«Io sono stato fortunato – ammette – perché avevo le spalle coperte». Ma proprio il racconto degli ultimi otto anni della sua ordinaria quotidianità è lo specchio di una crisi che ha macinato le esistenze dal basso e i cui effetti dureranno anche quando il rapporto deficit/pil di Atene sarà sotto controllo.
«All’inizio né io né chi vive attorno a me avevamo davvero capito la gravità della situazione», dice tornando con il ricordo all’inizio della crisi. Quando nell’autunno del 2009 il premier George Papandreou ha annunciato nello storico discorso dall’isola di Kastellorizo che i conti erano stati truccati e il paese era sull’orlo del crac, la Grecia viveva ancora in una sorta di bolla da autostima collettiva. Gonfiata dall’ingresso nell’euro, dal successo delle Olimpiadi di Atene, dalla vittoria negli europei di calcio e all’Eurovision Song contest del 2005. «Tutto allora sembrava possibile – ricorda Dimitris - Mai e poi mai avrei pensato che si sarebbe potuti tornare indietro». E invece è andata così. «Finita l’università mi sono guardato in giro e ho inviato decine di curriculum - spiega - Sapevo pianificare campagne web, gestire la comunicazione digitale, parlo inglese. Ero disposto anche a fare lavoretti sottoqualificati». Risposte zero.
E quando la troika è arrivata ad Atene e lui ha capito che di entrate per garantirsi vitto e affitto («circa 600 euro al mese») non se ne parlava ha alzato bandiera bianca. «In fondo sapevo che prima o poi sarei tornato a casa – minimizza – Mia madre ha questo negozio da 38 anni, c’era bisogno di svecchiarlo lavorando a una strategia digitale. E sulle isole turistiche, dicevano tutti, la crisi non era arrivata». Aveva fatto i conti senza l’oste. «Appena arrivato mi sono accorto che la realtà era diversa da come la dipingevano - racconta - Tra il 2012 e il 2015 gli incassi sono calati del 35% e noi siamo stati costretti a rivedere l’assortimento, riempiendo la vetrina di oggetti da 5-10 euro perché nessuno aveva soldi da spendere». Poi, tanto per gradire, ha iniziato a piovere sul bagnato: sono arrivati i controlli sui capitali e la terza austerity targata Troika ha dato la mazzata finale. «L’Iva è aumentata dal 13 al 23%, le spese per assicurare il personale sono cresciute del 15%, le tasse sul negozio del 22%». Risultato: «Guardi il cartello sul bar qui di fronte», suggerisce ridendo.
«Chiudo perché non ho più i soldi per pagare le bollette», recita il foglietto ingiallito appeso sulla serranda, abbassata da fine 2017.
Eppure Dimitris, come molti in Grecia, non molla: si alza ogni mattina, si rimbocca le maniche e riapre il negozio. E d’inverno si trasferisce ad Atene per arrotondare lo stipendio con qualche lavoretto volante. «Che sacrifici ho fatto? Ho rinunciato a viaggiare, ho dovuto rimandare il matrimonio perché non ho abbastanza soldi. Mi è andata di lusso rispetto a molti altri greci che hanno perso tutto». I sogni e la speranza – beata gioventù – resistono ancora. «Qualcosa sta cambiando nel paese – dice – non ho votato Tsipras, ma ammetto che negli ultimi due anni le cose vanno meglio, si pagano un po’ di più le tasse, c’è più ordine e forse si vede la luce alla fine del tunnel». Sperando, visto il debito rimasto sulle spalle della Grecia, non sia il treno che arriva dalla direzione opposta.