Corriere della Sera, 23 giugno 2018
Lo sfogo del pirata Johnny Depp: «Amore e soldi, tutto quel dolore era insopportabile»
La versione di Johnny arriva dopo 72 ore e duecento email scambiate con il giornalista Stephen Rodrick, che saluta dicendo: «Questo potrebbe essere il tuo Pulitzer». Si sono incontrati nella residenza del Pirata dei Caraibi a Nord di Londra, 10.500 metri quadrati nei quali vive circondato dai suoi yesmen, il cuoco, le guardie del corpo, assistenti non meglio inquadrabili che ci rimandano, attraverso il racconto dell’inviato di Rolling Stone, un uomo solo, poco lucido, a dir poco stravagante, al quale l’avvocato Adam Waldman ha raccomandato caldamente un’intervista che ne ripulisca la reputazione e rinvigorisca le finanze.
Di lui avevamo visto recenti immagini che avevano fatto preoccupare i fan, con l’aspetto al limite dell’anoressia. Il lungo ritratto confezionato dalla bibbia del rock, a tratti disturbante, non censura nulla, neppure di quando trasmise la scabbia ai coinquilini, o dell’infanzia con un padre assente, traslocando da una città all’altra (ne ha contate almeno quaranta) con una mamma infelice che picchiava i figli senza preavviso, con la cornetta del telefono o un posacenere, in una casa in cui nessuno mai fiatava. Eppure proprio a lei Johnny Depp destinò i primi guadagni, con cui non comprò una Ferrari, ma una piccola fattoria. «È stata la donna più meschina che abbia mai incontrato nella mia vita», disse di lei ai funerali, forse non proprio quello che ci si aspetta da un’orazione funebre. Ma Johnny stava anche passando dei guai con Amber Heard, la giovane moglie che avrebbe chiesto il divorzio due giorni dopo, esasperata dagli scatti d’ira del marito e dall’eccessiva propensione all’alcol. Si scrisse che gli avrebbe tolto tutti i soldi: in realtà quando ebbe la «buona uscita» di sette milioni di dollari la devolse in beneficenza.
Depp racconta a Rodrick la difficoltà di quei mesi, quando si era suo malgrado trovato a rivestire i panni del cattivo, lui che aveva cercato di essere sempre gentile con tutti. Pensò di raccontare la sua versione in un memoir, si alzava la mattina, beveva vodka e pestava su una vecchia macchina per scrivere finché le lacrime non gli annebbiavano completamente la vista. Dà la colpa della sua sfortuna finanziaria (ha bruciato un patrimonio di seicento milioni di dollari) al vecchio management, che in realtà attribuisce lo svuotamento delle casse al suo dissennato tenore di vita. «Dicono che spendessi 30 mila dollari al mese in vino, questo per me è un insulto: spendo molto di più», chiosa con il giornalista di Rolling Stone che ormai non fa più caso ai numerosi spinelli che l’attore rolla sotto il suo naso e con generosità gli offre.
Johnny però ammette di aver toccato il fondo, di essersi sentito come quando vai in un posto con gli occhi aperti e sai di doverne uscire a occhi chiusi. «Non potevo sopportare tutto quel dolore, tutti i giorni». La sorella che faceva la cresta sui suoi soldi, i figli di Vanessa Paradis da mantenere, le bugie di Amber Heard, e poi la morte dell’amico Tom Petty, per un’overdose di farmaci, o di River Phoenix, al quale secondo voci infamanti avrebbe dato lui stesso la dose letale.
Poco o nulla sulle sue stravaganze, che minimizza rilanciandole. Dei tre milioni spesi per disperdere con un cannone le ceneri di Hunter S. Thompson: «In verità erano cinque». Di quando chiese dal palco se qualcuno poteva portare lì Donald Trump, domandando quando fosse stata l’ultima volta che un attore aveva ucciso un presidente: «Volevo dire un’altra cosa, non mi è venuta bene». L’amica Penelope Cruz è sicura che potrebbe interpretare Jack Sparrow fino a settanta o ottant’anni, «sarebbe ugualmente affascinante». Speriamo.