Twitter pullulano di messaggi contro Mattarella e pro Conte&Savona? La solita regìa dei troll russi, provenienti stavolta da San Pietroburgo.
Il bello è che i fabbricanti di complotti un tanto al chilo sono gli stessi che accusano i populisti sovranisti di complottismo. Dopodiché anche i loro complotti, alla prova dei fatti, si rivelano quello che sono: balle, bufale, patacche, fake news (al cubo). Memorabile il caso di “Beatrice Di Maio”, il nickname di Fb additato dalla Stampa come il Grande Vecchio grillin-casaleggiano delle fake news contro Renzi, Boschi, Lotti & C.: peccato fosse la moglie di Brunetta. Una storia da manuale del boomerang, che fa il paio con le accuse di razzismo lanciate dal Pd al governo Conte perché un gruppo di giovinastri aveva lanciato un uovo a un’atleta di colore, poi frettolosamente ritirate dopo la scoperta che un lanciatore era il figlio di un consigliere comunale Pd. Ora ci risiamo. I giornaloni non riescono proprio a digerire che il 27 maggio, quando Mattarella rispedì a casa Conte per via di Savona, molti italiani si siano incazzati da soli: se i social tracimavano di commenti critici o insultanti, non era perché chi aveva appena votato M5S e Lega si sentisse defraudato e invocasse le dimissioni del capo dello Stato; ma perché c’era dietro Putin con la sua fabbrica di troll a San Pietroburgo. Infatti, per un’intera settimana, ci hanno ammorbati con una cascata di articoloni e titoloni.
Tutti ispirati dal Colle (bastava leggere le firme: quelle dei quirinalisti), finché il pool Antiterrorismo della Procura di Roma (non è uno scherzo: è tutto vero), la Dia, la Polizia Postale, i servizi segreti e il Copasir non hanno aperto inchieste per vilipendio al capo dello Stato e attentato alla sua libertà. Roba da 20 anni di galera, come minimo. Poi i servizi hanno subito detto che non c’è una sola prova sui famosi troll russi. E chi aveva titolato “L’attacco al Colle via Twitter. Alcune ‘firme’ del Russiagate dietro i messaggi contro il capo dello Stato”, “Le manovre dei russi sul web e l’attacco coordinato a Mattarella”, “Interventi sulla politica italiana dai troll russi che spinsero Trump”, (Corriere), “La questione russa in Italia. Interferenze cyber”, “Interferenze russe sul voto del 4 marzo” (La Stampa), “Dalla propaganda di Putin 1500 tweet per Lega e 5Stelle”, “Una pioggia sui social in arrivo da San Pietroburgo”, “Il Pd nel mirino dei troll russi” (Repubblica), che ha fatto? Ha chiesto scusa per tutte le balle raccontate e lasciato perdere? Macché: fischiettando con grande nonchalance, ha infilato un paio di righette qua e là negli articoli – non più nei titoli – per dire che i russi non c’entrano nulla, o non c’è alcuna prova che c’entrino. Cioè: le critiche al presidente italiano erano tutte italiane. Dunque su chi si indaga, e per quale reato? Sui cittadini che, tutelati dall’articolo 21 della Costituzione, postano sui social il loro legittimo dissenso sulla massima carica, manco fossimo nella Russia di Putin?
Mentre il boomerang volteggia all’indietro su chi l’aveva lanciato – cioè il Quirinale sempre più simile al Cremlino – i quirinalisti ispirati dall’alto tentano di intercettarlo in tempo con le nude mani: “Si cerca – scrive ieri il Corriere – di far passare Mattarella come un uomo permaloso che, credendosi un semidio, vorrebbe rianimare almeno il reato di lesa maestà”. Già, l’impressione è proprio questa. “Manca solo che accusino il Quirinale di istigare i magistrati a recuperare la cultura greca del delitto di hybris” per “veder marcire in galera chiunque si pronunci criticamente su di lui”. Già, la sensazione è proprio questa. Invece no: Egli, “nella sua imperturbabilità zen” e immensa bontà, adora chi lo critica, ma solo “in una dialettica accettabile in democrazia, ciò che esclude insulti e minacce”. Resta da capire dove siano insulti e minacce nell’hashtag #MattarellaDimettiti dei tweet sotto inchiesta, prima made in Russia e ora rientrati nella cinta daziaria (lo “snodo di Milano”). Ma tutto è bene quel che finisce bene, o quasi.
Repubblica, mentre autosmentisce una settimana di titoli sulla Russia con una sola frasina (“gli account utilizzati per le campagne di influenza dei russi della Internet Research Agency di San Pietroburgo hanno cessato di operare nell’autunno scorso”, dunque solo “mani italiane”), monta un’intera pagina su una notizia sensazionale: in Italia i siti dei fan 5Stelle rilanciano i messaggi di Di Maio e degli altri 5Stelle. Roba forte. Non solo: le critiche a Mattarella furono “un assalto squadrista” (tipo quelli di Repubblica a Leone e Cossiga) finalizzato nientepopodimenoché a “eccitare la coscienza del Paese”. Accipicchia. E chi è stato? “Consolidati network di condivisione di contenuti para-giornalistici di segno sovranista, piuttosto che populisti”. Mecojoni. E non è mica finita: “Sono evidenti le stimmate e la regia politica”. Perbacco: le pagine Fb di “quelli che si dicono 5S” chiedevano l’impeachment di Mattarella. Chi l’avrebbe mai detto? Una addirittura postava una domanda dal chiaro contenuto eversivo: “Siete d’accordo con Di Maio che invoca la messa in stato d’accusa di Mattarella?”. E qualcuno osò financo rispondere, non so se mi spiego. Seguono i nomi dei putribondi mandanti: “Tale Piergiorgio, alias ‘Pierre’ Cantagallo”, “Grande Cocomero classic” (il nostro preferito), “tale Francesco Camillo Soro” da Las Palmas. E ho detto tutto. Che si aspetta ad arrestarli, fustigarli, convertirli in appositi campi di rieducazione? L’Antiterrorismo non ponga altro tempo in mezzo.
E, già che c’è, non trascuri le indagini sulla leggendaria “fabbrica delle fake news” e sull’inquietante “fiume di denaro che porta a Londra, a Mosca, in Albania”, smascherati mesi fa dai segugi di Repubblica, che ne inseguirono le tracce fino al covo operativo: “Una fabbrica di manufatti in alluminio a Terni”. Lì, “in una sera gelida di novembre, durante una pausa di cambio turno, Leonardo, un metalmeccanico di 34 anni, ex punk, la terza media in tasca e i soldi per comprare il primo modem non più di sei anni fa, apre le porte del Sistema”. Roba grossa, di cui però non si seppe più nulla. Se non che – fu sempre Repubblica a rivelarlo, con grave sprezzo del pericolo – “Leonardo di cognome fa Piastrella”, ma quando diventa un “cavaliere nero dell’intossicazione online”, si fa chiamare “Ermes Maiolica”, molto ricercato dai “broker pubblicitari”. Perché voi non ci crederete, ma “più traffico hai, più soldi prendi dalla pubblicità”. Strano, eh? Infatti “in Rete ha cominciato a fare capolino un certo Vincenzo Ceramica. Provate a indovinare chi sia”. Sono mesi che tratteniamo il fiato, in attesa che qualcuno sveli l’arcano. Se non Repubblica, che abbandonò la pista proprio sul più bello, almeno l’Antiterrorismo. Se il sor Piastrella c’entra col sor Maiolica, c’entrerà anche col sor Ceramica? E non è che l’hashtag eversivo #MattarellaDimettiti era un messaggio in codice per il sor Mattonella?