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 2018  luglio 22 Domenica calendario

L’amaca sugli intellettuali e agli appelli sul web

È giusto che «gli intellettuali» (dei quali, per fortuna, manca l’albo ufficiale) si interroghino sulla necessità di metterci la faccia e dunque, sulla faccia, prendersi gli sputi del web, appena assurti al rango di sputi governativi, al punto che a guidare il branco sono i tweet ministeriali. Ma la pre-condizione, per lo scrittore e il giornalista come per il giudice o l’ostetrica o il falegname, è fare bene il proprio mestiere e anzi cercare di farlo meglio di prima. E nello sciatto sfarinarsi del linguaggio cercare di salvare, ben prima della propria reputazione di oppositore integerrimo, la reputazione delle parole. Il logosè, in questo momento, la sola vera trincea contro la twittatura. Non si giudichino “gli intellettuali”, dunque, dal numero degli appelli che firmano, né da straordinari cimenti politici (non tutti sono Saviano, non tutti hanno la sua storia, che è unica, e la sua vibrante vocazione al corpo a corpo), ma da quello che scrivono (o non scrivono) ordinariamente, e soprattutto da come lo scrivono. Ho letto appelli a fare appelli che erano scritti col culo (scusate il francesismo). Ovvero erano scritti con la stessa animosa povertà di pensiero che domina il linguaggio politico, non solo quello di governo, e devasta il discorso pubblico. È del tutto illusorio pensare che alzando la voce ti sentano meglio. È vero il contrario. Se è vero che il fracasso è il discorso dominante, non è alzare il volume, è alzare il tono il modo migliore per fare opposizione.