La Stampa, 23 giugno 2018
Baryshnikov legge Brodsky: «Racconto la nostra sintonia»
Da Josif Brodsky a Jan Fabre e poi da Jan Fabre di nuovo a Josif Brodsky. Una piroetta da capogiro, un ardito doppio jeté entrelacé. Per smentire quanti pensano che si sia rintanato nel mondo russo, Michail Baryshnikov nel giro di pochi giorni passa dal grande poeta premio Nobel, perseguitato e esiliato dall’Urss, al santone belga dell’avanguardia.
Giovedì 28 debutta al Napoli Teatro Festival nello spettacolo Brodsky/Baryshnikov. Ma nei giorni precedenti eccolo a Roma, intento a lavorare a un nuovo spettacolo con Fabre: «È vero, negli ultimi anni i miei spettacoli erano in russo o avevano al centro la cultura russa. Dipendeva dalle proposte che ricevevo. Con Jan Fabre stiamo lavorando a un progetto in inglese che non ha nulla a che fare con quel mondo. Sarà prima una installazione video da presentare in musei e gallerie, poi una performance».
Splendente superstar che ha attraversato da protagonista assoluto il firmamento del balletto, del cinema, di Broadway, della tv, Baryshnikov ha indicato al pubblico occidentale che cos’è la danza accademica coniugando l’esecuzione dei passi più virtuosistici con lo charme e l’eleganza. Apollineo e sexy, idolo di ragazzine di ogni età, a 70 anni è sempre intenso protagonista della scena. Negli anni scorsi ha incantato le platee di mezzo mondo come interprete di un vecchio generale russo emigrato nel dramma In Paris, tratto da un racconto di Ivan Bunin e ambientato negli Anni 30. La collaborazione con Bob Wilson lo ha portato a calarsi, insieme a Willem Dafoe, nei panni cubofuturisti dei protagonisti di La vecchia tratto da un racconto di Daniil Charms. Ha fatto rivivere la follia del mito della danza Vaclav Nijinskij recitando il suo diario allucinato in Letter to a Man. Ora eccolo muoversi fra i versi di Brodsky.
Ed è il congiurare di due leggende, perché il ballerino che aveva scelto di restare in America nel 1978 e il poeta che era stato espulso dall’Unione Sovietica nel 1972 si incontrarono a New York e strinsero una amicizia destinata a durare sino alla morte del poeta nel 1996. Le telefonate quotidiane, le passeggiate per New York, le serate con i protagonisti dell’intellighenzia russa émigrée sono entrate a loro volta nella leggenda: «Parlavamo di cibo, di donne, superalcolici e altre belle cose. Praticamente di tutto».
Baryshnikov conosceva di fama Brodsky negli anni in cui era il miglior ballerino del Mariinskij (che allora si chiamava Kirov) a Leningrado: «Leggevo i suoi versi, sapevo di lui, ma allora non ci siamo mai incontrati anche se avevamo molti amici in comune. I ricordi di quegli anni potrebbero entrare a far parte di un piccolo libro di memorie». La loro essenza rivive in scena: «Mi auguro che resti quella sintonia, il senso di una lunga e profonda relazione umana fra due persone».
Lo spettacolo si svolge in un luogo cadente e polveroso, circondato di vetrate: «È un giardino di inverno della Belle époque abbandonato. Vuole suggerire l’idea di un mondo che non c’è più, che esiste oggi solo nella memoria e nell’arte». Lì si anima il mondo di Brodsky: «Alvis Hermanis, il regista lettone con cui ho già lavorato per In Paris, ha scelto i versi, ha cercato di riunire tutti i temi principali del lavoro di Joseph in parallelo ai temi della sua vita». Baryshnikov recita in russo, con sottotitoli italiani: «È una bella traduzione di Matteo Campagnoli approvata dalla vedova di Joseph, Maria Sozzani Brodsky».
Dopo Napoli il tour italiano prosegue a Firenze, dal 3 al 5 luglio, e poi dal 13 al 15 alla Fenice di Venezia, città amatissima da Brodsky, sepolto nell’isola di San Michele: «Lo andrò a trovare, come faccio ogni volta che sono a Venezia. ma anche quando non sono lì continuo a rendergli visita con la mente». Ma non è mosso da un senso di nostalgia: «La cultura russa è universale, come quella italiana. Ecco perché credo che Joseph trovasse piacere in Italia. Tornare a rendere visita alle cose che ti hanno reso felice, che ti danno bellezza e gioia non è nostalgia, è vita». Altra città della memoria di Baryshnikov è Riga, la capitale della Lettonia dove è nato da una famiglia russa: «Oggi sono di nuovo cittadino lettone. Il governo mi ha offerto la cittadinanza onoraria, ho accettato con gioia. Mi sento prima di tutto americano, ma sostengo l’indipendenza di tutti i Baltici. Mia madre è sepolta a Riga, è un onore importante quella cittadinanza per me».