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 2018  luglio 04 Mercoledì calendario

«Il mio riso cresce anche nel deserto». Intervista allo scienziato cinese Yuan Longping

CHANGSHA (CINA) Nel mondo ci sono 160 milioni di ettari coltivati a riso. Basterebbe piantarne la metà con il riso ibrido per sfamare 500 milioni di persone in più » . A 88 anni Yuan Longping ha ancora lo stesso sogno: cancellare la fame. Con la Cina ce l’ha fatta, le varietà di riso che questo agronomo ha creato dagli anni ’ 70, quando la tragedia della Grande carestia era ancora un ricordo fresco, hanno garantito al Paese l’uscita dall’emergenza alimentare. Il “ padre del riso ibrido” è una gloria nazionale, un ritratto con Xi Jinping è lì a dimostrarlo. Ma nonostante la fama e i problemi di udito non ha smesso di lavorare. Dalla base di Changsha, nel Sud del Paese, questo omino dall’aspetto dimesso e gli occhi vivissimi, una camiciola a quadrettoni e pantaloni neri, continua a dirigere ricerche in tutta la Cina. L’ultima creatura è il riso “ del sale”: cresce anche dove l’acqua dolce scarseggia. Come il deserto di Dubai, dove il suo team lo ha coltivato con successo: «Non me lo sarei mai aspettato», riconosce ridendo. Lo farà spesso, durante l’intervista.
Quando ha scelto di dedicarsi allo studio dell’agricoltura?
«Alle elementari ci hanno portato a visitare la casa di un capitalista. Rimasi impressionato dal suo giardino, l’uva, i boccioli di pesca. La mia prima immagine dell’agricoltura è questa: se avessi visto la vera vita di campagna, aspra e dura, avrei scelto altro. Ricordo anche un film di Charlie Chaplin, Tempi moderni, il sogno a occhi aperti in cui raccoglie dei grappoli sporgendosi dalla finestra».
E in Cina c’era la Grande carestia, milioni di morti per fame. Quella tragedia l’ha influenzata?
«Ho visto cinque persone morire di fame con i miei occhi. Un giorno incontrai un contadino con un cesto di semi, era andato fino alle montagne per prenderli. “ Usare dei semi buoni è meglio di ogni fertilizzante”, mi spiegò».
All’epoca la teoria dell’eredità accettata dal Partito era ancora quella del sovietico Michurin, secondo cui è l’ambiente esterno a modificare le caratteristiche di una specie.
«Una pseudoscienza che portava a esperimenti ridicoli e inutili: tagliavamo per 48 generazioni la coda ai topolini, ma la 49esima aveva ancora la coda. Quando nel 1962 ho letto che le ricerche sul Dna avevano vinto il Nobel mi sono messo a studiare la teoria alternativa, quella di Mendel».
Non era vietata, in quanto occidentale?
«Mettevamo i libri sotto il Quotidiano del Popolo».
Il problema è che il riso si impollina da solo: si pensava che per queste piante l’ibridazione non fosse possibile.
«Un giorno ho visto una pianta così alta e con le spighe così grandi che sembrava una gru in mezzo alle galline. Ho capito che era un ibrido naturale, e l’ho conservato per i test. Restava da trovare un individuo sterile, necessario all’incrocio. Per trovarlo ho cercato nei campi per 14 giorni».
Oggi metà del riso coltivato in Cina deriva dai suoi studi, con rese molto superiori alla media. Ha sfamato milioni di persone, ci pensa mai?
«Sono solo felice di dare il mio contributo al mondo. Ci sono persone capaci che hanno successo facendo cose cattive, come trafficare la droga. Io faccio cose buone».
Il riso “del sale” che potenziale ha?
«Tra 180 varietà, ne abbiamo trovata una che resiste nell’acqua con un contenuto di sale dello 0,6% e dà rese buone. La stiamo testando in varie province della Cina, ad agosto avremo i risultati».
Lo avete coltivato perfino nel deserto.
«Non avrei mai immaginato sarebbe stato possibile. Anche i ricercatori indiani dicono di esserci riusciti: hanno prodotto 15 chili di riso piantando 10 chili di semi». (Scoppia a ridere).
Ma l’acqua del mare ha una salinità del 3%, va comunque diluita.
«La Cina ha 60 milioni di ettari di terre saline e alcaline, di cui un quarto coltivabili. Anche ipotizzando rese minime, permetterebbero di sfamare 80 milioni di persone».
Qui fate anche ricerca sul riso Ogm di cui la Cina non ammette il commercio. Sul tema lei è prudente, dice che le tecniche tradizionali hanno ancora margini. C’è un limite oltre cui l’uomo non si può spingere nel modificare la natura?
«Dobbiamo andare avanti con la ricerca sugli Ogm e restare alla frontiera, ma anche applicarla e promuoverla con passi prudenti. C’è un detto che dice: con il suo sforzo l’uomo può sconfiggere la natura. Ma è solo uno slogan. Ci devono essere dei limiti, l’uomo deve adattarsi alla natura».
Il cibo è ancora un problema in Cina?
«Grazie alla leadership del Partito comunista la Cina è diventata ricca, dal Paese miserabile che era. Oggi è un orgoglio essere cinese. Ma la sicurezza alimentare, con 1,3 miliardi di persone, è ancora un grosso problema, e molti lo hanno dimenticato. Lo sanno in teoria, ma senza aver mai avuto fame non ne hanno coscienza. Farla crescere è uno dei compiti principali che abbiamo».
A 88 anni qual è il suo obiettivo?
« Rendere la Cina autosufficiente nella produzione agricola e promuovere il nostro riso ibrido nei Paesi in via di sviluppo: potremmo sfamare 500 milioni di persone in più. Vengono a trovarmi amici africani, mi dicono che mangiano riso solo nei giorni di festa. Io gli dico: qui è sempre festa».
Cosa prova quando vede un campo di riso?
«È come un figlio, mi sento bene se lo posso vedere ogni giorno. Se ci sono delle piante, io le vado a vedere».