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 2018  luglio 04 Mercoledì calendario

I 90 anni di Boniperti: Il calcio è bello sempre, la Juve non finirà mai»


BARENGO ( NOVARA)
La cascina dove Boniperti andava a scegliersi le vacche gravide che erano il premio dell’Avvocato c’è ancora. Bisogna arrivare fin qui, alla fine della strada ma non della storia, per capire bene il senso di questo compleanno enorme, i 90 anni dell’uomo chiamato Juventus, il biundìn Giampiero Boniperti che già a tredici anni giocava in quel modo unico, testa alta e petto in fuori, e tiro formidabilissimo. «Il mio piede, non per dire, di soddisfazioni me ne ha date tante, anche quando l’ho usato per prendere a calci nel sedere qualcuno». E non c’è magistero, non c’è scuola che tenga. Dice Boniperti che ognuno diventa quello che è sempre stato: «A me pare di aver giocato sempre allo stesso modo, io sapevo già che fare. Ma all’inizio non ne avevo alcuna intenzione».
Per comprendere la fine bisogna arretrare fino all’inizio, indagare il tempo di quando eravamo bambini.
Giampiero Boniperti lo è stato qui, al numero 2 di via Vittorio Emanuele, un palazzo giallo (si chiama “giallo Torino”) che in parte è ancora della famiglia. Ma il presidente non viene più, i suoi amati fratelli sono al camposanto. «Sto molto bene, le gambe non mi danno problemi, invece la memoria un poco sì». Non deve aver letto Philip Roth, Boniperti («la vecchiaia è un massacro»), però può dirsi d’accordo: «Invecchiare è solo una gran rottura di scatole, e io i compleanni non li conto più».
Barengo è un bel grumo di case, ci si arriva attraversando risaie che sono cieli d’acqua capovolti, tra cascine e campanili che tremolano nell’orizzonte in fondo al rettilineo. C’è un gran sole, e silenzio. Un trattore celeste lo corrompe per una manciata di minuti, poi va via tossicchiando. C’è anche una squadra di calcio, si chiama Barengo Sportiva e da tre anni arriva ultima al campionato di Terza categoria, si vede che vincere non è l’unica cosa che conta. Ma qui Boniperti è dappertutto. «Da queste parti è passata la storia del calcio ed è difficile essere all’altezza, ti senti sempre inadeguato, però noi ci proviamo». Il presidente, non quello juventino con il superlativo ma quello del Barengo, si chiama Antonio Pellogini e ci mostra il campetto dove una cinquantina di anime vengono a vedere partite segnate. «Giocare qui non è lo stesso che altrove, perché pesti l’erba che ha pestato Boniperti», spiega Federico Manna che fa l’attaccante e l’informatico. Nello stanzone vicino allo spogliatoio, che è anche il bar, è appeso un vecchio manifesto del complesso musicale “I Sagittarius”, sulle mensole una bottiglia di Vecchia Romagna e una zebretta di peluche. Il tempo fa il suo mestiere, e più che altro passa.
Invece la voce del presidente sembra non passare mai, rimane squillante, allegra. E parla sempre della Juventus: «Caro, cosa vuoi che ti dica, la Juventus è stata tutta la mia vita». All’oratorio di Barengo, e poi al collegio De Filippi di Arona, Boniperti capì di essere Boniperti. «Un anno segnai 64 gol in diciassette partite» dice, alla faccia della memoria che sarebbe stanca.
Gli studi di agrimensura per diventare geometra, come poi fu, lo avevano indirizzato verso diverse strade ma poi il pallone se lo prese. «Il calcio è bello sempre, anche quando sembra brutto». Ora lo guarda in tivù, anche i Mondiali in questa estate strana, senza Italia. Ed è comunque tutto Juventus, così la sillaba Boniperti, per esteso come un santo nome. «Io ho 90 anni e 72 li ho passati insieme a lei.
Gli scudetti li ho visti tutti, ne ho vinti 14 e di una cosa sono sicuro, la Juventus non finirà mai». Vivere, ecco l’unica cosa che conta.