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 2018  giugno 22 Venerdì calendario

A New York, nel centro segreto del governo tra i bimbi strappati ai genitori migranti

Sono passate da poco le cinque del pomeriggio, sul tratto meno nobile di Park Avenue che attraversa East Harlem, quando la porta laterale dei Cayuga Centers si apre. Esce un gruppo di sei bambini, tutti col volto coperto da una kefiah bianca e rosa, accompagnati da una signora che nasconde la faccia calandoci sopra la visiera di un cappellino da baseball. Vergognandomi un po’ di me stesso li seguo, perché è il mio mestiere, e provo a fare qualche domanda, prima in inglese e poi in spagnolo. Le testoline si voltano appena, chiedendosi probabilmente chi diavolo sono e cosa cavolo voglio da loro, ma continuano a camminare in silenzio. La signora, anche lei senza rispondere, li fa salire sopra un minivan nero su cui spariscono.
Senza dover scendere in Texas, la tragedia dei figli degli immigrati illegali separati dai loro genitori ci ha raggiunti anche qui, nella città più ricca e avanzata del mondo. In gran segreto, all’insaputa dello stesso sindaco de Blasio, l’amministrazione Trump ha trasferito a New York almeno 350 di questi bambini, alimentando il sospetto che le vittime della «tolleranza zero» ai confini siano molte più delle 2.300 ammesse finora dal governo. Il più piccolo aveva 9 mesi, e 239 di loro sono ancora accuditi dai Cayuga Centers, un’organizzazione non profit per l’assistenza degli orfani e dei bambini abusati, che ha ricevuto 40 milioni di dollari da Washington per partecipare a questa operazione. La mattina vengono qui a scuola, e la sera tornano negli ostelli o dalle famiglie adottive che li ospitano. 
«Questi – si difende il presidente Edward Hayes – sono bambini dolci e vulnerabili, che non meritano di essere terrorizzati. Sono incredibilmente eroici, e noi li curiamo. Direi che sono il tipo di ragazzi di cui oggi avrebbe bisogno l’America, e con ciò probabilmente mi sono messo nei guai, perché ho violato il contratto col governo che mi obbligava a tacere».
Mantenere il segreto
Tacere perché questa tragedia doveva restare segreta, proprio allo scopo di evitare la reazione di condanna che ha costretto Trump a fare marcia indietro. Ma ora che il presidente ha firmato il decreto per mettere fine alle separazioni delle famiglie, con cui sfruttava questi bambini a scopi politici ed elettorali, la loro odissea è finita? «Assolutamente no», risponde José Xavier Orochena, avvocato di una donna guatemalteca di 32 anni, Yeni, i cui tre figli sono finiti qui. «La mia cliente – spiega Orochena – era scappata dal suo Paese perché temeva per la loro vita, a causa delle violenze delle gang che controllano l’America centrale. È stata arrestata un mese fa in Texas, mentre attraversava il confine con i suoi tre figli di 10, 8 e 5 anni. Ora lei è rinchiusa in un centro di detenzione in Arizona, aspettando il processo, mentre i bambini sono stati portati qui. Da allora non ha più potuto sentirli: è da un mese che non si parlano. I figli non sanno neppure dove sia la madre, e che fine abbia fatto. Io sono il suo avvocato e ho chiesto di contattarli, ma mi hanno negato il permesso. Yeni ha dei parenti immigrati legali nella Carolina del Nord, che sarebbero disposti ad ospitare lei e i suoi bambini, ma le pratiche per farlo sono troppo complicate e quindi il governo le vieta di trasferire almeno i figli». 
La cosa più incredibile è che Yeni rischia di perderli per sempre: «Il tre luglio – denuncia Orochena – la mia cliente avrà la prima udienza del processo per aver varcato il confine illegalmente, secondo la politica della “tolleranza zero” decretata dal ministro della Giustizia Sessions. È solo il passo iniziale, che non risolverà nulla. Nel frattempo abbiamo fatto la richiesta d’asilo, ma è separata dal procedimento penale e richiederà mesi per essere espletata. A breve, invece, un giudice minorile sarà chiamato a determinare il futuro dei tre bambini: affermerà che sono stati abbandonati dai genitori e li darà in adozione. Io, se verrò informato dell’udienza, andrò a spiegare che non è vero: la madre esiste, li ama, ma è in prigione. Il giudice allora dirà che vuole conoscerla e fisserà un’udienza. Lei non potrà presentarsi, perché nel frattempo o sarà ancora detenuta, oppure sarà stata espulsa dagli Stati Uniti senza i figli, a meno dell’improbabile caso che le accordino prima l’asilo. Quindi non potrà venire in tribunale a New York, il giudice certificherà che i bambini sono stati abbandonati, e li darà legalmente in adozione. Yeni a quel punto perderà ogni diritto sui figli, perché il giudice minorile di New York non è coordinato con i magistrati dell’immigrazione in Arizona. Fine della storia. Li perderà per sempre».
 L’ultima speranza
L’avvocato resta aggrappato ad un’ultima speranza: «Chiederò che Yeni venga rilasciata sotto cauzione, affinché possa venire qui per l’udienza. Se però non gliela concederanno, o imporranno un costo insostenibile, non vedrà mai più i suoi bambini. E in questa situazione ci sono centinaia di madri e padri divisi dai figli, che non sanno neppure dove sono finiti, perché comunque il decreto firmato da Trump non è retroattivo e non stabilisce alcuna prassi per gestire le separazioni già avvenute in segreto».
Fuori dai Cayuga Centers incontro Philip Johnson, un insegnante elementare di East Harlem che è venuto a protestare: «Avevo notato questi bambini che nessuno conosceva, e mi chiedevo chi fossero. Ora ho capito». Quindi si ferma, mi prende per un braccio, e continua: «Ma siamo diventati matti? Questo è un trauma che li segnerà per tutta la vita. Immaginate un piccolo di 5 o 6 anni che viene strappato con la forza alla madre, trasferito in una città dove non era mai stato prima, e seguito da adulti che non conosce. Non ha idea di dove siano finiti i genitori, non ci parla da due mesi, e si chiede perché lo hanno abbandonato. E poi ci stupiremo se questi bambini diventeranno criminali o tossicodipendenti? Non pensate che reagiranno comportandosi nello stesso modo in cui li abbiamo trattati noi? Sono solo poveracci in cerca di una vita migliore, come la stragrande maggioranza dei cittadini americani, venuti qui per lo stesso motivo: perché ci accaniamo contro di loro? Va bene far rispettare le leggi, ma quanti cittadini americani di oggi discendono da persone entrate illegalmente nel Paese, magari un secolo fa?».
Il maestro Johnson si scalda: «L’odio razziale ci acceca. Gli Usa sono una nazione grande come un continente, con 350 milioni di abitanti e l’economia più ricca del mondo. Davvero la nostra emergenza principale sono 12 milioni di illegali ispanici, di cui il 99% sono persone oneste venute qui a fare lavori che gli americani non vogliono più? Usiamo tutta la forza della legge contro spacciatori e criminali, ma non esiste una maniera meno crudele di rispondere al sogno di disperati che in fondo cercano solo un’esistenza decente, come abbiamo fatto tutti noi? O siamo diventati matti, oppure abbiamo completamente perso la coscienza dei nostri valori». In effetti viene da chiedersi quale sia la differenza sostanziale tra Yeni e Mary Anne MacLeod, la madre di Trump emigrata dalla Scozia nel 1930 per fuggire alla miseria, a parte il fatto che Mary era anglosassone e quindi socialmente più accettabile a New York. Intanto la porta dei Cayuga Centers si riapre. Adesso escono sei bambini con i volti coperti da maschere di cartone, come fosse Halloween o Carnevale. Stavolta proprio non me la sento di inseguirli con le mie inutili domande, mentre si avviano obbedienti verso un destino che nessuno conosce.